Magazine Viaggi

L’oriente… finalmente!

Creato il 20 aprile 2015 da Agnese77
“e capii che la mia strada era di andare a guardare. Da allora questa aspirazione mi rimase sempre! Tutte le scuse erano buone per partire.” CORAGGIO! Ora giù lo zaino! Di nuovo. Finalmente. Il cuore in tempesta! Anche questo di nuovo. Anche questo finalmente. Ti rincorro da molto, ti ho cercato, ti ho addirittura sfiorato. Ora capisco: mi aspettavi da solo, e io da solo arrivo. Ci provo, DI NUOVO. L’oriente, FINALMENTE! Impatto critico. Banche, palazzi di banche, grattacieli di banche, donne tacchi e tailleur, uomini in giacca e cravatta, dollaro come moneta, guida a destra e inglese come lingua… ma non dovevo atterrare in Asia?  Mentre passeggio scende la sera. Lo skyline di Singapore è impressionante! Sembra una città dinamica, il traffico è intenso, quindi la tranquillità che mi lascia il camminarci mi spiazza. Incontro un campo da rugby, dei ragazzi fanno allenamento. Mi siedo sull’erba a guardarli. È bagnata, umida. Rimango lì a godere del loro gioco, dell’imponente muro di grattacieli che gli fanno da sfondo e soprattutto dell’aria, quell’aria densa e calda, pesante e appiccicosa e così stupendamente avvolgente che solo ai tropici puoi trovare. Sto li, perso nel suo abbraccio e per la prima volta realizzo che sono dall’altra parte del mondo. Da solo. WOW! Il giorno è più difficile, fa un caldo infernale e io continuo a non riuscire a trovare l’oriente. Sembra davvero di stare in una metropoli occidentale. Strade larghissime, macchine super potentissime, laser sparati dai tetti, musica rock anche se poi d’improvviso silenzio e tranquillità. Comunque tutto chiuso e venduto in scatola. Scatole come la mia camera, dove non c’entra altro che il letto, e una finestra piccola, che non si apre, come per non far ricordare alle persone che è possibile anche sognare. I pensieri di un viaggiatoree

Credits: foto di Luca Brocchi

Purtroppo per loro non con tutti funziona… e allora FIORI tra il grigio dell’asfalto e occhi sul mare! Ben trovata Asia Ho deciso di andare in Malesia, quindi vado a cercarmi un bus. Niente, tutti fermi: scioperano! Cioè, qui sono tutti cinesi e scioperano? Un cinese che sciopera faccio fatica ad immaginarlo. Comunque riesco a trovare un biglietto per domani, solo che il ragazzo del ticket-office mi raccomanda di arrivare con un quarto d’ora d’anticipo dato che in tutta la giornata ne partiranno solo due e, ovviamente, il mio è il secondo. Perso quello se ne riparla il giorno dopo… che sarebbe il problema minore dato che la cosa che più mi scoccerebbe sarebbe il tornare in questo mercato popolato da cavallette umane assedianti e di rifare un nuovo biglietto in un’agenzia di bus che si divide tra ticket, cucina di noodls, vendita di ciabatte e di bracciali in filo personalizzati. La compagnia ha voluto la mia mail per eventuali disguidi e lui non ha voluto credere al fatto che Luca fosse il nome e Brocchi il cognome nonostante le mie insistenze, quindi ora sul biglietto sono “Mr Luca”, ma visto che siamo all’aperto e che sta scendendo un acquazzone che sembrano tre va bene così. Passeggiare per la baia di notte è davvero qualcosa di particolare. Guardare quei grattaceli luminosi riflettersi nel mare immersi in un silenzio surreale toglie davvero il fiato. E poi la Luna… è enorme, e d’argento! Sul lungo mare alcuni ragazzi suonano. Io mi siedo ad ascoltarli e canto, canto tantissimo. Sto bene. Sono carico. Domani saremo di nuovo io e il mio zaino.  Sembra un modellino, una città di plastica, e probabilmente lo è anche. Ma mantiene un’anima, una magia del tutto particolare che è davvero difficile da spiegare. I risvegli qui sono sempre difficili, io al fuso in avanti proprio non riesco ad abituarmi. Arrivo alla fermata mentre un autobus parte. Poggio lo zaino a terra, il bus inchioda, l’autista si sporge e mi grida: Kuala Lumpur? Io: Si, ma il mio parte tra un’ora. Let’s go! Let’s go! Let’s go! mi urla. Si avvicina una ragazza e mi dice: il tuo è stato annullato, eravate in pochi. Prendi questo che li abbiamo uniti! Al che io: scusa, vuol dire che se non fossi arrivato con un ora d’anticipo avrei perso il bus e nessuno m’avrebbe avvisato? Mi guarda con fare sospetto e mi dice sorridendo: prima o poi un altro sarebbe partito, CHE TI LAMENTI! si gira ed esclama: “il ragazzo brontolone” sits for first. Qui sono tutti matti! I pensieri di un viaggiatore

