IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato
puntata numero 3
Henkel si svegliò qualche minuto prima di udire gli squilli del telefono sul comodino. Era il portiere che, con voce stanca, gli annunciava le sette del mattino. Dopo un quarto d’ora, il Tedesco scese nella hall e, cinque minuti più tardi, puntualissima, nell’albergo entrò una ragazza alta e ben fatta che gli sorrise, nel togliersi un paio di enormi occhiali scuri.
‘Piccola stronza’ pensò Henkel, guardando con durezza i meravigliosi occhi verdi che lo fissavano ‘Finirà per tradirsi, un giorno o l’altro’ e si voltò verso un finestrone che dava sulla strada, già affollata.
- Vorrei una camera – sentì dire alla ragazza, in inglese – Resterò un paio di giorni. – Il tono era allegro e spensierato; era almeno riuscita ad imparare a simulare il proprio stato d’animo, sempre e comunque, fino a fingere persino a sé stessa. Qualità indispensabile per una prostituta che voglia lavorare anche con il cervello. Leila dichiarò poi false generalità, firmò il registro e prese la chiave che gli porgeva il portiere che la guardò, avidamente, salire le scale. Altra sua grande qualità: sapeva infiammare gli uomini, e talvolta anche le donne, con una facilità disarmante.
Henkel uscì dall’Eldorado e percorse un paio di isolati a piedi, evitando le suppliche di branchi di ninos de rua scalzi ed affamati, ed entrò in un bar oltremodo sporco. Le mosche si posavano persino sulle tazze dei pochi consumatori presenti, quasi tutti operai del vicino stabilimento tessile, che sorseggiavano lentamente caffè nerissimo e profumato. Il Tedesco chiese caffè e brioche imbustate che il barista gli servì malvolentieri. Dietro di lui, una radio vecchissima diffondeva un notiziario in lingua portoghese.
Un ragazzo si alzò da un tavolo in fondo al locale e, strascicando il passo, si avvicinò lentamente. Henkel, masticando il dolce industriale, stava già esaminando la sua figura minuta riflessa nello specchio posto alle spalle del barista, cercando di calcolare l’eventuale utilità di quell’incontro.
- Posso sedermi accanto a te? Sei straniero? – biascicò il giovane in un inglese piuttosto incerto. Creolo, non doveva avere più di sedici anni, e profumava di dolciastro; l’aspetto era troppo effeminato per lasciare qualche dubbio sulla sua disponibilità.
Il Tedesco represse il senso di disgusto e gli sorrise. Per il suo piano diversivo aveva inizialmente pensato ad una prostituta di lusso, ma forse anche quella checca mezza drogata poteva fare al caso suo. Vestiva quasi elegantemente, e non pareva appartenere ad uno strato sociale troppo infimo. Inoltre, si stava offrendo spontaneamente, davanti a testimoni oculari, che avrebbero certamente ricordato gli occhiali scuri ed i lunghi capelli bianchi di Henkel. Perfetto!
- Allora? Non vuoi la mia compagnia? Devo andarmene?
- Lascia stare, Marcelo – belò, annoiato, il barista, mentre posava il bricco con il caffè bollente davanti al Tedesco – Non vedi che non è il tipo?…
- Sei di queste parti, Marcelo?
- Sì. Abito qui vicino. Vuoi venire da me?
Henkel sorrise ancora, senza rispondere, ordinò la barista di servire al ragazzo quel che voleva e si diresse verso l’apparecchio telefonico poco distante, sapendo che non sempre era opportuno usare il cellulare. Compose il numero dell’Eldorado e chiese la stanza di Leila, che rispose immediatamente. E sentendo la voce della ragazza, Henkel si stupì di provare una certa emozione.
- Notizie? – chiese, con il solito tono distaccato
- Niente di negativo. Ed ora sto molto meglio… - sussurrò lei – Finalmente, siamo vicini.
- Controllati! Ascolta: prima di recarmi dal mio vecchio amico, ho trovato il modo di passare tempo in maniera produttiva; sarò pronto tra un paio d’ore al massimo. Cerca di riposare, se ti riesce. Abbiamo da fare, ricordi? – e tolse la comunicazione, per tornare da Marcelo, che lo fissava con sguardo inebetito.
- Allora…? – biascicò il ragazzo, mentre il barista li guardava, mani sui fianchi ed una smorfia divertita sulla faccia.
- Andiamo a casa tua. – gli disse Henkel dopo averlo preso sottobraccio, una volta uscito dal locale.
- Ho una piccola macchina… O andiamo con la tua?
