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Il Giorno dell'Apocalisse - 1

Creato il 04 agosto 2013 da Marcar

 

IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato

puntata numero 1

Prologo

La capanna ai margini della giungla era immersa in un’oscurità soffocante. La notte non aveva portato sollievo al giovane tedesco steso su un’amaca del patio. La vegetazione di bassi palmizi era scossa, ogni tanto, da pigre folate di vento appiccicoso, caldo, insopportabile. Ed intorno un silenzio quasi assoluto, presagio di un uragano ormai vicino. Il Brasile era anche questo.

La porta della capanna si mosse lentamente, cigolando.

“ Maledetto, stupido vento! “ pensò il ragazzo, balzando giù dall’amaca, con la corta rivoltella in mano. Ormai agiva seguendo i suoi riflessi condizionati: era al massimo della tensione. Due mesi di fuga attraverso l’Amazzonia, braccato dagli agenti del controspionaggio americano, avevano fiaccato il suo animo e logorato il suo corpo imponente. Ma non aveva scelta. Doveva aspettare il momento del contatto con l’agente di Manaus. Del resto, i documenti in suo possesso potevano valere anche una promozione o almeno un encomio solenne; ma doveva seminare i suoi inseguitori, raggiungere la città e spedire la lettera, come al solito. Un duello a carte scoperte con i suoi angeli custodi. Il Tedesco li aveva individuati ben presto, durante il suo soggiorno a Rio, mentre continuava la sua attività spionistica, spacciandosi per il corrispondente di un’agenzia di stampa svizzera; ed aveva svolto il suo compito diligentemente, beffandoli ogni volta. Poteva inviare quanti messaggi in codice voleva: messaggi che il nemico non avrebbe mai potuto intercettare…

Il giovane rientrò nella capanna precipitosamente, spinto da un’intuizione improvvisa. Ci doveva pur essere un motivo se i due cani yankee si erano limitati a seguirlo senza nemmeno cercare di azzannarlo!

La finestra era aperta, la zanzariera metallica a terra. Vide la piccola indigena che aveva confortato le sue notti allontanarsi velocemente nell’oscurità quasi assoluta. Accese una candela con le mani tremanti: la ragazza aveva forse trovato qualcosa?

I pochi oggetti personali erano sparsi sul pavimento d’assi di legno, insieme alle scarse provviste… aveva proprio rovistato ovunque, la puttanella! Mancavano tutte le lettere in tedesco. Poco male. Ricordava a memoria il contenuto d’ogni rapporto, e la sua apparecchiatura portatile non era stata toccata…

Henkel si destò, al suono del telefono. Una voce calda, familiare, gli annunciò che il Piano Apocalisse era molto vicino. Si alzò quindi dal letto, controllò i bagagli, il biglietto della Pan Am, le carte di credito. Poi, si avvicinò alla finestra, pensando che avrebbe visto quel panorama per l’ultima volta. New York gli piaceva, indubbiamente, ma non provò alcun brivido, avendo vissuto molte volte momenti simili, in settant’anni.

L’ex nazista scacciò in fretta i ricordi. Doveva cercare un taxi per raggiungere l’aeroporto.

La  notte addosso

A quest’ora Roma dimentica ogni rumore, ogni profumo. Niente suono di chitarre stonate, niente echi di stornelli masticati tra i vicoli… solo il tocco stridente delle mie scarpe sulle pietre della strada. Ed intorno una notte pesante, opprimente. Un orologio lontano suona la mezzanotte, mentre quello del campanile che ho di fronte tace. Ecco, lì sotto, Marietta del rione Monti, seduta sul solito gradino. Guarda la luna, immobile; non fa la vita, la conosco: è una ragazza pura, un po’ selvatica. E allora, perché è lì, a quest’ora? Non ferisce anche lei questo silenzio che sa di morte? Perché, Dio, perché guarda in alto verso quella luna idiota?

Ora anche l’orologio della chiesetta batte la mezzanotte… metà notte.

