“Non è certo la prima volta che nello studio dei processi umani ci imbattiamo in qualcosa che, espresso in termini non scientifici, ci è assolutamente familiare, ma che, nel momento in cui cerchiamo di spingerlo in un modo di pensare tradizionale o in qualche forma logica, finiamo per violentarlo fino a renderlo irriconoscibile, concludendo che non esiste solo perché non riusciamo a parlarne come vorremmo. Mi pare che non dovremmo arrivare a questa conclusione. Dovremmo piuttosto prendere atto che non disponiamo di alcun concetto in grado di pensare il gioco in modo soddisfacente“. (Alex Bavelas)
Il gioco viene talvolta visto come un’attività non seria e come mero passatempo, eppure moltissimi studiosi hanno sottolineato la massima serietà che è insita nel gioco, soprattutto in quello infantile. In modo particolare Maria Montessori (geniale pedagogista) ha rilevato la presenza nel bambino di un vero e proprio istinto al lavoro che lo spinge ad operare e a costruire, attraverso il gioco, quello che sarà l’uomo di domani. Il gioco infatti, come abbiamo già visto in precedenza, è un lavoro gratificante volontario che richiede impegno e dedizione. Anche Huizinga (grande storico olandese) ha affrontato questo problema e per rispondere all’antitesi gioco-serietà afferma nel suo celebre Homo Ludens: “ l’indeterminatezza dei limiti fra gioco e serietà in nulla è tanto evidente come in quel che segue. Si gioca alla roulette e si gioca “in borsa”. Nel primo caso il giocatore ammetterà che la sua azione è un giocare, ma nel secondo no. Comprare e vendere nella speranza di incerte possibilità di aumento o ribasso dei prezzi vale come parte integrante della “vita commerciale” della funzione economica della società. In ambedue i casi citati si ambisce a un guadagno. Nel primo si ammette in generale la mera casualità delle contingenze, ma neppure sempre, perché ci sono dei “sistemi” per vincere. Nel secondo caso il giocatore si lusinga in certo modo di poter calcolare la tendenza futura del mercato. La differenza d’atteggiamento spirituale è minima”. Inoltre sempre nella sua opera, Huizinga propone una definizione di gioco che è stata messa in discussione più volte durante gli oltre settant’anni trascorsi dalla sua pubblicazione. Lo studioso infatti afferma che il gioco “è un’attività che non ha alcuna connessione con interessi materiali, e dalla quale non si ricava alcun profitto”, tale concezione ha portato però Huizinga a trascurare i giochi d’azzardo e tutti quelli in cui vi è un premio in denaro in palio (i quiz televisivi ad esempio). Infatti se le motivazioni che spingono a giocare d’azzardo sono da ricercarsi nel piacere di abbandonarsi al destino, e nel percepire quel senso di “onnipotenza” cercando di scommettere su qualcosa di imprevedibile, è pur vero che molto spesso si gioca nella speranza di poter migliorare la propria condizione economica. Oltretutto se pensiamo agli sport invernali come lo sci o lo snowboard e alla realizzazione di strutture/equipaggiamenti ad essi correlati (ad esempio gli impianti di risalita), ci accorgiamo della loro grande importanza in tutte le economie moderne. Oppure l’industria videoludica che, a livello internazionale, quest’anno farà registrare vendite per circa 100 miliardi di dollari. Cosi come il giro d’affari legato all’acquisto dei migliori sportivi (calciatori e professionisti di grande abilità) in grado di richiamare vaste folle di spettatori o le cifre astronomiche sborsate dalle reti televisive per ottenere l’esclusiva dei diritti di trasmissione; evidenziano, ancora una volta, il profondo legame che intercorre tra gioco e interessi materiali. Un’altra importante contraddizione presente nel fenomeno ludico è quella tra reale e virtuale che viene esemplificata dalle seguenti constatazioni: nell’ambito del pensiero primitivo tanto la lotta seria con le armi quanto la gara o l’agone (che va dai futili giocherelli fino alla lotta cruenta e mortale) sono tutti compresi insieme nel concetto primario di gioco autentico e di un rischio mutuo regolato da date leggi. Inoltre nelle società tradizionali i giochi possono essere anche una questione di vita o di morte è il caso tipico del Pelota, praticato in Mesoamerica (noto già ai Maya, di cui probabilmente ne furono gli inventori). In questo gioco, che rifletteva il significato cosmico, i singoli individui mettevano alla prova i propri poteri contro quelli dell’universo in un radicale gioco d’azzardo. Vi erano anche scommesse sui risultati e i governanti come Nezuahualpilli, potevano arrivare a mettere in palio tutto il loro regno. Le testimonianze archeologiche, inoltre, sembrano indicare che la squadra perdente fornisse vittime per sacrifici umani. E ancora, la versione giapponese del gioco forbici, carta e pietra (nota come Janken) era utilizzato per selezionare i piloti kamikaze per le missioni suicide negli ultimi mesi della guerra del Pacifico. Nella credenza giapponese sono i kami (spiriti) che decretano chi deve vincere o perdere. Inoltre intere nazioni possono essere coinvolte nei risultati degli incontri sportivi, al punto da scatenare vere e proprie guerre come avvenne nel 1969 tra Honduras ed El Salvador in seguito a una partita di calcio tra i due paesi.