- Prendiamo la tua, ma guido io, caro.
Il barista seguì la vecchia Ford con lo sguardo, poi sputò per terra.
***
Il segretario di Stato si agitava continuamente sulla poltrona: avrebbe preferito, di gran lunga, stare in piedi, ma al presidente degli Stati Uniti non piaceva dialogare con qualcuno che lo guardasse dall’alto.
- E’ incredibile – sbottò, rosso in viso – Il nostro apparato di controllo interno è così fragile?
Dopo una notte insonne, la vicenda gli sembrava ancor più grottesca.
- In effetti… - ansimò il Segretario, dopo aver gettato una rapida occhiata al direttore della CIA, che occupava la poltrona accanto – nessuno poteva immaginare l’esistenza del Piano Apocalisse, al di fuori di certi ambienti, né la sua ubicazione materiale. Ecco perché sia la sorveglianza che i protocolli di protezione sono stati applicati secondo una filosofia particolare, fin dal 1965, quando fu ultimato il Piano stesso.
- Era matematico – si affrettò ad aggiungere il direttore della CIA – che il piano fosse al sicuro perché solo i Cavalieri ne conoscevano l’esistenza. Non sarebbe dovuto esistere neanche come idea. E se qualcosa non esiste, non può essere rubato!
- Ma, di fatto, il Piano è stato trafugato! Non fotografato, ma sottratto dai nostri archivi! – esclamò Il Presidente, sempre più agitato. Cercò di ritrovare un minimo di calma, ed aggiunse:
- L’importante è che la notizia non trapeli in alcun modo. Non deve fare neanche il giro del Pentagono, mi spiego?
- Non dobbiamo informare neanche gli ex Cavalieri? – si azzardò a chiedere il segretario di Stato, che cominciava a sudare – Lo prevede il Primo Protocollo del Piano e forse la loro collaborazione…
- Mi hai sentito? – ringhiò il Presidente – ho detto nessuno! –
- Tantopiù che soltanto i Cavalieri dell’Apocalisse, e gli ex presidenti, potevano conoscere l’esistenza del Piano, e quindi trafugarlo. – osservò il direttore della CIA – La responsabilità di uno o più Cavalieri dev’essere considerata intenzionale; magari, si sono serviti di manodopera interna al Pentagono. A quel reparto potevano accedere, oltre noi tre, solo otto persone che, tuttavia, non conoscevano l’esistenza del dossier segreto; se sottratto da uno di questi agenti, chi l’ha preso non può nemmeno decifrarne il contenuto, criptato.
- Le persone che ipotizzi – sbottò il segretario di Stato – potrebbero essere manovrate da qualcuno che non appartiene al gruppo degli ex Cavalieri… per esempio, un collaboratore scientifico dell’epoca, uno degli uomini di supporto. Complessivamente, nel 1965, tra scienziati ed operai, tecnici specializzati ed agenti di sorveglianza, lavorarono al Piano esattamente duecentosei persone.
- Ciò che dici è assurdo – lo interruppe il Presidente – Solo il pool di scienziati diretto dal professor Hautzer conosce il segreto. Gli altri lavorarono all’oscuro di tutto. Inoltre, la responsabilità di uno, o più, Cavalieri mi pare evidente. Solo loro conoscono l’esistenza del Piano! E la sua ubicazione all’interno del Pentagono.
- Siamo sempre stati certi – riprese il direttore della CIA – così come l’Amministrazione dell’epoca, che nessuno mai avrebbe potuto aprire la cassaforte senza il consenso del Presidente in carica e dei suoi più stretti collaboratori: il dispositivo di sicurezza della camera blindata offriva le più ampie garanzie in merito e non è stato violato…
- Ed il Quarto Cavaliere? – chiese il direttore della CIA.
Il Presidente sospirò – Nessuno conosce la sua identità, tranne il super computer che l’ha selezionato. Dobbiamo interrogare Agnus Dei per sapere chi, fin dal 1965, è inserito nella sua memoria come Quarto Cavaliere dell’Apocalisse. Senza le sue rivelazioni nessuno, all’infuori di noi, poteva sapere l’esistenza del dossier ed accedere nel posto giusto. Quattro Amministrazioni della Casa Bianca saranno accusate di crimini contro l’Umanità; anche se, trentacinque anni fa, quando il virus cominciò a propagarsi furono prese tutte le misure idonee a circoscrivere l’infezione… e sappiamo com’è andata. Ed ora non possediamo neanche la formula del vaccino! Potremmo forse chiedere a Hautzer di diffondere al mondo la scoperta del vaccino come fosse un evento dell’ultima ora!