La notte è una cosa strana, stucchevole, idiota anch’essa, come quella luna spudoratamente bianca in mezzo a tanta oscurità. La notte finisce subito dopo la sua metà, perché un minuto oltre mezzanotte è già mattino. Non è forse incredibilmente sciocco, tutto questo? Non c’è nulla a questo mondo che finisca subito dopo la sua metà! Dio, come mi duole la testa!… E la luce della luna, si sa, è falsa perché rubata al sole. Sa di menzogna lurida, spregevole, ed io odio tutto quel che mostra la luna. Perché Marietta continua a fissarla? Cosa crede di scorgere? Vorrei poter alzare anch’io lo sguardo, ma non posso.

Oh, finalmente s’è accorta della mia presenza, e mi guarda. Non sorride, non batte ciglio. Mi avvicino. Mi conosce e non ha paura, ma guarda il mio viso. O, forse, la luna, dietro la mia testa.

Cosa ci trova, di così interessante, in quella dannata luna?!

Mi volto di scatto, furioso: devo riuscire ad alzare lo sguardo verso l’odioso disco bianco!

Ma non è bianca… La luna è rossa… Dio, quant’è rossa, penso, stringendo le dita sul collo della ragazza che non può gridare, mentre le mie unghie strappano la pelle vellutata, forano la carne, inondate dalla vita che fugge, calda, a rivoli sempre più abbondanti, rossa come la luna…

E’ doloroso svegliarsi dopo un sogno simile. Sono sudato, ho la gola secca e mi fanno male gli occhi. La quarta volta che rivivo lo stesso incubo in una settimana! Mi sto facendo suggestionare dal mio lavoro, l’ennesima sceneggiatura di un film dell’orrore… che assurdità. Se lo dico a  Claudine, riderà a crepapelle. Ma sta ancora dormendo beatamente. E sono già le sette. La luce del mattino, tiepida, leggera, gocciola dalle persiane e va a bagnare il suo corpicino levigato. Questa ragazzina francese è incredibilmente bella, ed anche spregiudicata al punto tale da concedersi completamente pur di raggiungere il suo obiettivo. E sta bene così.

- Claudine, tesoro, sveglia! Hai il provino alle otto e mezza! - accarezzo i suoi dolcissimi fianchi e tesoromio apre gli occhioni verdi.

- E allora?… Che fretta c’è? - bofonchia la stupidella.

- Hai dimenticato il provino di stamattina? O vuoi fare la comparsa per tutta la vita?

Claudine lancia un urletto grazioso, rizzandosi a sedere sul letto; sta per precipitarsi sotto la doccia ma si ricorda dei suoi doveri di aspirante attrice, torna indietro e mi bacia sulla bocca. Ora può correre sotto la doccia, ed io in cucina.

- Cosa vuoi per colazione?

- Lo sai, no?

- Sì che lo so (sono tre giorni che me la porto a letto), ma le arance sono finite. -

- Allora… quello che mangi tu!

Bene, quello che mangio io, per due. Sono piuttosto bravo in cucina (l’abitudine di vivere solo) e dopo cinque minuti la colazione è già in tavola. Arriva la ragazza, tutta sorridente, illuminando la mia cucina con la sua allegria; indossa l’accappatoio che piaceva tanto a Sara. Guarda, con falso stupore, la colazione fumante.

- Cosa? - strilla - Caffelatte, toast, uova al prosciutto, burro, miele e marmellata?! Sei matto: questa roba fa ingrassare! - protesta.

- Eh, sì - confermo, masticando le mie uova - ma basta fare un po’ di sport. Eppoi, questo mangio io, di mattina. Ora, siedi e mangia; sei già fuori orario, visto che per truccarti non ti basta mezzora!