Credits: foto Luca Brocchi

La dogana è verde, la Malesia è verde! Distese infinite di palme di un verde incredibilmente scuro ed intenso ed un cartello: All are welcome. Partiamo con il piede giusto. Giro per trovare un ostello e alla fine mi aiuta un ragazzo. Dice di fare il tassista, che ai malesi non è rimasto da fare altro, che alle attività commerciali pensano i cinesi che sono ormai padroni di tutto. Mi viene naturale chiedergli per quale motivo il governo non li tuteli in qualche modo e la risposta è stata: i cinesi sono più di noi, hanno tutto, se li penalizziamo e se ne vanno restiamo tutti a piedi. Mah! È molto arrabbiato, spesso le persone sono molto arrabbiate senza motivo quindi lascio cadere la discussione. Mi consiglia dei piatti tipici, un paio di cose da vedere assolutamente e poi mi lascia alle porte di un mercato. In ogni via ci sono quattro file di bancarelle poggiate una sulla schiena dell’altra e le tre stradine che rimangono per i passanti sono massimo di una quarantina di centimetri l’una e le persone ci camminano in entrambi i sensi. Una bolgia! Mi butto dentro sperando di non perdermi ma dopo due minuti non riesco più a capire neanche da che parte sono arrivato e non si vede via che porti fuori. Mi sembra di essere incastrato in un girone infernale, in un vortice che trascina verso il centro e che mi impedisce di fuggire. Non ho niente da fare in verità quindi STICAVOLI! Passeggio. La corrente di esseri umani mi porta, al suo ritmo, lenta, e mi piace lasciarmi trasportare. Fermo un ragazzo per chiedergli se in questa zona si trovano posti economici dove dormire, lui mi risponde deciso: qui puoi trovare anche una scala per la Luna. La risposta mi intriga quindi mi fermo un po con lui e alla fine mi porta in un ostello. Lui è cinese, l’ostello è cinese e tutta questa zona è cinese. La chinatown di Kuala Lumpur. Quel tassista malese era avvelenato con i cinesi e di tutta KL mi ha lasciato alle porte di chinatown. Vabbè! Prendo la camera, poso lo zaino e scappo fuori a cena. Vado verso il centro, incontro una festa e mi fermo a mangiare li. Effettivamente in giro mi sembra di vedere solo cinesi. Ora io non voglio dire a Singapore che è un porto commerciale, ma qui, cosa ci fanno tutti questi cinesi? Si mangia dai cinesi, si dorme dai cinesi, si compra dai cinesi! Possibile che in tutta l’Indocina ci sia pochissimo di Indo, ancor meno di altro e tutto il resto sia Cina? Può uno faticare così tanto a trovare l’identità di un popolo perché ormai invaso da un altro? Bah!  Anche se devo dire che a guardarli bene neanche sti cinesi sembrano tanto cinesi. Produrre, arricchirsi, consumare, produrre, arricchirsi, consumare. Dov’è finita quella magia che un popolo che alleva grilli per poter sentire il suono della primavera anche d’inverno deve avere? Poi penso: Infondo tutto questo, la materia anziché la magia, l’apparire anziché l’essere, il guadagnare, il possedere… ma non glie li abbiamo insegnati noi? Quindi, se la Cina è il male, ma i mali alla Cina glie li abbiamo portati noi, allora il male siamo noi?! Con questa corsa al progresso abbiamo creato una malattia esattamente come abbiamo fatto con i tumori. Bombardiamo il corpo con veleni di ogni tipo dalla mattina alla sera e poi ci lamentiamo se questo impazzisce e si ammala. Nella stessa maniera, bombardiamo la società con l’arrivismo, con l’egoismo, con l’avidità e poi ci lamentiamo se gli altri si permettono di imparare da noi. Siamo noi la cellula