Il nuovo fim di Mario Martone, presentato in concorso alla 71° Mostra del Cinema di Venezia, è un affresco della vita e delle opere del poeta marchigiano, forse il più grande del suo tempo, Giacomo Leopardi. Il film, dal titolo Il giovane favoloso, ripercorre biograficamente alcuni degli episodi della vita di Leopardi tentando in qualche caso il collegamento alla sua produzione poetica.
Il film ha il merito di essere molto preciso nella ricostruzione di luoghi e situazioni: notevole è il lavoro fatto da Martone, che nasce non a caso regista di teatro, sugli attori, preparando loro una sceneggiatura molto equilibrata, tra intimismo, storicismo e pettegolezzo (si attinge a piene mani dall’epistolario privato a noi noto del poeta). Anche la ricostruzione storica è precisa e dettagliata: nei costumi, negli ambienti, nell’atmosfera velata di brina in cui si è scelto di cristallizzare tutta la prima parte, quella recanatese, con delle buone scelte fotografiche che di certo richiamano un immaginario romantico per eccellenza. A ciò si aggiunge un’altra matrice, più prettamente novecentesca, della formazione ribelle del giovane (da cui anche il titolo, a mio avviso un po’ infelice, a metà tra Il giovane Holden e Il genio ribelle), di cui si tenta forse nel film di intravedere in Leopardi un precursore.
Vero è che certe parti della biografia vengono competamente tralasciate, i soggiorni a Bologna e a Pisa per esempio, per dare ampio spazio, nella seconda parte, a quelli fiorentini e napoletani, nei quali il nostro viene spesso ritratto più per come veniva visto per come in effetti era. Colpa della dilatazione dei luoghi e dell’affidamento di ruoli importanti a attori non del tutto in parte (ad esempio Michele Riondino a interpretare l’amico Ranieri) a sfavore della decadenza fisica di Leopardi, che sfuma sempre più nel macchiettistico.
In generale sembra molto più a fuoco la prima parte, girata dal vero nella casa leopardiana di Recanati, con un Elio Germano che incarna perfettamente il fervore giovanile e la voglia di scoperta del poeta; anche il resto del cast qui è ottimo, a partire da Isabella Ragonese a interpretare Paolina Leopardi, sorella di Giacomo, e anche Massimo Popolizio e Raffaella Giordano nei non semplici ruoli genitoriali, di certo letti da Martone sotto un’aura vagamente freudiana ma resi comunque in modo egregio; ben definito anche il ruolo di Pietro Giordani (affidato a Valerio Binasco), forza propulsiva per l’esplosione del genio leopardiano.
Il film insomma racconta una “favola” senza svelarcene mai la morale: è segnato da un eccessivo didascalismo, che gli fa perdere col passare dei minuti quel tono fresco che inizialmente sembrava possedere a favore dell’effetto “fiction di rai 1″; non è un caso infatti che l’ormai leggendario pessimismo leopardiano non venga in effetti in alcun modo definito (neanche quando viene recitata La Ginestra) se non facendo riferimento alla presunta verginità del poeta (sfogata per altro nella voracità mangereccia à La grande abbuffata) – scivolone che personalmente ho ritenuto un tantino volgare oltre che totalmente inadeguato all’impostazione che si era cercato di dare al film, risaltando il Leopardi “vivo” piuttosto che il Leopardi “sempre triste”.
Sarà sicuramente adorato da tutti i professori di italiano che insegneranno nei licei nei prossimi 50 anni almeno. Forse un po’ meno dai liceali.
Pregio per la soundtrack, molto azzeccata e non banale.
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