Magazine Diario personale

Il giorno che scelsi tra delitto e castigo

Da Chiagia

Io da piccolo ero asmatico e avevo gli occhiali.
Quindi, capirete, qualcuno lassù mi stava dicendo che non ero adatto per fare sport.
Lo so che ci sono miriadi di miriadi di sportivi con asma e occhiali ma io, no, non ero destinato a far parte di quella categoria.
Fatto sta che a dispetto delle mie menomazioni volevo comunque giocare a pallone con i miei amici e per fare ciò ero pronto a sfidare i divieti di mamma e papà.
Il trucco era di smettere di giocare un po’ prima dell’ora di tornare a casa, per recuperare dal mio copioso sudare e presentarmi in uno stato compatibile con la dichiarazione “no, non ho giocato a pallone”.
Un maledetto giorno da cani, tuttavia, accadde l’irreparabile.
Stavamo giocando al solito posto – Via Falconi – interrompendo la partita per l’arrivo delle automobili (il grido era “Machina!” con una c) e riprendendo con opinabili falli laterali.
A un certo punto il mio perfettibile tiro – ahimè, non migliorato da allora – ha spedito il pallone oltre la recinzione di una sontuosa villa che in qualche curioso modo era finita in quella vietta di periferia.
E poichè, come noto, nella pallastrada tocca a chi spedisce fuori il pallone l’onere di recuperarlo, mi sono accinto al campanello. Ma prima ancora che potessi premerlo il cancello, zat, si è aperto da solo.
In quel momento non mi sono fatto granchè domande, sono entrato e mi sono messo a cercare il pallone. Trovando invece davanti a me il castellano, che stava uscendo e perciò aveva aperto il cancello.
Tu cosa fai qua dentro, deve aver detto prima di colpirmi con uno schiaffone.
A quel punto, recuperato il pallone e passato il bruciore sulla guancia, non restava che decidere cosa fare di fronte a (quel che mi sembrava) un gratuito e inutile gesto di violenza.
Se non lo avessi detto ai miei gliel’avrei fatta passare liscia, a quel bastardo che picchiava i bambini.
Se lo avessi detto ai miei mi avrebbero chiesto come mai ci ero entrato, ah per recuperare il pallone, ah quindi giocavi, ah gli occhiali, ah l’asma e avrei quindi ottenuto una replica dello schiaffone, stavolta in versione nostrana.
Alla fine feci prevalere il mio spirito giustizialista e denunciai l’aggressore.
Non ricordo bene la reazione dei miei: i genitori di oggi probabilmente muoverebbero con una divisione di panzer ma all’epoca si usava un metro educativo diverso.
Probabilmente compensai la mancata punizione per aver giocato a pallone con un inasprimento dei controlli sulle mie uscite, e per un po’ in Via Falconi mi limitai a fare il cronista sportivo.

Epilogo: una ventina di anni dopo ho dato un passaggio in macchina da Genova a Spezia, alle tre del mattino, alla moglie dell’aggressore. Avrei potuto mollarla a metà di un viadotto ma, si sa, non sono un tipo vendicativo.



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