Claudine ci pensa un po’, infine decide di correre il rischio e comincia a nutrirsi con quella boccuccia deliziosa che sa sempre di dolce ma che, quando si schiude, sembra che voglia ingollare il mondo…

Più tardi, affido la francesina ad un giovane collaboratore di Enzo Deschi, il regista. La mia giovane amante cinguetta il suo saluto e si accinge a seguire il ragazzo, che se la mangia con gli occhi, in una stanzetta dove sono in paziente attesa una trentina di ragazzine speranzose. Claudine è tranquilla: sa già che la sua bellezza ed il mio letto le assicurano un buon margine di vantaggio sulle altre.

La segretaria di Marco Ferretti mi accoglie con il solito, mellifluo “Venga, carissimo!” che sa tanto di viscido; è un gran pezzo di ragazza ma ha il complesso del naso prominente. Per quel che ne so, comunque, a Marco del suo naso non interessa un granché, accontentandosi ampiamente del resto.

Il mio produttore ed amico Marco Ferretti, socio di minoranza della Star Film è spaparanzato sulla poltrona di pelle chiara troppo ampia per la sua corporatura minuta e tiene l’orecchio sinistro incollato al telefono, guardandomi da dietro gli occhialini tondi. Mi siedo aspettando che termini la sua conversazione telefonica, ed intanto cerco di sbirciare il foglio che la sua segretaria ha appena depositato sulla scrivania di legno nero lucidissimo: il nome di Claudine Jouber è in cima alla lista, sottolineato in rosso. Una crocetta dello stesso colore identifica i nomi di altre quattro ragazze: come sempre, hanno scelto le più belle ancor prima di fare i provini.

Marco finalmente posa la cornetta, si aggiusta gli occhialini sul naso lucido e sbuffa:

- Uff!… A volte mi chiedo perché ho scelto questo lavoro!

- Perché ti fa guadagnare un mucchio di soldi, ti permette di avere una segretaria come Grazia e, dulcis in fundo, di portarti a letto qualche ragazzina che ha deciso di fare l’attrice. – rispondo, serio.

Mi guarda, altrettanto serio, poi scoppia a ridere.

- A proposito, non ci crederai… Ti ricordi la Garofalo? Quella brunetta formosa…

Spiacente, non me la ricordo proprio.

- Beh – riprende, sempre sghignazzando – faceva tanto la schizzinosa, con me, ma continuava ad affermare che aveva bisogno di lavorare. Troppo inibita, quasi moralista… Finché le ho detto che potevo procurarle una porticina in un film porno, anche se ben pagata., ed un paio di giorni dopo me la sono portata a letto… Mi ha pure raccontato quello che era stata costretta a subire sul set… - e giù un’altra risata.

- Davvero? – faccio finta di meravigliarmi.

- Già. Non è la prima e non sarà l’ultima. Queste mignottelle cosa non farebbero pur di apparire sul grande schermo… E spesso le accompagnano le madri, timide e speranzose come le loro figliole. Il nostro è un mondo fatto così.

- A proposito, Marco, su quel foglio c’è il nome di Claudine, la francesina…

Il mio amico prende in mano il foglietto e gli dà una breve occhiata, facendo una smorfia.

- Uhm, ho saputo che ora sta con te.

- Sì. Qualcosa in contrario?

- No, del resto Claudine è un’altra che vuole sfondare…

Lo guardo dritto negli occhialini – M’è presa la febbre per quella ragazzina! Me lo fai questo favore?

- Oh, una parte, anche importante, potrei dargliela… Eppoi, il soggetto e la sceneggiatura del film sono tuoi. Per te, questo ed altro, figurati!

- Marco, sputa il rospo. E’ meglio litigare ora, piuttosto che a riprese iniziate!

- Ma quale litigio!… - ora è lui a guardarmi negli occhi – Mario Bersani, sei il miglior sceneggiatore che io conosca, e sei pure un bravo ragazzo; ma, a volte, pecchi di presunzione e, a trentatré anni, sei già discretamente rincoglionito, per innamorarti di una così.

- E allora?

- Allora, non voglio contrasti  nel mio clan. Claudine è un bocconcino troppo ambito!

- Spiegati.

