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"Dato che l’andamento e le usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa mia vita sono ancora infantili, io tengo afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo, dov’io sperava e sognava la felicità, e sperando e sognando la godeva, ed è passato né tornerà mai più, certo mai più; vedendo con eccessivo terrore che insieme colla fanciullezza è finito il mondo e la vita per me e per tutti quelli che pensano e sentono; sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita."
La prima foto ufficiale de Il giovane favoloso, seconda fatica ottocentesca di Mario Martone dopo il tostissimo Noi Credevamo nonché prima pellicola interamente dedicata alla figura di Giacomo Leopardi, parla da sola: una sola immagine per raccontare la storia di un ragazzo, il capo dolcemente adagiato sulle carte che ama e odia con tutto sé stesso, la penna stretta ben salda nel pugno della mano, un sottile raggio di luce dentro uno sguardo già perso nell'altrove, là dove nessuna cattività domestica e fisica potrà mai raggiungerlo e imprigionarlo.
Questo è il Leopardi che Martone ha scelto di portare sul grande schermo, strappandolo al tedio delle parafrasi scolastiche e al rischio di una mera didattica divulgazione: un caleidoscopio di emozioni contrastanti, frutto dell'eccezionalità di una creatura straordinaria e della pura passione di un adolescente per un mondo ancora sconosciuto, tenuto lontano da una saluta precaria e dai blindati privilegi di una vita già scritta in nome di un'ubbidiente e castrante prudenza.
Il giovane favoloso è un film da assaporare lentamente, capitolo dopo capitolo, per cogliere la scintilla celata sotto la sua profondissima quiete e conciliare l'indagine sull'uomo con la forgiata incorruttibilità del mito: si comincia col timido inchino di tre bambini in nero, l'infanzia esposta su un piedistallo dall'orgoglio di un padre innamorato della promessa di grandezza dei suoi figli, in una scena che risveglia subito memorie dell'Amadeus di Milos Forman; in una morsa fra la soffocante devozione del Conte Monaldo e la sterile anaffettività della Contessa Adelaide, madre devota alla Santa Chiesa e incapace di abbandonarsi al tocco terreno di un abbraccio, Giacomo e i fratelli Carlo e Paolina si rifugiano nei giochi e guardano con curiosità e fascinazione all'abbraccio della natura misteriosa che li avvolge, aggrappandosi alla freschezza dei primi anni dell'esistenza finché la porta della biblioteca, luogo di conoscenza adorato e fortezza maledetta, non si chiude a chiave dietro di loro.
Gli anni volano e Giacomo supera i fratelli rivelando doti prodigiose, un appetito insaziabile per la conoscenza e un temperamento ribelle e inquieto portano la sua mente a esplorare labirinti e immaginari ben oltre i confini dell'umano sentire, eppure in modo altrettanto vorace la malattia inizia ad attaccare e rattrappire il suo finitissimo corpo mortale: già nella parentesi Recanatese, vero gioiello del film per armonia e compattezza, Martone dimostra di aver cercato la miglior chiave di lettura possibile per rendere cinematografico un soggetto pressoché "infilmabile" come la vita di Leopardi senza cadere nella ridondanza espositiva; l'ovvia assenza di vibrazioni Byroniane o Keatsiane che si sarebbero prestate con maggiore facilità a un romanticismo popolare e alla costruzione di un climax da grande schermo è un fatto, ma grazie al sostegno delle fonti originali e all'uso di topoi visivi familiari e immediati il Giovane Favoloso ci restituisce la persona del poeta in tutta la sua ricchezza, perché possa cantarci canzoni inedite, spontanee e attuali come se fossero state scritte per la prima volta.
Mentre riconosciamo immediatamente il colle dell'infinito, la solare e innocente bellezza della figlia del cocchiere che tutti abbiamo imparato a conoscere come Silvia e la Luna abbagliante che veglia sul palazzo bello e la città addormentata, Elio Germano riempie l'evocativa scelta di immagini con un'interpretazione camaleontica e viscerale, che presenta l'essenza del personaggio nutrendola non solo dei componimenti più noti ma anche di documenti, carteggi e lettere personali: la sensibilità assoluta di Giacomo avverte ogni cosa, gli rende impossibile tollerare le alte pareti della biblioteca contro le quali egli si dibatte come un leone in gabbia, urlando la sua silente disperazione contro un sistema che gli nega orgoglio e ambizione; quello che si manifesta nella rabbia giovane quanto negli occhi lucidi, teneri e tremanti che si lasciano illuminare dalla luna o che cercano lo sguardo di Silvia è un fuoco che conosciamo e comprendiamo bene, in grado di stringersi intorno al cuore di chi guarda senza fronzoli o artifici.
