Rubrica di Manuela Piccoli, esperta in filosofia Nel linguaggio comune siamo abituati a sentire “non è niente di trascendentale” come a dire che non è speciale o eccezionale, in realtà il trascendentale ha ben altro significato, anzi significati, giacché nella storia della filosofia è stato usato in accezioni assai diverse. Dalla fine del XIII secolo si iniziò a chiamare trascendentale ciò che tutte le cose avevano in comune, ossia ciò che trascendeva la diversità dei generi. Troviamo però un precedente in San Tommaso che definiva trascendentali le proprietà che si aggiungono all’ente, individuandone sei, tra cui res, unum e verum. La concezione tomistica fu destinata a durare a lungo, tant’è che, con qualche piccola variazione terminologica, possiamo trovarla in Campanella, Bruno, Bacone, Berkeley e Spinoza, per citare i più noti.Una svolta nel concetto di tale termine si ha con Kant, il quale ritiene che il vecchio concetto di trascendentale sia lacunoso per due motivi: perché è un semplice concetto formale, basato su esigenze logiche; perché è una proprietà delle cose in se stesse. Al contrario Kant considera il trascendentale come concetto a priori, come condizione della possibilità della cosa (che non è cosa in sé ma fenomeno). Dunque trascendentale per Kant è ogni conoscenza che riguarda, non le cose in sé, ma il modo di conoscerle, possibile solo a priori. Questo non significa che il trascendentale è ogni conoscenza a priori perché esso non è oltre ogni esperienza, quanto antecedente, ma non di meno destinato alla pura conoscenza empirica. In maniera molto sintetica il trascendentale è la conoscenza della possibilità della conoscenza. Non c’è dubbio che tale concetto sia cardinale per il pensiero del filosofo di Königsberg, il quale chiama estetica trascendentale e logica trascendentale le due parti in cui suddivide la Critica della ragion pura, e definisce l’Io penso come appercezione trascendentale, fondamento oggettivo della conoscenza, ove l’oggettività risiede nella soggettività o coscienza.Il termine trascendentale viene ripreso dalla filosofia idealistica: Fichte lo usa per indicare la dottrina della scienza, scienza che non è trascendente perché gli elementi del conoscere rientrano nell’Io/coscienza; per Schelling il trascendentale è sapere del sapere , puramente soggettivo. Da questa visione non si discosta nemmeno Schopenhauer secondo cui è trascendentale la conoscenza che pre-stabilisce rispetto all’esperienza ciò che è possibile empiricamente. Nella filosofia contemporanea il concetto di trascendentale rimane legato all’idea di appartenere al soggetto come conditio sine qua non della realtà. La conoscenza trascendentale corrisponde alla dottrina idealistica per cui nella coscienza soggettiva ci sono i requisiti di ogni realtà. Anche in Husserl viene mantenuto il significato idealistico: l’esperienza fenomenologica è trascendentale perché si abbandona il piano empirico. In senso contrario si muove Heidegger per cui trascendentale ha significato oggettivo perché indica le manifestazioni dell’essere nella sua trascendenza.