Di Ennio Emanuele Piano il 12 ottobre | ore 13 : 40 PM
Nessuno, fin dall’inizio (ovvero lo scorso febbraio), aveva la benché minima intenzione di ficcare il naso negli affari (di famiglia) di Bashar el Assad. Inizialmente si disse che Assad non era un dittatore come gli altri, aveva studiato a Londra (oftalmologia), ha una moglie giovane ed emancipata, perciò non poteva che essere un “riformista” (cit. Hillary Clinton, 27 marzo 2011) costretto suo malgrado a governare col bastone un popolo troglodita, ottuso, violento e pericoloso. Poi, quando i morti superarono il migliaio, sostenere che il giovane Rais fosse un riformista non si poteva proprio, perciò fu necessario trovare una nuova scusa: gli equilibri della regione, lo status quo. Se dovessimo intervenire in Siria, dicevano (uno per tutti Sergio Romano), sarebbe il caos, perché è ciò comporterebbe il coinvolgimento dell’Iran, sarebbe la guerra, guerra senza fine. Nulla importa che l’Iran fosse coinvolto sin dall’inizio, data la presenza dei pasdaran a Damasco per dare manforte al Mukhabarrat siriano. Ora che i morti si apprestano a superare quelli causati dall’undici settembre, il motivetto degli antiinterventisti “senza se e senza ma” si accompagna alle note già sentite del mantra “è una guerra civile, non possiamo intervenire!” e “dall’altra parte ci sono gli islamisti” meglio Assad che almeno è laico(?), il quale però deve darsi una mossa a “risolvere la questione”, così che possiamo sotterrare nel profondo della coscienza il senso di colpa per le vagonate di morti ammazzati, e tornare a discettare di eurobond, debito greco eccetera. Si potrebbe controbattere a quest’ultima strampalata argomentazione, sbattendo in faccia a chi la pronuncia la realtà dei fatti: fin ora non risulta alcun episodio di terrorismo suicida nel fronte anti Assad, né fatawa in questo senso da parte di autorità religiose; al contrario, Ahmad Bader Hassun, Gran Muftì della Siria e fedele al regime ha minacciato che chiunque oserà intromettersi nelle faccende di Damasco (ma aggiunge anche il Libano, e possiamo solo immaginare il perché) avvertendo che i fedeli di Assad sono pronti a “immolare i propri figli” contro lo straniero.
La paura del regime alawita non è certo quella di un intervento ONU, assolutamente improbabile dopo la bocciatura della sterile condanna delle violenze a da parte di Russia e Cina (bocciatura salutata da Assad come “storica”), né quella dell’Unione Europea che da sola non può nulla, mentre Obama, che alle “guerre di Bush” ne ha già aggiunto troppe per potersi permettere un altro fronte, ed in Medio Oriente per giunta. Al massimo può dirsi preoccupato per l’atteggiamento dell’ex amico fraterno Erdogan, ma anche lui alle roboanti parole non ha fatto seguire nulla. Insomma, la crisi siriana somiglia sempre più ad una tragicommedia dove ognuno recita la propria parte: Russia e Cina ora chiedono che Assad attui finalmente le promesse riforme, ora lo difendono nei consessi internazionali; le nazioni europee fanno a gara a chi condanna le violenze usando il maggior numero d’aggettivi, ed unicamente per scopi di politica interna; ed infine Obama sta muto come un mimo. Il solito vecchio gioco delle parti.