Lasciata indietro Recanati, il film fa un notevole balzo nel tempo (chi non conosce la biografia di Leopardi avrà bisogno di un attimo per mettere a fuoco) per seguire un Giacomo ormai adulto a Firenze e a Napoli: il poeta è finalmente libero dal giogo paterno, ma la società italiana che tanto aveva atteso di conoscere si rivela mediocre e superficiale, ben lontana dal miraggio di unità nazionale che l'avrebbe presto interessata e incapace di vedere al di là della malattia che ha continuato a piegare il corpo del poeta senza distruggerne lo spirito.
Fedele (il film e le stesse fonti lanciano la suggestione che potrebbe esserci stato anche qualcosa di più)e leale compagno di avventure nel peregrinare da una casa all'altra in condizioni finanziarie altalenanti è Antonio Ranieri, che vive ogni giorno approfittando dell'avvenenza e della salute che l'hanno generosamente favorito: Giacomo ama profondamente Antonio ma resta nell'ombra, lo osserva godere della vita che gli sarebbe per sempre stata negata, si rifugia nella scrittura e rifiuta le etichette con cui i suoi emeriti contemporanei tentano di limitare il suo pensiero; una lotta continua combattuta contro le chimere di una società già vecchia e il cronico malessere del fisico, esasperata dal tradimento di una natura capace di meraviglie straordinarie che fanno presto a consumarsi, che Martone sa rendere con tatto e intelligenza alternando pagine di commovente contemplazione a momenti di rinfrescante aneddotica (la passione di Leopardi per il gelato, la tragica ironia del suo rocambolesco tentativo di fuga), viaggiando all'occorrenza verso lidi più sperimentali con deliri visionari azzardosi ma efficaci (la Natura reimmaginata come una statua di sabbia col volto della madre, gli occhi un tempo ridenti e fuggitivi di Silvia che continuano a fissare nella morte il poeta atterrito).
Mentre la mancanza d'amore e il desiderio di vivere una vita che sia degna del suo nome riempiono il cuore dell'Uomo di malinconia e si impongono sulla brama di gloria degli anni giovanili, l'appello del Leopardi di Germano si fa ancora più reale e sentito nel contrasto con l'umanità Napoletana, colorita e febbrile nel sentimento religioso e persino nel rapporto con la morte; la Nera Signora farà triste sfoggio di sé stessa durante una durissima epidemia di colera, prima di raggiungere il Poeta e strappare la Ginestra alle sue radici sotto una volta di stelle.
Parte del fascino de Il giovane favoloso risiede comunque anche nella sua insolita componente musicale, che tolte le poche le tracce classiche scelte viene affidata alle cure dell'artista tedesco Apparat: le sue ipnotiche melodie elettroniche, indulgenti come carillon o rumorose come ingranaggi, risultano sorprendentemente appropriate per spezzare i sovrumani silenzi e portarci dentro le ampie stanze di un'anima che non conosceva riposo o inezia.
A sostenere Germano nella sua intensa performance, tanti attori che pur messi in ombra dall'imponenza del suo personaggio lasciano il segno occupando al meglio il loro posto nella storia: perfetti i genitori Massimo Popolizio e Raffaella Giordano, le dolci sorelle Paoline Isabella Ragonese e Federica De Cola e il prestante ma devoto Antonio Ranieri di Michele Riondino; azzoppata da un'infelice doppiaggio ed eccessivamente crudele la Fanny Targioni Tozzetti di Anna Mouglalis.
Proveranno a farvi sentire in colpa, vi diranno che non essere riusciti ad empatizzare con l'opera del poeta sui banchi di scuola è un peccato troppo grande e accuseranno il film di non essere enciclopedicamente esaustivo sull'opera e il pensiero Leopardiano, ma il giovane favoloso non ha alcun interesse nell'indottrinare il suo pubblico e ciò che Mario Martone è riuscito a realizzare è qualcosa che tutti dovremo rispettare e proteggere: ha preso uno dei più importanti autori della nostra letteratura, ha aperto la porta chiusa a chiave della biblioteca dov'era rinchiuso e l'ha fatto uscire, affidando le sue parole alla forza delle immagini e all'interpretazione di un grande attore perché tornassero ad essere esclamazioni reali e non meccaniche letture, ha messo sulla nostra strada un uomo affamato di passione e di vita svelandone le tenere debolezze e le paure più nere, perchè potessimo cercare insieme le risposte a tutte le domande.
Un piccolo miracolo che solo il cinema, custode degli sguardi più personali e più veri che l'essere umano sia capace di affidare alla macchina da presa, poteva rendere possibile: che per una volta l'impresa sia un successo del cinema italiano che tante, troppe volte abbiamo visto cadere senza più rialzarsi, non può che rendere il nostro naufragare ancora più dolce.
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