Infine un’altra importante considerazione su cui vale la pena di riflettere è la seguente: un rocciatore, un alpinista, uno sportivo estremo o un giocatore d’azzardo, se compiono mosse sbagliate, possono mettere in pericolo la loro vita o il proprio benessere economico. I mondi creati dal gioco allora non sono meno reali e gravidi di conseguenze di quelli della cosiddetta vita ordinaria. Risulta quindi, almeno in parte, sbagliata la classica definizione del gioco come attività separata dalla vita “quotidiana” o “vera” e considerabile come mero artificio.
Il conflitto tra l’ideale e la realtà assegna a certi giochi un ruolo culturale, economico e politico assolutamente speciale nella società (moderna o tradizionale). Huizinga stesso era consapevole del paradosso e concluse il suo famoso saggio (Homo Ludens 1938) chiedendosi se la vita umana stessa non fosse altro che un gioco. Dopotutto quella che noi chiamiamo realtà umana (fatta di norme e rituali) non è forse frutto della nostra immaginazione? Pensiamo al sistema economico e finanziario globale ad esempio.
Nel corso del tempo i più svariati studiosi (filosofi, pedagogisti, psicologi e biologi) si sono dedicati all’analisi del fenomeno ludico, tra questi troviamo:
- Visalberghi che ha paragonato il gioco alla ricerca scientifica, in quanto entrambe le attività proiettano l’individuo nella fertilità dell’esperienza.
- Frobel che coglie nel gioco la possibilità che ha l’uomo di esprimere attività sensoriali, motorie e linguistiche.
- Claparede che vede il gioco come estrinsecazione e espressione dell’intera persona.
- Wallon ritiene che il fare “come se” non è, né per il bambino né per l’adulto, un rinunciare al concreto, bensì rappresenta una preoperazione per risolvere la stessa realtà.
- Piaget considerando la funzione impaginatrice che è insita nel gioco, sostiene che “essa è il motore di ogni ulteriore pensiero e anche della ragione”.
E se diamo un’ulteriore occhiata qui sotto, notiamo la grande varietà di significati attributi al gioco:
Progresso: Gioco come Adattamento
Preparazione (Groos), Istinto (Mc Dougall), Apprendimento (Thorndike), Sviluppo delle abilità (P.Smith), Esplorazione (Berlyne)
Fato: Gioco come Ottimismo Esistenziale
Chance/Possibilità (Pascal), Il gioco di essere (Heidegger),
Ottimismo esistenziale (S-S)
Potere: Gioco come Egemonia
Game theory (Von Neumann), Playfighting (Aldis), Competizione (Huizinga), Potere (Spariosu), Serious games (C.C. Abt), Modelli di potere (J.M. Roberts), Egemonia (Mac Aloon), Maestria nel giocare (Maccoby), Agonistico (Loy), Surplus di energia (Schiller), Piacere di essere la causa (Groos) Caparbietà (Nietzsche)
Identità: Gioco come Contesto Sociale
Legame madre-figlio (Harlow), Comunità (Turner), Analisi del frame (Goffman), Gioco d’azzardo (Hughes), Festival di nonnismo (Noyes)
Immaginario: Gioco come Trasformazione
Finzione (Fein), Immaginazione (J.Singer), Gioco simbolico ( Bretherton), Methexis (Huizinga), Gioco dei significanti (Derrida), Improvvisazione (Sawyer, Drewal), Gioco di luci e ombre (Schechner), Forme narratologiche (Bruner)
Personalità/ L’Io: Gioco come Performance
Auto-consumatore (Veblen), Flusso: esperienza ottimale (Csikszentmihalyi), Stato emozionale positivo (Lewis), Motivazione intrinseca (Rubin), Ottimismo (Vandenberg), Agentività (Bruner), Performance (Bauman, Garvey, Gerstmyer)
Il GIOCO è … IMMAGINAZIONE
Ora se le cose stanno cosi, se al termine gioco vengono attribuiti cosi tanti significati (spesso anche distanti fra loro), un buon motivo deve pure esserci. Evidentemente c’è qualcosa in comune tra sport, gioco infantile, videogiochi, performance, gioco d’azzardo …
Un elemento importante che lega il tutto sotto il termine di “gioco”, appunto.
Ma qual è questo elemento? Gran parte delle definizioni fa riferimento a stati emozionali di ottimismo e piacere, perché il gioco è soprattutto una percezione particolare. L’elemento cardine è quindi: una particolare condizione di approcciare la realtà. Ispirandoci a una citazione dello studioso Clark C. Abt (“a game is a particular way of looking at something, anything”) possiamo affermare che il gioco è un modo particolare di approcciare la realtà e vedere le cose. Solo una definizione del genere riesce a contenere la vastità di significati e attività che si riconducono al gioco. Quindi il gioco è innanzitutto uno schema mentale particolare. Infatti il bambino tende ad identificare spontaneamente la vita con il gioco poiché ha un modo diverso di guardare la realtà, cosi vive la vita con gioia, curiosità, creatività e immaginazione. Ecco perché, a questa età, non è distinguibile una differenza tra gioco e lavoro. Gli sport o qualsiasi gioco regolarizzato sono un invenzione della nostra mente e trasformano un’azione particolare (come calciare una palla) in un costrutto mentale fatto di regole e obiettivi precisi oppure nei videogiochi vengono “tradotte” in linguaggio ludico situazioni di ogni tipo.