- Sempre che il vecchio riesca a ricordarselo… - mormorò il direttore della CIA.
Il male della donna
Trovo il silenzio alquanto opprimente, crudele quanto il sonno che toglie ogni possibilità di decidere, di capire. Eppure, essendo tanto reale quanto sconvolgente il rovescio della medaglia d’ogni cosa, anche il sonno presenta un aspetto affascinante: il sogno. Mi accade, ormai fin troppo spesso di sognare di vivere in un altro corpo, in un tempo diverso, forse un’altra porzione di quest’universo sconfinato.
Sogni che non comprendo… che sgomentano. E per questo, ormai, di notte dormo sempre meno. All’abbandono di un riposo indifeso, preferisco la tormentata veglia.
E ieri notte, ho ucciso. Non è stata neanche la prima volta. Ho ucciso Marietta per l’impulso, immediato e violento, provato nel guardare tanta, indifesa, bellezza. Indifesa ed ugualmente irraggiungibile, come il suo sguardo, il suo impossibile amore. Quando la sua pietà per me e la mia gobba ha ceduto di colpo al disgusto di me e della mia gobba… Il mio desiderio ha ceduto all’odio più profondo.
Pochi, in verità, comprendono l’importanza di capire le proprie pulsioni naturali. Perché non uccidere chi si odia? Perché non vendicarsi del male subìto?
Ho quasi terminato il suo ritratto a carboncino. Mentre il suo povero corpo viaggia nel Tevere, il suo ritratto mi ricorda quant’era bella, Marietta!
Anche stavolta mi sveglia un brivido profondo. Sono coperto di sudore e la mia fronte bolle del fuoco dell’inferno stesso. In fondo, ho nuovi spunti per la mia sceneggiatura: Giulio ha ucciso e se ne compiace. Nel sogno, ormai, non vedo più gli avvenimenti come uno spettatore distaccato, ma li vivo direttamente, in prima persona. Era la mia mano che tracciava il ritratto di Marietta, mio lo sguardo che si beava della bellezza riprodotta sulla pergamena. In un certo senso, anche ora mi sembra di sentire Giulio agitarsi nel mio petto… Anch’egli ha, infine, ceduto all’odiato sonno!
La nebbia dell’antipatico sogno svanisce lentamente, e riaffiorano i ricordi di ieri sera; quel grosso idiota di Sandro Lanza: che bisogno c’era di farmi incontrare Sara in quel ristorante? S’illude, forse, di farci rimettere insieme, dopo tutti questi anni? Ricordo bene quel che pensai, una volta uscita da casa mia: ecco, Sara non è più la donna meravigliosa che tanto ho amato!
Negli ultimi tempi, aveva fatto di tutto per esasperarmi, disgustarmi, con mosse attentamente studiate e colpendo sempre nel segno. Aveva demolito il mio amore pezzo dopo pezzo. Dal momento in cui le dissi che avevo l’intenzione di costringerla a curarsi, cominciò a tradirmi senza neanche cercare di nasconderlo. A quel punto, lasciarla al suo destino era l’unica soluzione accettabile. Eppure, ieri sera per un attimo, ho provato l’impulso di prenderla per mano e portarmela a casa; forse, sono scappato a quel modo proprio per vincere la tentazione di riprendere un rapporto schiantato dal tempo. E Claudine? Non è forse vero che desidero anche lei? A proposito: dov’è finita? A casa sua non è tornata… Che sia andata da Deschi?
Apro i suoi cassetti: vuoti! Anche l’armadio della mia stanza da letto che aveva riempito con una ventina di costosissimi vestiti nuovi è dannatamente, completamente vuoto. Ma, distrattamente, in bagno ha preso il mio spazzolino da denti, lasciando il suo… E’ andata via in fretta e furia e ieri sera, rincasando, non me ne sono neanche accorto! Si vede che le diciottenni sono fatte così. Beh, per quanto concerne i rapporti di potere all’interno della Star Film, Deschi è nettamente più forte di me, e Marco m’aveva avvertito… Claudine, da ragazza intelligente, ha deciso di cambiare letto. Okay, il gioco è finito, ed in fondo è stata una bella avventuretta. Deschi può fottersi l’ennesima porno-bambolina ed io ho un lavoro da terminare.
