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Il gioco del quarto potere

Da Maurizio Lorenzi

Il gioco del quarto potere

di Dalila Liguoro, tratto www.golem.it

Informazione e internet fanno fatica a convivere. Così come di opere d’arte, in cinematografia, ce ne sono ben poche rispetto alla miriade di boiate che fanno cassa, trovare della vera informazione in internet è roba da Oscar

I blog hanno rifiutato la possibilità di essere equiparati alle testate giornalistiche. Questo crea due effetti: il primo è che non hanno l’obbligo di rettifica diretta. Se qualcuno si sente offeso da un blog deve rivolgersi al garante della comunicazione e attendere che verifichino l’effettiva offensività degli argomenti. Il secondo effetto è che se però tentano di essere quello che hanno rifiutato di essere, cioè testate giornalistiche, o se giocano a farlo, possono essere oscurati come stampa clandestina. Insomma l’oscuramento diventa, paradossalmente, una sorta di certificato di informazione. Ma vediamo come quest’ultima si accosti al sempre più saturo e potente mass media che è ormai internet.

Il gioco del quarto potere
Informazione e internet sono due concetti che fanno fatica ad accostarsi, un po’ come film e opere d’arte. Così come di opere d’arte, in cinematografia, ve ne sono ben poche rispetto alla miriade di boiate che fanno cassa, allo stesso modo trovare della vera informazione in internet è roba da Oscar. Internet sembra simile a una antologia e i cosiddetti web-loger, da cui il termine blogger, sembrano volersi sentire liberi di raccontare favole, il problema però è che in molti di questi casi ogni riferimento a fatti o a persone reali non è puramente casuale! Ma i blogger vogliono sentirsi liberi di dire la loro. Basti pensare alla protesta di non molto tempo fa dei blogger che hanno insistito per non venire riconosciuti testate giornalistiche online, così da non doverne avere le stesse responsabilità tra cui il dovere di rettifica (Wikipedia ne fece una bandiera di questa protesta, eppure Wikipedia cresce proprio grazie alle rettifiche dei diversi utenti).

Blog e responsabilità. Sembra quasi di parlare di bambinoni che non vogliono essere responsabilizzati, preferendo rimanere nella loro condizione di mezzi adulti, eterni Peter Pan che non vogliono regole da seguire e battono forte i piedi forte per terra. Ed ecco che ci troviamo in un mare, anzi una rete (è paradossale che si navighi in una rete che per antonomasia intrappola) di ragazzacci che giocano, a volte pericolosamente, con le parole. E se le parole possono ferire più di coltelli, come la penna più della spada, il gioco diventa ancora più pericoloso. Questo parlare a vanvera su internet sta facendo sì che le persone non riescano più a formare un’idea propria. E a cosa potrà portare un popolo che crede che la verità sia direttamente proporzionale al numero di pagine web? A cosa potrà portare un popolo che non ha più solide idee in cui credere? Ancora una volta avremo commesso un errore da cui imparare; del resto anche i bambini, quando giocando con un oggetto pericoloso si fanno male, imparano a manovrarlo con cura.

Lasciare un segno. Tutti vorrebbero, sperano, di lasciare un segno. In internet, grazie a internet. E’ comprensibile. Blog deriva dall’inglese log che vuol dire appunto segno.  Ma lasciare un segno di sé e dei propri pensieri non vuol dire proporre (imporre) le proprie idee come dati di fatto. Le opinioni dovrebbero essere sempre, per l’appunto, “opinabili”.

La categoria che tutela. Proporre di far parte di una categoria, le testate giornalistiche, o crearne una nuova e meglio definita rispetto alle esigenze dei blog, può voler dire maggior tutela: se non si è testate giornalistiche registrate non si può giocare ad esserlo. E’ sempre bello per noi italiani paranoici pensare che lo Stato agisca solo per i propri scopi. Probabilmente questo è spesso vero, ma a volte i “propri scopi”, dello Stato, vanno di pari passo coi nostri interessi.

Il pericolo della lettura che convince. Un meccanismo diffuso per la nostra mente è quello di pensare come falsificabile ciò che ci viene detto a voce ma non ciò che leggiamo per iscritto, dove per iscritto si intende ormai anche il web. Del resto proveniamo da secoli di giornali e scritture che solo per il fatto di essere tali dovevano essere vere.

Liberi di non essere liberi, perché? Ma i blogger piuttosto che essere ipoteticamente costretti a rettificare talvolta quello che dicono, come la legge prevede per i giornali lì dove le informazioni sembrino inesatte o incomplete; preferiscono a volte essere oscurati totalmente, penalità da cui il giornale è completamente libero. E’ un paradosso, vogliono essere liberi di non essere liberi, o è una questione di principio? O forse si è creata la solita notizia sensazionale che le persone non hanno neanche compreso, ma della quale parlare può essere trendy? E la domanda resta ancor più senza risposta (o forse ne trova una?) se riflettiamo sul fatto che neanche la stampa, o l’informazione in generale, è realmente obbligata a rettificare. Spesso proprio la sicurezza della qualità della propria informazione sfida la richiesta di rettifica, si vedrà poi in altra sede dove vi era l’informazione e dove la menzogna: lì dove la notizia risulti vera il giornale non è più obbligato a rettificare, anzi ha il merito dello scoop. Inoltre anche quando la rettifica venga pubblicata, dovrebbe essere presa semplicemente come una sorta di par condicio di opinioni: il lettore deciderà a chi credere e a chi no. Ma purtroppo questo è spesso chiedere troppo a persone abituate alle… sacre scritture.

Comunicazioni per la massa e spazzatura mediatica. I mass media hanno sempre avuto diversi tipi di comunicazione per la massa: la documentazione (documentari, enciclopedie ecc.) la quale per antonomasia è comprovata da documenti (che poi anch’essi siano falsificabili è un altro conto, l’importante è che in questi casi ciò che è falso sia vero per tutti); l’arte (libri, musica, film ecc.) soggettiva e opinabile, l’intrattenimento (giochi, quiz, reality ecc.) che si basa sul gioco e la finzione. Per quanto riguarda internet bisognerebbe considerare la maggior parte dei suoi contenuti come intrattenimento, alla stessa stregua dei reality.

I blog e l’oscuramento. Il nodo è il problema della stampa clandestina: che per legge vada oscurata non dipende dal contenuto scottante, ma dalla forma con la quale lo si propone. Nel caso di contenuti offensivi le vittime possono rivolgersi al garante delle comunicazioni per chiedere la censura. Dunque anche per i blogger c’è una forma di rettifica: hanno deciso di essere intrappolati sia dallo spettro dell’oscuramento sia dallo spettro della rettifica. Che amino le repressioni per poterne parlare male, o hanno semplicemente sbagliato la direzione della loro rivoluzione? La vera rivoluzione sarebbe la capacità di far lavorare da soli gli ingranaggi del cervello: forse quel giorno potremmo essere tutti dei veri giornalisti, senza più sentire il bisogno di lasciare un segno ma soltanto per capire per noi stessi il mondo. Speriamo che non sia fatto di carta, e neanche di web!


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