Il gesto, Kuala Lumpur, Malesia

Da Pulfabio

C’è un gesto che facciamo noi italiani, con le dita della mano puntate verso l’alto, i polpastrelli congiunti. Può significare varie cose: dubbio, confusione, incredulità, disaccordo, alle volte persino dileggio. Ho scoperto casualmente che è utilizzato anche nel mondo arabo, ma con un significato completamente diverso.
La prima volta che lo notai ero a Kuala Lumpur, seduto a un ristorante libanese, con alcuni miei studenti sauditi. Mentre il cameriere egiziano serviva le portate due dei commensali gli chiesero qualcosa, quasi contemporaneamente. Lui li osservò mentre continuava a disporre i piatti sul tavolo e poi, senza dire nulla, appena ebbe finalmente una mano libera si rivolse a ognuno di loro con quel gesto. Io fui sorpreso, mi sembrava molto sfrontato utilizzare con dei clienti un segno che interpretavo come una specie di “Ma che diavolo volete?” Lo feci notare ai miei studenti i quali mi spiegarono che in Medio Oriente equivale a un innocuo "attenda un attimo", ed è un’espressione sufficientemente educata. Pochi giorni fa, sempre a Kuala Lumpur, stavo fermo a un marciapiedi, osservando il brulicare della gente attorno ai locali notturni del centro. Una vecchina cinese passava di là chiedendo l’elemosina con una tazza. Un arabo la fermò, le piantò la mano a dita raccolte davanti al naso e poi si rivolse a un amico chiedendogli del contante, infine tornò dalla signora e gli infilò nella tazza una mancia spropositata. Evidentemente le voleva dire “Attendi un attimo vecchiarella, non te ne pentirai” e non come avrebbero pensato in Italia “Oh vecchiaccia, ma che diavolo fai? E levati di torno!”


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