![Il Gioco del Potere: la Parola al Pubblico? Il Gioco del Potere: la Parola al Pubblico?](http://m2.paperblog.com/i/146/1467421/il-gioco-del-potere-la-parola-al-pubblico-L-2ImGm_.jpeg)
Che definizione possiamo dare oggi del potere? È questo l’interrogativo alla base dello spettacolo-evento che il 30 ottobre ha aperto la stagione teatrale 2012/2013 del Piccolo Teatro di Catania. Il gioco del potere, questo il titolo dell’opera, per una sorta di “varietà semi-serio”: attraverso la figura del carismatico direttore Gianni Salvo, un po’ istrione un po’ presentatore un po’ intervistatore, e grazie ai numerosi, e bravi, attori della compagnia del Piccolo, si è passati da Tucidide a Verga, attraverso Brecht, autore d’elezione della serata, in un viaggio rocambolesco nelle descrizioni della forza del dominio. Politico, culturale, sensuale, il potere come metafora delle relazioni umane, come uno specchio di vizi e virtù applicate ad ogni organizzazione sociale.
Tra monologhi, canzoni, ballate, e una macchietta finale particolarmente divertente, lo spettacolo si lascia seguire in scioltezza; i “pezzi” sono intervallati da brevi riflessioni di Salvo che, come un collante, prova a legare insieme il succedersi delle esibizioni, tra le quali, non può essere taciuto, spiccano quelle di Egle Doria in un brano tratto dal Cyrano, e Alberto Orofino nella macchietta sopracitata.
Tuttavia, da Il gioco del potere, in tutta onestà, avremmo dovuto, e voluto, ricavare che esistono almeno due grandi “tipologie” di potere, come lo stesso Gianni Salvo dice in apertura: quello benefico e quello malefico. Invece imbocchiamo, come del resto in ogni buon varietà che tale si possa chiamare, la strada del quasi totale disimpegno, e la critica diventa lazzo; l’aggressione al problema scade nel ghirigoro, nel preziosismo vocale. Nell’agitare piume, come nelle rappresentazioni dei Peccati di Brecht, invero apprezzabili.
In questo contesto, sarebbe disonesto tacere di quella che è sembrata la nota più stonata: nella teoria, lo spettacolo prevedeva, infatti, dei momenti dedicati a interventi spontanei dal pubblico, al quale era rivolta la stessa domanda con cui abbiamo aperto, cioè: cosa è il potere?
(Ora è necessario passare al presente storico, in una sorta di “commedia” che appronto estemporaneamente per far comprendere cosa è avvenuto).
Primo atto: dopo qualche dimostrazione di dimessa timidezza, uno degli astanti prende la parola: partendo da una professorale definizione di tragedia, in opposizione alla commedia, giunge, per via di interminabili infiocchettature retoriche, al maestro Aristofane, con un linguaggio talmente forbito da distrarre gli altri inebetiti spettatori e spingerli al colloquio privato, in sottecchi, e quasi vergognoso.
Secondo atto: un altro egregio Dottore delle humanae litterae attacca un vaniloquio sulla povertà di idee del nostro presente, sulla decadenza morale (e, ci sarebbe da aggiungere, fisica degli spettatori torturati, tra i quali il Recensore, attonito) e sull’irreversibile compressione della cultura.
Terzo atto: il magniloquente savio di cui alla prima partizione ne approfitta per donare una postilla, parlando di “società liquida”, peraltro con riferimento, una volta tanto, coerente (a se stesso, non all’argomento della serata).
Epilogo: da un posto non lontano da quello del povero Recensore, una signora, non più nel fiore degli anni ma neppure con un piede nella fossa, sentendo dissertare di “società liquida”, di “società che è come l’acqua”, non trova migliore idea che esclamare, a volume non sufficientemente basso, che quello di cui si sta parlando si ritrova in Camilleri. Un divertente rebus.
Risultato di tutto ciò: il tentato happening non riesce, il ragno non si cava dal buco, anzi forse si contribuisce a imbucarlo quel tanto di più che, all’uscita, fa pensare: la parola al pubblico?
In copertina Bertolt Brecht (1898-1956)
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