Il gioco d'azzardo dilaga grazie a due potenti alleati

Creato il 02 giugno 2013 da Astorbresciani
La chiamano ludopatia. È il termine gentile, quasi rassicurante, inventato dall’industria del gioco per edulcorare un fenomeno che sta distruggendo un tessuto sociale già lacerato dalla crisi economica. Indica il gioco d’azzardo patologico, cioè l’incapacità di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse. L’OMS e le altre organizzazioni sanitarie che si occupano del fenomeno preferiscono utilizzare l’acronimo GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) e rimarcano che questa patologia non ha nulla a che vedere con il ludus (il divertimento). I suoi effetti collaterali sono devastanti. Parafrasando Malraux, si può affermare che “il gioco è un suicidio senza morte”. Nel nostro Paese il gioco d’azzardo ha assunto volumi e contorni da brivido, tale da generare una folta schiera di morti viventi. Li si vede uscire dai bar e dalle sale gioco con gli occhi bassi e le spalle curve. Non è un semplice disturbo comportamentale ma un male che induce ad azioni ossessive compulsive. Fa concorrenza alla depressione e alla tossicodipendenza, distruggendo centinaia di migliaia di vite umane. Gli italiani sembrano stregati, anzi drogati di gioco e fanno debiti, si rovinano e distruggono la famiglia pur di non rinunciarvi. Nel 2012, abbiamo conquistato il secondo posto nella classifica mondiale e il primo in Europa con un volume d’affari che ha sfiorato i 100 miliardi di euro. Non c’è da vantarsi, anzi! Si tratta di un affare colossale, di fatto l’industria del gioco è per numero di addetti la terza impresa italiana dopo Eni e Fiat. Stiamo assistendo impotenti alla sua crescita esponenziale fondata su varie realtà, dal videopoker alle scommesse, dalle slot machines ai Gratta e Vinci, dal Superenalotto ai Casino on line, ecc. I dati sono inquietanti; la spesa annuale pro capite degli italiani per il gioco d’azzardo sfiora i 2.000 euro. Ciò, sebbene i ludopatici siano “solo” 3 milioni (erano 700.000 nel 2007) su una popolazione che sfiora i 61 milioni. Sarebbe un errore pensare che la febbre del gioco colpisca solo gli adulti. In realtà, il boom coinvolge anche gli adolescenti. Nel 2012 ha interessato 1 milione di giovani e si calcola che gli studenti a rischio siano 170.000. Lo scenario è preoccupante e non si capisce bene chi o cosa potrà arginare un fenomeno sempre più rovinoso. Giocano tutti, dal disoccupato alla vecchietta. La febbre è contagiosa e colpisce soprattutto le fasce più vulnerabili.Assistiamo a uno psicodramma, anzi alla solita sceneggiata all’italiana all’insegna dell’ipocrisia. Da una parte, ci sono i medici, le associazioni e i media che lanciano l’allarme, dall’altra sghignazzano e ingrassano come porci i soggetti interessati al lucro e quindi a sostenere il degrado. La ludopatia è sostenuta dalla lobby dell’azzardo e dai concessionari-gestori privati ma ha almeno due potenti patrocinatori, due alleati di ferro che non hanno nessuna intenzione di uccidere la gallina dalle uova d’oro. Il primo è lo Stato, il miserabile biscazziere sulla cui coscienza pesa la rovina finanziaria e sanitaria di moltissimi cittadini. Il paradosso vergognoso è che lo Stato italiano rivendica il monopolio della legalità ma incredibilmente legalizza e incentiva le attività criminogene che ne derivano. D’altra parte, non è forse lo Stato a imporre la scritta “il fumo uccide” sui pacchetti di sigarette e intanto fabbrica sigarette? Lo Stato ha interesse a vedere crescere il numero dei ludopatici anche se è costretto a spendere ogni anno una cifra che ormai si avvicina ai 7 miliardi per fare fronte ai costi sociali e sanitari che il GAP comporta per la collettività. Un altro paradosso è che sebbene l’Erario incassi una cifra superiore ai suddetti costi, tale cifra sta diminuendo in modo inversamente proporzionale all’incremento