- Voglio dire che Claudine l’ha scoperta Deschi e, fino a qualche giorno fa, stava con lui. Deschi è il regista del tuo film, ed è il mio miglior regista. Sei capace di trarre da solo le conclusioni?

- Non sapevo di Claudine e Deschi… Comunque, di certo farò in modo che questa faccenda non vada a turbare il buon andamento del lavoro.

Annuisce – Va bene, mi fido di te. E mi conosci anche troppo bene… Scommetto che continueremo ad andare d’accordo…

Niente, oggi non va. Due ore che cerco di scrivere qualcosa di decente, con l’unico risultato di farmi venire un gran mal di testa. La macchina da scrivere è diventata uno strumento di tortura. Mi alzo, spengo la lampada, e vado ad aprire le tende. Oltre il vetro, miriadi di gocce colpiscono la strada, le macchine, la gente che passa. Le nuvole, nere, compatte, promettono pioggia ancora per molto.

Sono piuttosto seccato. Guai, caro mio, ad innamorarsi, specie di una ragazza che ha quindici anni meno di te. Ama pure il cinema, il calcio, la buona cucina ed i tuoi libri: ma lascia stare le donne. Involontariamente, ripenso a Sara: era bella, all’età di Claudine, ed era una brava ragazza. E’ cambiata dopo aver sposato me. Ho continuato ad amarla, ma lei ha chiesto il divorzio dopo appena due anni. Mi capita spesso, anche se sono passati più di sei anni dall’ultima volta che l’ho vista, di ripensare, con una certa malinconia, al nostro matrimonio miseramente fallito.

Basta. Meglio lo stordimento provocato dal desiderio di Claudine. La sua sensualità è tale da impedirmi, quasi sempre, di pensare ad altro. Credevo d’essere un uomo, e mi scopro bambino affamato di giochi e capricci… proprio come Sara, anni fa.

Ora, Claudine, i miei incubi e la mia inquietudine m’impediscono di lavorare.

Torno alla mia scrivania. Per la fine del mese, la sceneggiatura dev’essere finita; stavolta ho la fortuna di lavorare sul mio soggetto. D’accordo, un film del terrore è un prodotto commerciale, ma si può sempre cercare di rendere meno banale il nucleo della narrazione, caratterizzando meglio i personaggi… rendendo il tutto un po’ più credibile.

Ed i miei incubi? Mi rendo conto, all’improvviso, che non è il mio lavoro ad influenzare i miei sogni, ma il contrario!

La storia l’ho sognata esattamente una settimana fa,  poi ho scritto il soggetto. Era la notte precedente il mio trentatreesimo compleanno; e da allora, ogni notte un sogno e le sensazioni angoscianti che ne ricavo al risveglio mi suggeriscono lo sviluppo successivo della trama. Sto scrivendo quel che vuole il mio inconscio.

Il campanello della porta. Apro, e mi trovo davanti un ragazzetto con una borsa a tracolla.

- Telegramma per il signor Bersani.

Me lo consegna, si prende qualche moneta di mancia e sparisce. Apro la busta e leggo:

MARIO, LA TUA VITA E’ IN PERICOLO. E’ IN PERICOLO CIO’ CHE TU CHIAMI VITA. MA NON TEMERE LA TUA MORTE. CONOSCO LE OPERE TUE, E SO CHE TU PASSI PER VIVO MA IN REALTA’ SEI MORTO.

Uno scherzo idiota, non c’è che dire. Non vedo il nome del mittente, e credo che chiedere notizie all’ufficio postale competente si possa rivelare una fatica inutile.

Butto il telegramma nel cestino e guardo l’orologio: sono le tredici e Claudine non è ancora tornata; tutto sommato, stendermi un po’ sul letto servirà forse a placare l’emicrania che m’assilla…

Mi sembra di riaprire gli occhi dopo qualche minuto, ma è già buio. Dalla finestra il consueto rumore del traffico serale e del dopo-lavoro romano. Provo il solito malessere da risveglio, che io chiamo sindrome Bersani… e, perdiana, ho dormito otto ore di fila!

