(è la parte iniziale del mio ultimo articolo, la versione completa la trovate come al solito qui)
La Turchia vuol diventare l’hub energetico del continente eurasiatico: l’area di passaggio preferenziale dei gasdotti e degli oleodotti da East a Ovest, l’attore geopolitico che contribuisce a determinare tracciati e prezzi e che vuole assicurarsi le fonti necessarie – e quanto più possibile diversificate, per tipologia e per provenienza – al proprio sviluppo economico. La sua rilevanza cruciale nel grande gioco dell’energia è stata al centro dell’Energy and Economic Summit – giunto alla quarta edizione – organizzato dall’Atlantic Council a Istanbul, il 15 e 16 novembre; per essere precisi, è il terzo che si è tenuto a Istanbul (il primo venne organizzato nel 2009 a Bucarest) e il primo con questa denominazione: gli altri tre hanno avuto come focus il bacino del mar Nero, quest’anno si è più ampiamente discusso di Asia centrale, di area del Caspio, di Africa settentrionale, di Afghanistan, di Cina, di Iraq, di Iran.
Si è voluto dar rilievo, insomma, al ruolo decisivo della Turchia come anello di congiunzione tra molteplici sistemi regionali sempre più interconnesse; e Robert Blake, sottosegretario al Dipartimento di Stato con responsabilità per l’Asia centrale e meridionale, ha sottolineato nel suo intervento a uno dei dei panel proprio come la geopolitica dei flussi non è più un gioco a somma zero in cui ci sono vincitori e vinti, ma una opportunità di ricchezza per tutti (e soprattutto per gli stati meno sviluppati): citando il Ministro degli esteri del Kazakistan, ha auspicato il passaggio dal great game – la competizione geopolitica tra le potenze imperiali del XIX secolo oggi di nuovo in auge – al great gain, al “grande guadagno”.
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