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Il Giorno dell'Apocalisse - 6

Creato il 09 agosto 2013 da Marcar

 

IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato

 

puntata numero 6

 

Mi rigiro ancora nel letto. E’ proprio inutile: anche se sono stanco da morire, non riesco a chiudere occhio. La sveglia segna le dieci, ed il rumore del traffico di questo quartiere di Roma, non concilia certo il sonno. O, forse, ho semplicemente paura di sognare Giulio. Ripenso, con un brivido, alle sue mani strette sul collo di Marietta, in quel sogno così reale… E nei miei incubi peggiori, Marietta ha il volto di Claudine! Povera figliola!

Che stia diventando pazzo? O meglio, Matto, come l’ultima carta della divinazione di Madame Clermont. Che cosa significherà mai, nel gioco dei Tarocchi, la carta numero zero?

Squilla il telefono, ottimo motivo per alzarmi.

Nel mio soggiorno c’è puzza di chiuso. Apro la finestra, poi sollevo la cornetta mentre l’aria fresca mi sveglia del tutto.

Sento una vocetta femminile che conosco: Luisa Macchi, una delle conquiste di Marco Ferretti. Ha lavorato sempre con la Star Film, ottenendo solo piccole parti; Marco si stancò molto presto del suo corpo e lei, a soli venticinque anni, come attrice è già finita.

- Ciao, amica mia – la saluto, cercando di mostrarmi cordiale. Mi sento in debito con lei perché ero riuscito a convincere Ferretti a concederle una piccola parte nel film che stavo scrivendo. Ed ora chi le dice che è saltato tutto?

- Mario, ho saputo dei problemi che hai con Deschi. E la morte di Claudine… Orribile! Ma cosa sta succedendo?

- Lo sapessi!… Cerca di restare fuori da questa storia! Hai visto Ferretti?

- Sì, ed è letteralmente sconvolto. L’interessamento della polizia non piace molto ai soci americani. E c’è quel commissario Nori che è venuto a battere i pugni sulla scrivania di Marco! L’ha accusato di mentire, quando Marco ha cercato di nascondere i rapporti tra te, Deschi e Claudine… Un bel triangolo, non c’è che dire…

L’amarezza che sento nella sua voce è fin troppo evidente – Se n’è andato?

- Nori? Da poco. Avessi visto la scena! Ad un certo punto, mentre il commissario parlava con Ferretti, sempre più imbarazzato, s’è fatto ricevere a forza anche Max Jaguar e ne ha dette di tutti i colori!

Ci mancava quel giovane idiota! Lo conosco: un nuovo acquisto della Star Film, un ragazzino tutto sorriso e muscoli, arrivato fresco fresco dagli Stati Uniti, raccomandatissimo dai già citati soci americani.

- Pare- continua Luisa – che Claudine se la facesse anche con lui. E non mi dire che te ne stupisci… O la consideri ancora un angioletto?

- Luisa, lascia stare…

- Comunque, Max era infuriato, avendo saputo da Nori stesso delle tresche della sua amante. Per la cronaca, ha minacciato di far fuori sia te che Deschi..Ho pensato di avvisarti…

Ringrazio Luisa e torno ai miei pensieri. Dunque, Nori è già partito all’attacco! Chissà cosa gli dirà Deschi. E quel Jaguar: come attore è una frana totale, ma ha un fisico che mette paura, una specie di vichingo alto e grosso.

Vado a ripescare un pezzo di carta, appallottolato nel cestino sotto la scrivania: il telegramma ricevuto tre giorni fa. Non mi fa pensare più ad uno scherzo, piuttosto appare come il tuono che preannuncia la tempesta.

Dopo essermi nutrito e rinfrescato, sono del tutto simile ad un normale essere umano. Indosso un completo celeste ed una cravatta rossa. Come gli antichi samurai, mi faccio bello prima di affrontare il nemico, pronto a combattere fino alla morte.

Busso alla porta del dottor Lanza. La sua infermierona bionda apre la porta e chiede se ho un appuntamento; le dico chiaro e tondo di non averne bisogno, con il mio vecchio amico, e che, comunque, sarei disposto a chiederne uno a lei. La ragazza non raccoglie il suggerimento e m’invita, con noncuranza, ad accomodarmi in anticamera, già discretamente affollata. Ti pare che devo fare la fila per vedere un amico d’infanzia?

Appena la porta dello studio si schiude, brucio sullo scatto l’infermierona e saluto Sandro.

- Ah, sei tu… - bofonchia, di mala voglia. Sembra un po’ deluso.