Dov’è Claudine? Provo a telefonare a casa sua, ma non risponde. E’ inutile chiamare la Star Film: Grazia chiude l’ufficio alle venti in punto.

Al diavolo! Non ho pranzato ma ho il dovere di pensare almeno alla cena.

Vado in bagno ed apro il rubinetto dell’acqua fredda. Riempio il lavandino ed immergo il viso. Mi asciugo e noto che l’acqua è rosa… Mi guardo nello specchio: ho tre graffi abbastanza profondi sulla guancia destra! Com’è possibile? Mi sono  ferito nel sonno? Rimango, come un idiota, a fissare il mio viso rovinato nello specchio, finché i morsi della fame non diventano insopportabili. Okay, l’appuntamento con lo psichiatra lo prenderò domani; ora vado a mangiare qualcosa alla tavola calda più vicina.

Esco dal portone del mio palazzo e mi trovo faccia a faccia con il dottor Sandro Lanza, medico stimatissimo e mio fraterno amico. Ha studio ed abitazione al piano sopra il mio, ed un altro studio ai Parioli.

- Vai a fare una passeggiata? – chiede, sorridendo a tutta bocca, come sua abitudine.

- Macché. Ho una fame boia e sto andando al solito posto che mi ristora nei momenti di necessità.

- Cavolo, anche tu non hai cenato? Allora sali da me e vediamo di cucinare un pasto decente!

- Decente? – faccio volentieri dietro-front e lo seguo nell’ascensore – Sei un ottimo cuoco e da te pretendo il meglio!

Sandro è quel che si definisce comunemente uomo di successo. Bello, colto, raffinato e discretamente benestante. Proviene da un’ottima famiglia, ha delle ottime conoscenze e frequenta, abitualmente, persone del suo stesso ceto sociale, a parte me, nel quale trova anche tutti i suoi facoltosi pazienti e le sue amanti.

E’ un uomo perfetto nella sostanza e nei particolari: non ha un difetto, non ha un dubbio, non ha un ripensamento. Incredibilmente, riesce persino ad essere simpatico.

Ci conosciamo fin da bambini, eppure siamo talmente diversi da pensare che la nostra profonda amicizia sia semplicemente casuale.

Mentre si aggira per la sua spaziosa cucina, muovendosi tra pentole e fornelli con l’abilità d’un cuoco provetto, dimostra di sapersela cavare meravigliosamente anche in casa.

- Come te la passi? – mi chiede – Ultimamente, non ci siamo visti molto.

- Infatti, ci vediamo di rado – lo guardo affettare e fare a dadini il guanciale affumicato – Sarà per via dei nostri orari troppo diversi.

- Non mi pare di condurre un’esistenza tanto movimentata – ribatte soprappensiero. Mi sta rimproverando velatamente una certa rarefazione dei nostri rapporti. Ma come potrei fargli capire che mi mette a disagio il suo modo di fare? E non posso certo dirgli che la sua compagnia mi ricorda il periodo della rottura con Sara quando, da amico comune, cercò in tutti i modi di evitare il fallimento del nostro matrimonio.

- Non volevo dire questo… - rispondo, dopo un po’ – Ma che, forse, conduco una vita un tantino disordinata.

Sandro si volta verso di me, dopo aver messo a soffriggere il guanciale  - Sanguinano.

- Cosa? – mi tocco, istintivamente, la guancia destra – Ah… un piccolo incidente.

- Vai in bagno a disinfettarti. – suggerisce

- Non ce n’è bisogno. – passo una salvietta pulita sui graffi; Sandro segue, attento, i miei movimenti: sembra preoccupato.

- Un tempo ero il tuo medico curante.

Comincio a sentire un certo imbarazzo. Provo a scherzare:

- I tuoi onorari sono troppo alti per me.

Si volta di nuovo verso i fornelli – Non mi faccio pagare dagli amici, lo sai!… La verità è – dice ancora, dopo un attimo di meditato silenzio – che tra noi troppe cose sono cambiate.

