UNA STAGIONE DA LEGGERE – Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.
INVERNO – Il giovane Holden di J. D. Salinger
Ad ogni modo, era dicembre e tutto quanto, e l’aria era fredda come i capezzoli di una strega, specie sulla cima di quel cretino d’un colle.
Era uno di quei pomeriggi pazzeschi, freddo da morire, senza sole né niente, e ti sentivi come se stessi svanendo ogni volta che attraversavi una strada.
La cosa buffa, però, è che mentre continuavo a raccontar balle pensavo a tutt’altro. Io abito a New York, e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l’avrei trovato gelato, mi domandavo, e se era gelato, dove andavano le anitre? Chi sa dove andavano le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra. Chi sa se qualcuno andava a prenderle con un camion per portarle allo zoo o vattelappesca dove. O se volavano via.
Il giovane Holden nella traduzione di Adriana Motti (da cui è tratto il breve stralcio) è stato letto da intere generazioni. Nel 2014 è uscita, sempre per Einaudi, la nuova traduzione di Matteo Colombo.
E comunque era dicembre e via dicendo, un freddo cane, specie in cima a quella stupida collina.
Era uno di quei pomeriggi assurdi, un freddo terrificante, senza sole né niente, e la sensazione di scomparire ce l’avevi ogni volta che attraversavi la strada.
Chissà dov’erano andate le anatre. Chissà dove andavano le anatre quando il lago gelava e si copriva di ghiaccio. Chissà se arrivava qualcuno in furgone che le caricava tutte quante per portarle in uno zoo o chissà dove. O se volavano via e basta.
Matteo Colombo, piemontese di nascita ora di stanza a Berlino, è traduttore di scrittori come DeLillo, Eggers, Chabon, Sedaris, Palahniuk, il romanzo da Pulitzer Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan. In un’intervista commenta così la sua impresa: «Un libro che nel suo percorso editoriale italiano ha avuto un successo senza precedenti, grazie a una traduzione molto particolare: una traduzione che ha fatto innamorare diverse generazioni e che era molto creativa… a tratti anche parecchio libera. Quando lessi «Holden», ricordo questa sensazione: era come se ci fosse un libro, lì sotto, qualcosa che si muoveva, qualcosa di interessante, ma era come se la lingua mi impedisse di accedervi. Non mi parlava, non mi ci riconoscevo… mi sembrava bizzarra, ma senza un vero motivo. Quando l’ho letto in inglese, anni dopo, nel momento in cui dovevo tradurlo, sono rimasto a bocca aperta, perché sembra scritto non dico ieri, ma poco prima».
«Il giovane Holden ha sì una lingua gergale, ma non così tanto. Ha anche altre caratteristiche linguistiche, che sono un po’ più sottili… sono soprattutto ripetizioni. Quando si legge la traduzione di Adriana Motti, si ricava l’impressione che Holden abbia una lingua estremamente colorita, inventiva – e questo è vero, ma solo in parte. Però, se prendi l’originale, ti rendi conto che c’è dell’altro. Bisogna ricordare che Holden, quando racconta la sua storia, si trova in una clinica psichiatrica, anche se la cosa è solo accennata. E il fatto che non stia bene, nel corso di tutto il suo racconto, emerge con una certa chiarezza. A tratti ha dei veri e propri attacchi di panico. La nostra interpretazione – dico nostra perché mi sono consultato con molte persone – è che il suo linguaggio, il modo in cui parla, fosse strettamente collegato al suo disagio psicologico. Per cui: un sacco di parole ripetute, frasi spezzate… o quelle volte in cui Holden afferma una cosa per smentirla nella stessa frase».
(da mimimaetmoralia il 13 giugno 2014)
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