- Scommetto che preferivi Sharon Stone. Spiacente di deluderti. Devo parlarti.

- Va bene, ma sbrighiamoci. Lo sai che è meglio vederci al di fuori del mio orario di lavoro. Ultimamente sono un po’ impegnato…

- Che aria linda e professionale hai, con il camice bianco! Che ne pensi di questo?

Gli metto sotto il naso il telegramma. Lo legge e mormora:

- Un passo dell’Apocalisse… Conosco le opere tue e so che passi per vivo… Se non ricordo male, è contenuto in uno dei primi capitoli del Libro.

- Cosa significa, secondo te?

- Che vuoi che ne sappia? Un telegramma anonimo… Uno scherzo, probabilmente. Nel tuo ambiente, poi, i buontemponi non devono mancare, no?

- Non solo nel mio ambiente, te lo garantisco. Ti faccio questa domanda perché penso a Sara. Potrebbe mai architettare questa sorta di persecuzione nei miei confronti?

Sandro scuote la testa – Non è il suo genere di mania.

- Il suo indirizzo, per favore.

- Non so dove abita, te lo giuro. Se dovesse farsi risentire, dopo la scenata che le hai rifilato l’altra sera, le comunicherò che vuoi vederla.

 

Il ristorante di madame Clermont, di giorno, non ha un’aria tanto misteriosa.

Al centro della sala, una donna esageratamente grassa si affanna a fare le pulizie. Zaira, la vecchia matta che ho già conosciuto, è seduta ad uno dei tavoli e maneggia un mazzo di Tarocchi.

- Allora è proprio una mania! Questo è un ristorante o un luna-park? – le dico a mo’ di saluto.

- Giovanotto, un po’ di rispetto. Se non per me, almeno per le carte! – risponde, stizzita – Che vuoi? A quest’ora, la cucina è chiusa.

- Ti ricordi di me, vero?

- Certo. Hai sbagliato l’indovinello. Eppure, sembri una persona istruita.

- Vorrei vedere madame Clermont.

- E’ fuori. – sussurra, socchiudendo le palpebre. Pare stia per addormentarsi.

La scuoto per un braccio – Quando torna? Mi senti?

- Eeehh…- urlacchia, divincolandosi dalla mia presa, con insospettabile energia – Perché mi scuoti? E non sono sorda. Stavo guardando dov’è la mia padrona.

- Stavi guardando dov’è?… - Vedo la grassona toccarsi con l’indice la fronte. Vuol dirmi che Zaira è matta, ma questo già lo so.

- Ora è a casa sua. – continua la vecchia – Vorresti il suo indirizzo, vero? – sorride con cattiveria – Lo avrai se risolvi un altro indovinello.

Chiedo alla grassona se conosce anche lei l’indirizzo della proprietaria del locale, ma non risponde nemmeno.

Zaira ridacchia:

- Coraggio! Non è poi tanto difficile. E, come certo saprai, la vita infine si riduce ad una domanda! Ora, dimmi: qual è l’unica domanda che non ha risposta?

- Ma che ne so?

- Pensaci! Non vuoi rivedere Sara?

Mi guardo intorno, smarrito. Che razza di gente è questa? Come può questa vecchia pazza indovinare i miei pensieri più intimi?

- Pensaci, giovane amico mio, pensaci! Io spero che tu saprai rispondere… Se tu ragionassi un poco! Se fossi abituato a ragionare!

Ha ragione. Non so neanche ragionare, nel vero senso del termine. E forse, nessuno di noi è realmente abituato ad usare le proprie facoltà intellettive. Ci limitiamo a registrare le impressioni ricevute dal mondo esterno, archiviandole nella nostra memoria e riproporre, alla bisogna, schemi comportamentali ed abitudini acquisite senza fine, senza via d’uscita da un dogma cerebrale imperioso ed egoista. Ragionare! Quale può essere la domanda senza risposta? Una domanda assoluta, primigenia, impossibile e logicissima al tempo stesso…

- Ci sono! – urlo, in un impeto entusiasta – La domanda senza risposta è: Perché?

- Bravo! – esulta Zaira, battendo le mani come una bambina felice – lo vedi che sai ragionare pure tu, quando vuoi? Bene, madame Clermont è in viale Trastevere, nella prima casa che incontrerai provenendo dalla periferia. Ricordati di chiederle di finire la predizione dell’altra sera… La carta che doveva finire di spiegarti, è ancora lì: prendila e portala da lei. Vai!