Preferisco non approfondire ulteriormente l’argomento – Sai, ultimamente, ho avuto molto da lavorare: un nuovo film, e stavolta anche il soggetto è mio. Voglio farne un capolavoro.

- Il solito filmetto commerciale?

- E’ un horror.

Ride – Appunto. La carbonara è quasi pronta.

Sandro mette sul fornello la pentola con l’acqua per la pasta, poi si siede davanti a me. Strano uomo: non credevo che la mia compagnia gli mancasse tanto.

- Racconta.

- E’ ambientato a Roma, nel ‘700. Il protagonista si chiama Giulio, un nobile con la mania dell’arte; dipinge, è un uomo tormentato perché ha un difetto fisico evidentissimo: una grossa gobba che gli procura una serie di complessi ed un forte senso di solitudine che lo opprime, lo ossessiona fino alla follia. Le donne lo disprezzano a causa del suo aspetto fisico ed egli non può che accompagnarsi  a delle prostitute. Di notte, vaga per la città, sconvolto dall’odio e dal desiderio: uccide le donne che detesta, le virtuose che lo respingono. Quando calano le tenebre sul mondo, si oscura la coscienza del suo spirito. Poi, di giorno, Giulio torna ad essere l’introverso ma colto nobile con tendenze umanitarie ed amore per la poesia e le arti. E non ricorda niente dei suoi misfatti.

- Come Jekill e Mr. Hide, insomma.

- Sì, il tema è quello, ma con qualche variazione. Voglio parlare del problema della solitudine che tanto affligge anche l’uomo moderno.

- Come finisce la tua storia?

- Non lo so ancora. Sto improvvisando… a dire il vero, questa storia la sto sognando, notte dopo notte, ed io non devo far altro che trascrivere il contenuto dei miei sogni.

Sandro sorride – Cosa può inventare, uno come te, per lavorare meno! In effetti, esistono precedenti del genere nel campo dell’arte e della letteratura. – Il mio racconto sembra averlo messo di buonumore. Fischiettando, prende un pacco di bucatini dalla credenza e si avvicina alla pentola dell’acqua bollente. E’ tutto così normale, ora, tutto tranquillo; ho persino appetito… Eppure, sono teso, preoccupato.

- Da quando faccio questi sogni, sono stranamente depresso. – aggiungo, quasi senza volerlo.

- Perché mai dovrebbe preoccuparti l’attività del tuo inconscio? Ed anche se fossi impazzito, che male c’è? – Sandro l’ha presa sul ridere. – Invece, io credo che la tua vera preoccupazione abbia diciotto-vent’anni.

So che Sandro è un ottimo ipnotista; che abbia anche la capacità di leggere il pensiero?

Del resto, Claudine non passa inosservata nel raggio di dieci chilometri.

- Dì la verità al vecchio Sandro: come si chiama?

- Claudine. E’ nata in Francia. Ha la mania di fare l’attrice. Beh, farà carriera, avendo doti fisiche non comuni.

- Le donne giovani sono dolci come il miele ma procurano troppi guai! – sentenzia, agitando il forchettone a mo’ di bacchetta – L’ho vista, sai, è senz’altro molto carina. Penso che, tutto sommato, non faccia per te.

- Grazie del consiglio.

- Ma figurati. L’ho vista entrare ed uscire dal nostro portone varie volte negli ultimi tre giorni. Da quanto te la fai?

- Quattro giorni, con oggi.

- Lasciami indovinare: avrà un ruolo importante nel tuo prossimo film.

- Sì, ma non fare dell’ironia, per favore. – la mia irritazione sta crescendo, e non tanto perché sono costretto a parlare, da stamattina, fin troppo della mia relazione con Claudine. E’ che non riesco a padroneggiare la situazione.

Mangiamo in un silenzio innaturale; Sandro sta rimuginando qualcosa.

Arriviamo alla frutta e decido di parlar chiaro:

- Sandro, perché mi fai certe domande? Se devi parlarmi seriamente, ti ascolto.

