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Ecco la mia autobiografia in musica che prosegue idealmente quelle di Minerva Jones, Lucien e Indie Rocker e magari quelle di altra gente, ma non è che adesso posso stare a citare tutto il mondo...
Questa è la mia storia con la musica ed è una storia che parte da lontano. Non così lontano. Non da Elvis o dai Beatles. Non sono così vecchio, cazzo. La mia storia parte da Cristina D’Avena. Perché la storia del mio rapporto con la musica è piena di momenti imbarazzanti e non so se ciò sia dovuto al periodo storico in cui sono nato e cresciuto (quello a cavallo tra gli 80s e i 90s che qualcuno potrà considerare terribile), o se ciò è dovuto ai miei discutibili gusti (cosa probabile) o al fatto che qualcun altro raccontando la sua storia personale preferisce citare solo tutti i gruppi giusti, omettendo volutamente i dischi della vergogna (bravi furbastri!). Io che ormai la dignità l’ho persa da molto tempo ho però preferito riportare tutto, senza censure.
La copertina me la ricordavo un filino diversa...
Il primo step come anticipato è stato con le sigle dei cartoni animati di Cristina D’Avena, come penso in molti altri della mia generazione (ma anche di quelle precedenti e pure successive, visto che Cristina D’Avena è ETERNA) e la prima musicassetta che i miei genitori mi hanno appioppato è stata un qualche volume di Fivelandia. Siete nati con l’iPod e non sapete cosa diavolo sia una musicassetta? Come fare a spiegarvelo? È quell’oggetto strano con un nastro avvolto intorno che si sfilacciava sempre e quando la suonavi sul registratore sentivi il rumore fastidioso del nastro che girava e la qualità era davvero rudimentale e sì, insomma, è quell’oggetto che sembra un VHS, solo più piccolo. Ah già che non saprete nemmeno cos’è, un VHS. Vabbè, googlatevi allora la parola “musicassetta” e capirete senza farmi perdere ulteriore tempo.Il primo impatto con la musica non fanciullesca è però avvenuto solo successivamente, nel periodo 1995/96, quando facevo terza media. Fino ad allora non mi ero mai interessato molto a band e artisti, ma è in quel periodo che per me tutto è iniziato. Ho cominciato ad appassionarmi alla musica con Radio Deejay e con Mtv. Sì, è vero, e non me ne vergogno affatto. Allora Mtv era ancora Mtv Europe e andava in onda se non ricordo male su Tele+ 3 e poi venne la prima Mtv Italia con Andrea Pezzi ed era una figata pure quella e c’erano anche Videomusic poi diventata TMC2 poi diventata Viva poi diventata qualcosa d’altro. Non me ne vergogno perché sono contento di essere cresciuto dando attenzione a tutti i generi musicali, dall’alternative rock al brit-pop, dal pop commerciale all’hip-hop fino alla musica elettronica, un aspetto magari scemo magari folle che ho comunque mantenuto nel corso degli anni e che mi ha portato a considerare Daft Punk o Chemical Brothers molto più rock di AC/DC o Deep Purple (sbadiglio in automatico al solo menzionarli). Per dire.
La prima musicassetta (e sì, c’erano ancora quelle e costavano meno dei CD) che ho comprato volontariamente è stata “(What’s the Story) Morning Glory” degli Oasis. Allora stavo proprio in fissa con il brit-pop e con il post-grunge. La fase grunge vera e propria invece me la sono persa. Quando ho iniziato ad ascoltare musica Kurt Cobain era morto da poco e per me è sempre stata una presenza mitologica, un mistero ancora inspiegato. Kurt era l’esatto opposto dei tanti idioti in giro oggi. Lui aveva talento, genio vero, ma non poteva reggere tutto il successo che questo gli aveva portato nella sua vita. Adesso vogliono tutti diventare famosi senza essere capaci di fare niente. È l’esaltazione della medietà, della reality-fama, di una ricerca che io non ho mai compreso. Forse è per questo che la fuga di Kurt da tutto questo, per quanto tragica ed estrema, mi è sempre sembrata affascinante e poi non così priva di senso. La ricerca del successo a tutti i costi, quella sì mi sembra assurda.
Sono cresciuto con quest’ombra, questo fantasma di un periodo che non sono riuscito a vivere “live” per pochissimo. La mia adolescenza si è quindi inserita fondamentalmente dentro il periodo post-grunge da male di vivere capitanato dagli Smashing Pumpkins, cui è seguito l’arrivo, come un vero Avvento, di quel botto di “Ok Computer” dei Radiohead. Però ascoltavo davvero di tutto, il rap di 2Pac e Fugees e Coolio con “Gangsta’s Paradise” (il mio pezzo preferito da ragazzino), ma anche la dance tamarra di Gigi D’Agostino e del Deejay Time con Albertino e il trash pop di Spice Girls, Robbie Williams e Britney Spears. Lo so, ho ormai perso anche l’ultima ombra di dignità rimastami attaccata addosso.
La tappa successiva nella mia crescita musicale è stata segnata da Napster. Se ho acquistato il mio primo (ok) computer non è stato perché mi interessavo di informatica, o di videogame, o di porno (beh, magari quello un pochino), ma proprio per partecipare a quella rivoluzione musicale. Napster è stato il nostro ’68, il nostro modo di mandare affanculo il sistema, le casi discografiche, persino quell’Mtv con cui siamo cresciuti, e sceglierci da soli la musica che volevamo sentire, senza filtri o senza che qualcuno dall’alto ce lo imponesse.Napster ha sicuramente cambiato la mia vita, non so se in meglio o in peggio, e anche i miei gusti musicali. Da lì in poi nell’ultimo decennio mi sono spostato sempre di più verso l’elettronica, l’hip-hop e verso quei gruppi indie e sconosciuti che prima era un’impresa procurarsi nel negozietto di dischi locali (visto che spesso in Italia non venivano nemmeno distribuiti) e tutta la musica del mondo è diventata finalmente a portata di click. Una vera goduria soprattutto per chi come me si annoia a sentire sempre lo stesso artista e lo stesso gruppo e lo stesso disco e lo stesso genere e le stesse canzoni mandate a memoria e vuole invece ascoltare cosa?TUTTO