Infatti, posata sul tavolo che ben ricordo, vedo la carta dei Tarocchi che ora interessa anche me: Il Matto. La prendo e la metto in tasca, con un profondo, inspiegabile senso di gratitudine.

Sento Zaira esortarmi ancora:

- Corri! Il destino non aspetta mai il nostro comodo!

Raggiungo viale Trastevere in un quarto d’ora, nonostante l’assillante traffico romano. La casa di madame Clermont è un villino inondato dal sole. Le finestre del primo piano, aperte, lasciano intravedere tende gonfie d’aria.

Suono alla porta, ed una cameriera mi introduce in biblioteca, lasciandomi ad attendere la padrona di casa, dopo aver posato sul basso tavolino di noce finemente scolpito un vassoio di dolci, teiera e tazze. Ma non ho alcun appetito. Preferisco attendere nervosamente la signora che, improvvisamente, mi sta tanto a cuore, e non so neanche bene perché. Fortunatamente, dopo qualche minuto, madame Clermont viene a ricevermi, avvolta da una lunga vestaglia di seta nera, elegante e un po’ funerea. Mi fissa con uno strano sorriso. Istintivamente, ripenso a Sara.

- Il Matto… la sua divinazione dell’altra sera… - riesco a malapena a balbettare, porgendole la carta.

La signora m’interrompe con una smorfietta:

- Ora, forse, il suo interesse per i Tarocchi è aumentato. Questa carta l’ha ritrovata esattamente dove l’avevamo lasciata, vero? Infatti, è sua finché non ascolta la fine della mia predizione. Anche se, forse, non è più tempo che io le annunci il destino che è già arrivato!

- Cosa vuol dire? Parli chiaro, per favore!

- Sediamoci.

Non mi resta che sedermi sulla poltrona di velluto azzurro davanti alla sua; tra noi, il tavolino con i dolci e la teiera ancora caldissima.

- Signor Bersani, cosa pensa del destino?

- Un altro indovinello? Non ho mai pensato al mio destino… Come tutti, piuttosto lo subisco!

- Quindi, lei crede alla legge del karma.

- Senta, non so che dirle… La religione, del resto, non m’interessa granché.

- Un atteggiamento molto comune, ai giorni nostri. Religione o no, il destino esiste, ed è prevedibile. Perché non ha ascoltato la mia divinazione, l’altra sera?

- Ero troppo nervoso. La signora che era con me… Ora, non credo che il mio passato…

- Alt. Non si giustifichi. Del resto, è suo diritto ascoltare o meno i consigli che può darle una modesta cartomante come me. Neanche io, del resto, saprei dirle se, e quanto, è possibile influenzare il destino personale di ogni individuo.

- Dovremmo, dunque, accettare passivamente il responso delle carte? E a cosa servirebbe, dunque?

- Madame Clermont sorride, serena e solare come non mai. Emana una serenità assolutamente intangibile, completa, eterna come il linguaggio arcano delle sue carte magiche.

- La divinazione è solo un aspetto della complessa meraviglia rappresentata dai Tarocchi. Ad ogni modo, non c’è da chiedersi se e quando potremo influenzare il nostro destino: conoscerlo, serve solo ad organizzare convenientemente la propria esistenza. Le pare di secondaria importanza, tutto ciò?

- Madame, non vorrei iniziare una discussione filosofica o, peggio ancora, metafisica; sono venuto da lei, per un problema molto più immediato e reale: Ho bisogno di parlare con Sara, la mia ex moglie. Sono certo che vi conoscete.

L’anziana signora comincia a giocherellare con la carta, girandola e rigirandola tra le dita affusolate, con la maestria di un prestigiatore.

- Il suo destino ha già preso forma. – dice all’improvviso, con tono grave – Vede quanto male la circonda? Male che esiste anche dentro di lei…

- Sto sbagliando qualcosa?

- Lei ha già deciso di combattere il suo destino! Rifiutando la mia predizione, s’è opposto all’inevitabile.

- Io non ho scelto o rifiutato un bel niente! – replico, di scatto – Sto solo subendo, semmai, le scelte altrui… - L’espressione di rimprovero di madame Clermont mi obbliga a tacere.

- Le ripeto che ha già scelto… Accettare il proprio destino, equivale a sedersi sulla riva del fiume ed attendere l’inevitabile, con spirito indomito ed immutabile. Invece, lei ha deciso di ribellarsi. Ora, il Matto della mia predizione è lei!

Il tono della sua voce ha il potere di spaventarmi. Vorrei pensare che questa signora è semplicemente un’esaltata con la mania delle carte, e magari riderle in faccia…

- Chi è il mio nemico? – le chiedo, invece.