Il mio fraterno amico finisce di sbucciare la sua pera, posa il coltello da frutta e torna a guardarmi negli occhi, serio:

- Non è facile. Si tratta di tua moglie.

- Sara? Quando l’hai rivista? Come sta?

- Fisicamente, sta bene. Sembra in perfetta forma. E’ persino più bella di sette anni fa. Ma non credo che sia guarita del tutto. Uhm… forse è meglio spiegarti tutto per filo e per segno…

Annuisco decisamente.

- Ha chiamato per telefono – riprende – per fissare un appuntamento. E’ venuta nel mio studio come una qualsiasi cliente, e non come un’amica di vecchia data. Abbiamo parlato per un bel po’.

- Di me, magari.

- Esatto. Pensa… ha voluto sapere cosa fai, come vivi… se, in definitiva, pensi ancora a lei.

Sono allibito - Pazzesco! Quattro anni fa, prima di ottenere il divorzio definitivamente, ho fatto diversi tentativi di risolvere la situazione diversamente: tu ed il mio avvocato ne siete stati buoni testimoni. Ma lei ha sempre rifiutato ogni ipotesi contraria al divorzio.

- Tua moglie ti odiava, e non ho mai ben capito il perché.

- Lo sai benissimo: era malata. Sara era, e probabilmente è ancora una povera squilibrata.

- Se vuoi il mio parere, la donna che è venuta nel mio studio recentemente ha solo bisogno d’un grande affetto…

Stento a credere alle mie orecchie – Che diavolo ti stai inventando? Eppure, dovresti ricordare le sue crisi, i raptus assolutamente incontrollabili, l’odio immotivato che mi dimostrava! Io l’amavo più di me stesso ma, quasi da un giorno all’altro, mi sono trovato a vivere con una pazza senza speranza.

Sandro sembra sconcertato dalla mia reazione – Davvero non senti più nulla per lei? Non l’ami più? – chiede, con aria candida

- Come potrei amarla ancora? – urlo, senza volerlo; il ricordo delle angherie subite da mia moglie ha il potere di farmi infuriare.

- Era tua moglie! – esclama, indignato, con un tono che mi fa salire il sangue al cervello.

- Sandro, perdio! Cosa vuol dire che era mia moglie? Ora non lo è più! Perché stai prendendo le sue fottutissime parti?

- Non c’è bisogno d’agitarsi tanto, ed io non prendo le parti di nessuno. Sei troppo nervoso.

- Sarà perché non dormo granchè.

Il mio amico ha ripreso a mangiare la sua pera; sa che ha stuzzicato il mio interesse, ma tutto sommato, ho l’impressione che stia giocando al gatto col topo. Ma perché?

- Non vuoi sapere il resto? – chiede all’improvviso.

Sospiro – Va bene, se proprio lo ritieni opportuno.

- Quando vi siete separati, ricordo bene che i vostri rapporti erano diventati impossibili. Ma tu l’amavi profondamente. Ora, ti garantisco, lei sembra tornata ad essere la fanciulla meravigliosa che avevi sposato!

- Insomma, sarebbe guarita…

- Non lo so, con certezza. Io sono un geriatra, ci vorrebbe uno psicologo affermato per capire Sara e le sue motivazioni. Dovresti incontrarla, per giudicare!

- Non capisco.

- E’ difficile anche per me spiegarti. Certo, fa discorsi strani, ma i suoi intenti sembrano sinceri.

- Non è più neanche una ninfomane?

Sandro mostra ora un certo imbarazzo – Ricordo che fu il vero motivo che ti spinse ad abbandonare ogni reticenza riguardo il divorzio. Ma non me la sento di darti un parere ora. Per esempio, ieri mattina non è venuta a trovarmi solo per chiedermi di te; ha voluto anche acquistare la mia specialità: la Vitatrina – Sandro sorride – Mi ha detto che vuole donarti la vita eterna… Seria, ha aggiunto: “Sandro, so che questo tuo elisir di lunga vita salverà l’anima del mio uomo, ed io voglio fare in modo che sia risarcito per tutto il male che da me ha ricevuto”.

