Durante l’ultima Tokyo International Conference on African Development (TICAD), il Giappone ha promesso 32 miliardi di dollari in aiuto all’Africa per i prossimi cinque anni. Il Primo Ministro Shinzo Abe ha dichiarato che l’Africa diventerà il nuovo motore della crescita mondiale nei prossimi decenni e il Giappone dovrà perciò cercare di reindirizzare i suoi investimenti. La crescente presenza cinese in Africa rappresenta una costante preoccupazione per i giapponesi. Durante i giorni della TICAD (1-3 giugno), i programmi televisivi giapponesi e molti articoli di giornale riconoscevano la Cina come il più potente rivale nei mercati africani. Negli ultimi anni, la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il maggior partner commerciale dell’Africa; il volume di affari è aumentato da 11 miliardi di dollari del 2000 fino ai 200 miliardi circa nel 2012. Il Presidente Xi Jinping si è recato in Africa durante il suo primo viaggio oltreoceano dopo esser stato eletto. A marzo 2013 ha visitato la Tanzania, il Sud Africa e la Repubblica del Congo, ribadendo l’importanza dell’Africa nei rapporti esteri della Cina.
Questa grande attenzione al continente africano contrasta con quella dominante nel 1990, quando la fine della Guerra Fredda vide un calo d’interesse nei confronti dell’Africa, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Il Giappone riconobbe comunque il potenziale dei mercati africani e nel 1993 lanciò la TICAD, un modo per promuovere le relazioni economiche e commerciali con il continente. Grazie alla struttura della TICAD, il Giappone estese con successo i suoi mercati e i suoi investimenti in Africa attraverso l’assistenza ufficiale allo sviluppo, il coinvolgimento del settore privato e il trasferimento di tecnologie. Tuttavia dalla fine degli anni ’90, il Giappone ha dovuto decurtare i suoi aiuti ufficiali all’Africa a causa del suo deficit nazionale sempre più in aumento e da quel momento la politica estera nipponica nei riguardi del continente africano è finita nel caos; un disordine cui il Giappone vuole rimediare, ora che la Cina ha esteso la sua presenza nel continente.
Il Giappone superava la Cina negli scambi commerciali e negli investimenti in Africa. Quando la Cina organizzò la sua versione della TICAD nel 2000 ̶ il Forum on China–Africa Cooperation (FOCAC) — il commercio fra Cina e Africa costituiva il 2 per cento del commercio totale africano, mentre la parte giapponese era del 4 per cento. Tuttavia nel 2003, la quota di commercio cinese superò quella giapponese e negli ultimi dieci anni il divario si è allargato notevolmente, con la scalata della Cina fino al 10 per cento e la discesa del Giappone al 3 per cento.
Oggigiorno sia la TICAD che la FOCAC attirano i leader di più di 50 paesi africani e mirano a creare mercati e opportunità di investimenti attraverso la cooperazione per lo sviluppo con l’Africa. La partnership sempre più forte fra Africa e Cina, ormai evidente, deve molto all’epoca di Mao. La Cina ha iniziato a impegnarsi con l’Africa molto presto per uscire dall’isolamento della Guerra Fredda. Ha anche guadagnato sostegno dai paesi africani, riconoscendosi come un paese del Terzo Mondo, sostenendo i movimenti per l’indipendenza nei vari paesi e aiutandoli nella loro ricostruzione. La Cina fornì assistenza a molti paesi africani anche quando si trovava alle prese con i suoi programmi di politica interna fra il 1960 e il 1970. La forte presenza cinese in Africa è perciò attribuibile al suo crescente sviluppo economico e a una strategia nazionale aggressiva, ma non bisogna dimenticare la connessione storica e politica fra la Cina e l’Africa.
La competizione fra Cina e Giappone si è intensificata ora che le due potenze sono più accanite che mai per le risorse energetiche necessarie per far fronte alle nuove sfide dello sviluppo economico. Con lo slogan “Riprenditi, Giappone” (nihon wo torimodosu), il Primo Ministro Shinzo Abe sta lavorando alla ricostruzione del Giappone dopo il triplo disastro del 2011. La ripresa di floridi rapporti di commercio e nuovi investimenti in Africa potranno rivelarsi un fattore importante per la crescita economica giapponese e per la credibilità politica di Abe. Il boom economico cinese e gli alti tassi di sviluppo, dall’altra parte, richiedono un’enorme quantità di energie e risorse e in Cina sia il settore pubblico che quello privato sono ansiosi di stringere accordi con l’Africa.
La compagnia statale PetroChina fa di tutto per assicurarsi petrolio grezzo e gas naturale e si è già conquistata un ruolo preminente in Africa. Per stare al passo con la Cina, la Japan Oil, Gas and Metals National Corp ha promesso di fornire un aiuto finanziario del valore di 2 miliardi di dollari alla TICAD nei prossimi cinque anni, per aiutare le aziende giapponesi attraverso progetti di sviluppo delle risorse naturali.
Nel frattempo, i paesi africani hanno espresso la loro preoccupazione riguardo all’accaparramento di materie prime da parte di alcune nazioni per il loro esclusivo guadagno. L’atteggiamento aggressivo della Cina nei confronti dell’Africa ha fatto nascere delle critiche in Occidente e nel continente africano ed è stato etichettato come un “nuovo colonialismo”. Eppure molti paesi africani sono diventati così dipendenti dalla Cina da non poter più sussistere senza di essa. Il Giappone, invece, gode in generale di un’immagine più positiva soprattutto per i suoi aiuti volti allo sviluppo. Alla TICAD, il Primo Ministro Abe ha dichiarato apertamente la sua posizione a riguardo: “Vogliamo realizzare in Africa un’industrializzazione in grado di creare lavoro e crescita”.
Il recente peggioramento delle relazioni economiche fra Cina e Giappone a causa delle dispute territoriali ha spinto entrambi i paesi a consolidare accordi economici alternativi. Nel primo trimestre del 2013, per esempio, il commercio fra le due nazioni è diminuito del 10 per cento, paragonato allo stesso periodo del 2012. In particolare, il netto declino delle esportazioni giapponesi in Cina ha spinto il Giappone a cercare mercati sostitutivi. Tuttavia il Giappone dovrà lavorare sodo se vuole riconquistare la sua presenza nel continente africano.
(Traduzione dall’inglese di Chiara Pasquin)