Questo modo particolare di vedere e sperimentare la realtà ha delle caratteristiche che sono riconducibili nelle seguenti categorie:
- Paidia: divertimento libero, gioia, sperimentazione, curiosità, creatività. Presente soprattutto nel gioco infantile
- Agon: bisogno di affermarsi, esprimere le proprie competenze, esprimere la propria personalità, ambizione ad essere il migliore, mettere alla prova le proprie capacità.
- Ilinx: ricerca della vertigine, dell’ebbrezza. Piacere di perdere la propria stabilità fisica, adrenalina.
- Mimicry: piacere di travestirsi e “essere un altro”, piacere di fare “come se”, creatività,invenzione, sperimentare nuove realtà.
- Alea: piacere di abbandonarsi al destino, sensazione di onnipotenza, piacere nel cercare di prevedere l’imprevedibile.
Il gioco è quindi anche identificabile come qualsiasi tipo di attività svolta per ottenere come fine immediato il piacere e la gratificazione, attraverso il conseguimento di un risultato. Infatti il piacere scaturisce sempre da qualcosa che ci dà soddisfazione: il bambino prova gioia nel gioco perché consegue un risultato (ad esempio riuscire ad afferrare una pallina o un oggetto generico), prova piacere perché si rende conto del suo potere sugli oggetti e della sua capacità di affermare la sua volontà . Cosi come il un videogiocatore gioca per affermarsi conseguendo un obiettivo (come superare un livello) o un giocatore d’azzardo cerca di ottenere il favore del destino e al contempo vincere dei soldi.
“Non conosco altro modo più serio di affrontare i problemi della vita che non sia il gioco”.
Friedrich Nietzsche
Platone nelle “Leggi” definì il gioco come “la forma più giusta di vita”
CONSEGUENZE
Un altro esempio lampante che supporta queste considerazioni è la gamification. Quest’ultima grazie all’utilizzo di meccaniche e dinamiche ludiche (ad esempio punti, livelli, premi) permette di riconfigurare la realtà e estrapolare l’aspetto ludico insito nella realtà. Infatti il gioco è latente in ogni attività umana, proprio per la sua caratteristica di essere una forma mentis. Tutto può essere e diventare un gioco. Tutto può diventare una sfida e un confronto con noi stessi o con gli altri. Come ad esempio ha dimostrato Chore Wars, un gioco di realtà alternativa, che sulla falsariga delle quest di World of Warcraft permette di divertirsi pulendo nella realtà. Proprio cosi. I lavori domestici vengono trasformati in una gara tra colleghi d’ufficio, compagni di stanza e familiari. Il suo obiettivo è aiutarvi a tenere conto del numero di lavori domestici che svolgono le varie persone e spingere tutti a farne di più, in modo più allegro. Tutto ciò viene portato avanti grazie a delle regole, obiettivi chiari e un sistema di feedback che fornisce un più chiaro risultato del nostro impegno. Quanti più lavori domestici si portano a termine, tanti più sono i punti esperienza e l’oro virtuale che si guadagnano. Le istruzioni del gioco sollecitano, inoltre, i partecipanti a inventare modalità creative per riscattare l’oro virtuale con una ricompensa “reale” (ad esempio una mancia, una bevuta o un caffè tra colleghi). Chore Wars, pur essendo poco conosciuto, ha avuto un impatto molto positivo sulle persone, come testimonia una mamma del Texas che racconta di non aver mai visto suo figlio di otto anni rifarsi il letto da solo ed è quasi svenuta quando ha visto che suo marito ha pulito il tostapane. Questo è avvenuto grazie a un gioco che ha modificato la percezione e il modo di affrontare le pulizie di casa, ristrutturando quindi la realtà. Tale caratteristica, tra le altre, rende i giochi uno “strumento” davvero incredibile e sotto questa forma (di agon, di competizione e sfida) viene fuori anche la qualità di medium unico e speciale. Il gioco è anche uno straordinario mezzo di espressione che permette di confrontare e mettere alla prova le nostre abilità; consente quindi l’espressione della nostra intera personalità.
Come ha detto Jane McGonigal nel suo grandioso libro “Realtà in gioco”: “Possiamo giocare a tutto quello che vogliamo. Possiamo creare qualsiasi futuro possiamo immaginare. Che i giochi abbiano inizio!”
Questo articolo rappresenta un ulteriore passo in avanti nell’analisi del complesso fenomeno ludico, ma è anche un trampolino di lancio per nuovi viaggi. C’è ancora molto da dire e da discutere su queste considerazioni, si può parlare ancora moltissimo di gamification, le implicazioni di questa pratica, la teoria delle abilità e del medium espressivo. Al prossimo articolo quindi!
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