- Poveretta.

- Ovviamente, ho cercato di farla ragionare, ma senza alcun risultato. Se non gliela vendevo io, se la sarebbe procurata in farmacia. Ho ancora il suo assegno di dieci milioni.

- Una cura costosa!

- Ha preso una scatola da venti fiale, il ciclo di cura completo. Purtroppo, sai che i nutrienti che compongono la miscela sono rarissimi e si trovano solo in alcune regioni del Messico centrale.

- Comunque, è proprio pazza. Scambiare il tuo trattamento rivitalizzante per un elisir di lunga vita!

 – Beh, ti garantisco che qualcuno dei miei pazienti anziani potrebbe trovare la Vitatrina altrettanto miracolosa! – risponde lui, con una smorfia - Modestamente, la cura ha un certo successo. Comunque, Sara è una donna straordinariamente bella e, forse, possiamo ancora fare qualcosa per lei. Sempre che tu sia d’accordo, naturalmente.

Non riesco a replicare, mentre comincia a liberare la tavola dai resti della nostra cena. Una tristezza mortale s’è impadronita del mio essere. Questa faccenda di Sara mi procura un peso insopportabile. Ma perché è tornata nella mia vita?

- Se dovesse offrirti il prodotto, non respingerla. Ricorda le sue condizioni.

- E cosa dovrei farne?

- Restituirla a me, in cambio dell’assegno di Sara che non ho ancora incassato; oppure, puoi assaggiarla e sperimentarne gli effetti.

Gli confesso di non saperne molto, e lui spiega:

- Per evitare parole difficili, posso dirti che si tratta di una sorta di Gerovital: te lo ricordi? Ma non è riservato soltanto alle persone anziane, essendo la mia clientela composta anche da giovani e quarantenni. Ecco… - continua, con l’aria di chi si stia spiegando, a fatica, con un minorato mentale - … gli effetti sono simili a quelli della miglior pappa reale, dovutamente amplificati. –

- Ha la fama d’un prodotto eccellente; so che puoi contare su un certo, affezionatissimo, giro di facoltosi clienti; comunque, le mie limitate finanze non mi permetterebbero un secondo ciclo di cure anche se si trattasse davvero dell’elisir di lunga vita!

Sandro, abbassando gli occhi, mi rivolge una strana domanda:

- Anche tu, dunque, sei convinto dell’immortalità del nostro spirito? E se l’Inferno ed il Paradiso fossero qui, in Terra? Ricordi i nostri tempi felici? Quanto sono distanti? Quant’è diversa la nostra vita ora?

L’emozione che sento nelle sue parole scuote la mia anima: un’ondata di ricordi emerge dal centro del mio corpo, accompagnata dalla sofferenza che avevo imparato a dimenticare. Rimango a guardare con l’occhio della mente scene lontanissime della mia esistenza, sepolte dai pensieri quotidiani, dalle preoccupazioni pressanti della mia attività lavorativa; e mi rendo conto adesso di aver considerato il momento della mia rottura con Sara equivalente alla fine della mia gioventù.

- Già! Quella era vita, amico mio! Ma è crollato tutto, finita la gioventù, scomparso l’amore insieme a Sara e Daniela… Erano le nostre mogli, dunque, tutto il nostro mondo? Di fatto, da soli siamo invecchiati. Beh, s’è fatto tardi: Claudine sarà tornata.

- Sai, dovremmo vederci più spesso. Ho un’idea: ceniamo insieme anche domani sera! Ti propongo un locale dalle parti del Colosseo, un po’ stravagante ma carino. E mi presenterai la tua nuova fiamma. O preferiresti venire con Sara?

- Non scherzare. Come si chiama il locale?

- La Notte dei Maghi. E’ in via del Colosseo, non puoi sbagliare. Alle venti in punto, d’accordo?

FINE PRIMA PUNTATA


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