Dopo aver fatto colazione, mi siedo alla scrivania. Preferisco la vecchia macchina meccanica alle facilitazioni elettroniche del computer, quindi preparo i fogli, apro il cassetto dove conservo la cartellina con la mia sceneggiatura… ma è vuoto! Eppure, l’ho messa qui, ne sono certo. Frugo ovunque, ma la cartellina di pelle gialla non c’è. Chi, se non Claudine che aveva le chiavi del mio appartamento, può averla rubata? Evidentemente, l’ha portata a Deschi. Ma cosa sperano di ricavarne? Ho provveduto a registrare il soggetto, prima di sottoporlo a Marco, e cercare di estromettermi dalla stesura della sceneggiatura non ha senso! Comunque, la puttanella francese dovrà darmi delle spiegazioni, proprio come qualcun altro…
***
So che a quest’ora, di solito Sandro dorme, ma non importa, busso ugualmente, ripetutamente, alla sua porta.
Il mio vecchio amico viene ad aprirmi tutto assonnato, scapigliato e con l’aria di uno che stava sognando una fuga d’amore con Megan Gale. Lo spingo da parte per entrare e lui capisce che sono alquanto infuriato.
- Non mi dire che stavi dormendo, buffone…
- Sì che te lo dico… Che diavolo vuoi?
- Innanzitutto, dopo la storia di ieri sera, ho dormito molto peggio di te…
Mi precede nel suo studio e ci sediamo. Il mio destino è stare sempre dall’altra parte della scrivania di qualcuno che conta.
Mi offre un caffè e rifiuto: non sono dell’umore adatto – E’ inutile che ti dica – aggiungo – che lo scherzo di ieri sera non l’ho gradito affatto! Vorrei sapere perché ti sei permesso di combinare quest’incontro romantico tra me e Sara.
Sandro, infagottato nella sua vestaglia rosso cardinale, mi guarda in silenzio. Sta forse pensando a quali parole scegliere per addolcirmi la prossima pillola…
- Sandro, facciamola finita: non ho alcuna intenzione di tornare con mia moglie, l’hai capito o no?!
Annuisce, calmissimo.
- Bene – riprendo – Allora ricorda che, d’ora in poi, non voglio più alcuna mediazione con mia moglie.
Sandro allunga una mano verso di me, e batte tre colpetti sulla mia spalla sinistra. Il gesto, curioso, placa immediatamente il mio nervosismo. I suoi occhi azzurri, sereni come i laghetti di montagna della Val D’Aosta, trasmettono una specie di calma ipnotica. Di colpo, sono come uno stagno ghiacciato.
- Va bene – dice lentamente – Ma vorrei sapere perché ti agiti tanto. Rivedere Sara ha dunque il potere di sconvolgere il tuo sistema nervoso?
- No… non direi, ma è un po’ che tutto gira storto.
- Claudine? E’ lei che ti preoccupa?
- Sandro, fammi la cortesia di smetterla con quel tono paterno! Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, per colpa di quella puttanella sto avendo dei guai con la Star Film, quindi con Ferretti. La sceneggiatura che stavo scrivendo è scomparsa; e penso che l’abbia presa lei.
- Davvero? Per farci cosa?
- Deschi… il regista… Voleva la ragazza per lui, e penso che, infine, ci stia riuscendo. Ferretti, poi, deve fare tre film con lui.
- Mi spiace – commenta il mio vecchio amico – So bene quanto tieni al lavoro. Ma ricordo che m’hai sempre parlato di Ferretti come di un tuo buon amico… un tuo estimatore. Perché mai dovrebbe scaricarti?
- Deschi ha un ottimo nome: ed un buon regista vale dieci sceneggiatori, non lo sai? Del resto, ultimamente ci provano in parecchi a farmi fesso. Hai qualcosa da dire in proposito?
Sandro ammicca – Mi sono lasciato commuovere da Sara. Quando la vedo, ripenso al nostro passato… Ieri sera, devi averla alquanto delusa…
- Cosa avrei dovuto fare? Lo sai, non sta bene ed illuderla… non sarebbe la cosa giusta. Pensa, per un attimo, bella com’è… Ma è inutile parlarne!
- Beh, comunque, poi ho ricevuto una sua telefonata; piangeva. A parer mio, ti poni troppi problemi: dovresti esser più spontaneo. Talvolta, è meglio ascoltare il cuore, almeno in certe faccende.
- Cosa vorresti dire?
- L’ami ancora, sì o no?
- Non posso amarla! – rispondo, piccato – E sarebbe meglio non vederci più!
Il mio amico fa una strana smorfia – Se la pensi così… Spera di non rimpiangere la tua decisione, in futuro!
FINE TERZA PUNTATA