- Domande, solo domande… Perché non prova a darsi una risposta?

- Non vuole dirmi dov’è Sara?

- Non è qui.

Mi accorgo di tremare per il nervosismo. Che mi succede? Questa donna ha il potere di suggestionarmi notevolmente.

- Dov’è, allora?

Madame Clermont si alza, come per farmi intendere che il nostro colloquio è finito. Tiro fuori il telegramma dalla tasca e lei ride, come se avessi estratto un coniglio bianco da un cilindro.

- Le dimostro che so fare anch’io l’indovino: questo telegramma è stato spedito da lei o da qualcuno dei suoi accoliti, magari dal dottor Lanza. Pretendo di sapere cosa volete da me.

- Possiamo salutarci. – mormora madame Clermont.

- Rivoglio mia moglie! – le soffio in faccia.

- Dunque l’ama ancora! Non è più una sgualdrina pazza?

La sua replica mi lascia di sasso.

- Non si abbatta se tutto le appare così assurdo. Non solo le sue vicissitudini personali… Rivedrà Sara quando sarà pronto a sposarla davvero.

Non capisco cosa voglia dire… Ho solo una gran confusione in testa.

- La sua carta mostra un personaggio che cammina verso un abisso…

- Cada in quell’abisso, signor Bersani, e riuscirà a volare!

La signora si volta ed esce dalla stanza, lasciandomi a fissare la sua assenza come inebetito. La carta dei Tarocchi è ancora sul tavolino, ma non ho il coraggio di fissarla ancora. Il senso di stordimento mi sta provocando una forte nausea. Che la cartomante mi abbia ipnotizzato?

 

Sulla porta di casa, mi si para davanti lo statuario Max Jaguar. E’ furibondo e pieno di dolore. Nonostante il pelo biondo, so che è figlio di emigranti italiani negli Stati Uniti.

Esco lentamente dalla cabina dell’ascensore e sento una specie di scricchiolio: sta stringendo i pugni. Mi preparo a fronteggiare un attacco diretto. Se non lo colpisco per primo, mi farà a pezzi, penso istintivamente.

- Chi l’ha uccisa? Sei stato tu… bastardo? – balbetta, furibondo. Poi, scoppia a piangere come un bambino, senza ritegno.

Aspetto che si calmi, poi, avvicinandomi, gli dico.

- Non avevo motivi per farlo. Stavamo insieme.

- No! – ruggisce – Era la mia ragazza. L’ho conosciuta due anni fa, negli States!

Il suo accento tradisce in pieno le sue origini e si capisce benissimo che tipo d’ambiente e di percorso culturale abbia forgiato il ragazzo. Apro la porta di casa e gli dico di entrare.

Jaguar, ora, mi guarda fisso, quasi trasognato.

- Chi, se non tu? Deschi? Ferretti? Con quanti se la faceva, quella schifosa? Con quanti?

- L’ossessione non ti aiuterà, Max. Perché non lasci risolvere questa faccenda alla polizia?

Il ragazzo sembra più calmo, quando gli porgo un bicchierino di brandy debitamente invecchiato. Lo beve come fosse una medicina amara da ingoiare al più presto.

- Chi è stato? – chiede di nuovo, come una cantilena. Poi, dopo un altro bicchierino, mi racconta tutta la loro storia, assolutamente simile alle storie di tanti ragazzini che, tentati dal mondo dello spettacolo, s’incontrano solo per dividersi, attratti dalle luci sfolgoranti e dalle occasioni velenose del peggiore ambiente che l’essere umano abbia potuto concepire. E’ talmente disperato che mi fa quasi pena.

- Claudine stava cercando di fare successo in tutti i modi, lo so… - continua – Era fatta così: una bambina capricciosa… Se l’ha uccisa quel maiale di Deschi, ne farò porchetta per l’inverno!

- Lascia fare alla polizia. A che serve sporcarsi le mani?

- E’ un vero porco! Sai niente dei filmini porno?

- Vagamente. Ma ricorda che nessuno ha costretto Claudine. E’ lei che ha accettato liberamente di girarli.

Ma Jaguar non mi ascolta forse più. Riempirgli il bicchiere può, forse, impedirgli di commettere qualche sciocchezza… Non faccio in tempo ad afferrare la bottiglia, perché lui si alza di scatto e se ne va, senza un saluto, una minaccia, uno sguardo. Brutto segno. Per lui e per Deschi.

 

FINE DELLA SESTA PUNTATA


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