del giro d’affari. Difatti, in percentuale lo Stato sta incassando di meno da giochi e lotterie. Il gettito erariale proveniente dal gioco d’azzardo è sceso dall’8,2% del 2011 al 7,3% del 2012. Era il 29,4% nel 2004. A cosa si deve questa controtendenza erariale? Principalmente al fatto che i giochi introdotti negli ultimi anni hanno una tassazione inferiore ai precedenti, e ciò a vantaggio del pay out per i giocatori e dell’industria del gioco. Ad esempio, lo Stato ricava il 44,7% dai proventi del Superenalotto ma solo lo 0,6% dagli emergenti Poker cash e Casinò on line. Nonostante ciò, lo Stato, il cui comportamento è immorale, punta su una liberalizzazione e diffusione sempre maggiore del gioco d’azzardo per fare fronte ai bisogni di cassa. Presto apriranno le sale da poker, un’esigenza primaria per un Paese in grave crisi economica e sociale, con la benedizione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.   La ludopatia è un business irrinunciabile soprattutto per il suo secondo alleato, la mafia, che regge le fila dell’industria del gioco e ingrassa non solo in virtù dei suoi proventi, che controlla, ma anche con l’indotto (a cominciare dall’usura, giacché il giocatore non rinuncia a giocare e chiede soldi agli strozzini per continuare a farlo). Le infiltrazioni della delinquenza organizzata sono radicali e quello dei giochi è diventato un settore di punta nel business delle cosche (ne sono coinvolte almeno 49), da cui ricavano oltre 15 miliardi annui. Insomma, mentre la povera gente si rovina, i Casalesi, i Mallardo, i Santapaola, i Condello, i Mancuso e gli Schiavone – tanto per citare i clan più noti – accrescono la loro fortuna. In questo secondo caso è fuori luogo parlare di immoralità. Speculare sui “consumi ricreativi” (che bell’eufemismo!) o vizio che dir si voglia, è un’attività perfettamente coerente con la vocazione di chi opera nel campo della delinquenza. In fondo – ma non mi si fraintenda, non giustifico i mafiosi –  le organizzazioni criminali non fanno altro che approfittare della debolezza dello Stato, della paura dei gestori dei locali adibiti al gioco e soprattutto della stupidità dei giocatori. Personalmente, non avendo mai acquistato in vita mia un Gratta e Vinci, faccio fatica a capire le ragioni dei poveri di spirito che allettati dalla pubblicità invocano la fortuna e dei “poveri e malcapitati” scommettitori che non possono fare a meno di illudersi. Li compatisco, punto a capo. E ripenso a una frase dello scrittore Mario Puzo, autore del famoso Il Padrino: “Scommettere non è così distruttivo come la guerra e non è così noioso come la pornografia. Non è immorale come gli affari o suicida come guardare la televisione. E le percentuali sono migliori di quelle della televisione”. Traspare come una forzata giustificazione delle scommesse e per estensione del gioco d’azzardo in queste parole, che ovviamente non condivido. Piuttosto, se penso al gioco d’azzardo mi viene in mente Dostoevskij, un ludopatico hors catégorie. La sua vita fu rovinata dal gioco e nel libro Il giocatore, forse la sua autobiografia ideale, si lasciò andare a una confessione amara. “C’è una voluttà nell’estremo grado dell’umiliazione e dell’avvilimento”. L’umiliazione e l’avvilimento sono lo sconfortante budello in cui vanno a finire quasi tutti i giocatori ingannati dal miraggio della vincita. A che pro? C’è veramente un senso di voluttà nel rovinarsi la vita? Non so rispondere, non ho alcuna esperienza in materia. Ma so che a corteggiare scioccamente la fortuna si fa solo il gioco dello Stato biscazziere e della mafia.Mi sento altresì di affermare che se la ludopatia dilaga come un fiume in piena è perché le canaglie la incoraggiano e sostengono. Ci sta che un malavitoso non abbia scrupoli, però non accetto proprio l’idea che lo Stato si comporti canagliescamente.

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