impazzita che ha infettato il mondo. Gli abbiamo insegnato a dimenticare la vita pur di poter guadagnare, solo che ora sono diventati più bravi di noi a farlo. La cosa che mi fa più strano è il non riuscire a capirli. Non sono occidente e non sono oriente. O meglio, non sono l’oriente che io immaginavo. La cosa peggiore è che i nostri vizi su loro hanno un effetto che sembra devastarli. Sembrano drogati di occidente! Strafatti e in preda al delirio corrono avanti e indietro, come impazziti, senza meta. “Qual’è il fine della conoscenza se non quello di capire la natura per poter seguire le regole e vivere meglio? Bisogna capire qual’è il posto di noi esseri umani nell’universo, capire in che rapporto siamo coi vari fenomeni cosmici, cosi da poterci comportare disciplinatamente, evitare disastri e contribuire al benessere di tutte le creature. Se non conosciamo noi stessi è inutile conoscere il mondo.” Go alone to be happy. STAY ROCK!
luca3
Più cammino più mi è chiaro. È l’andare quello che fa la differenza, il mettersi in gioco quello che cambia la nostra prospettiva. Ci hanno convinto che si può viaggiare anche da fermi, che si può capire anche da casa, ma non è vero che si può viaggiare con la mente! Il viaggio ovviamente è nella mente che nasce, ma non è lì che può svilupparsi. Per esistere, per influire, ha bisogno di toccare i sensi, di tiraci dentro emozioni. Nette. Chiare. Toccare, ascoltare, gustare, vedere, annusare. C’è differenza tra il guardare un quadro ed il farne parte. Starci dentro. Li. Punto fisso! Quello che avviene nella mente non è un viaggio ma un sogno. Di ciò che noi immaginiamo possiamo decidere condizioni e tempi. Non ci vengono imposti ritmi, siamo noi a scegliere le pause. Il viaggio ti fa soffrire, sopportare! Nel momento in cui ti lasci andare al viaggio non sei più tu quello che decide quando fermarsi o dove dormire. In viaggio il corpo e lo spirito patiscono, e il patire ti porta al confronto obbligato con quel che ti circonda, al trovare soluzioni, a scoprire i tuoi limiti e ad imparare ad ascoltare i segnali che il corpo, sfinito, ti manda quando stai per raggiungerli. Nel viaggio mentale non esiste la fatica, non c’è mai bisogno di riposare. L’umidità che ti sfianca, che ti piega le ginocchia mentre tu stai lì a pregare devoto che il vento arrivi, anche solo per un attimo, ad alleviarti le sofferenze. Il bruciore del sole, il sudore che scende, imbarazzante, sulla pelle. Il gelo delle notti e i pizzichi da aria condizionata, la calca dei bus, lo zaino sulle spalle. I piedi. I passi. “Nei sogni non si suda, non ci si sporca, non ci si deve mai lavare.” I suoni, a volte rotondi a volte duri, delle lingue che per il mondo le genti parlano, i rombi dei tuoni di un temporale tropicale, i lamenti degli animali nelle notti della savana, il sibilo del vento che veloce corre nei deserti… Come potremmo immaginarli sognandoli? Se non ci fossero riportati dall’andare di altri come potremmo sentirli soltanto immaginando? La mente non ha orecchie. Stare fermi ad immaginare è come dirigere e poi guardare un film. Immaginare ci rende registi, sceneggiatori e magari in alcuni casi spettatori, ma non ci renderà mai attori.  È il fare quello che ci cambia le percezioni, è l’andare quello che ci da nuovi occhi. Questo fa la differenza: ESSERCI! Fare è il miglior modo di dire. KEEP TRAVELLING!
Archiviato in:Pensieri in viaggio Tagged: Viaggi in Oriente

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :