Il giudice e Berlino

Creato il 01 agosto 2013 da Giuseppe Lombardo @giuslom
Parafrasando Brecht, il mugnaio di Arcore – alias Renato Brunetta – si è detto tranquillo circa l’esito del processo Berlusconi: “Sono convinto che ci sia un giudice a Berlino”. Ora, il riferimento letterario è notevole, sebbene un amaro pragmatismo, un reale e cinico senso dell’opportunità politica, avrebbe dovuto indurre il capogruppo alla Camera del Pdl ad una maggiore prudenza. Sì, perché in Germania un politico accusato d’evasione non viene coccolato da media compiacenti o lodato per meriti politici da giornalisti alle sue dipendenze. Non c’è un Sallusti disposto ad invocare crociate o guerre civili in nome e per conto di una forza “moderata” che annovera, fra le sue fila, Pitonesse e Cosentino, Dell’Utri e Previti vari.Helmut Kohl, un uomo che ha rifatto la Germania anziché rifarsi la D’Addario, incarna forse l’esempio più eclatante di una cultura profondamente differente. I meriti storici del Cancelliere cristiano-democratico sono indiscutibili: la riunificazione tedesca, la ferma vocazione europea, la scelta di perseguire un’integrazione orizzontale e verticale, sono – tutte queste – decisioni e scelte che hanno profondamente influito sull’odierno profilo comunitario, condizionandone i processi. Angela Merkel viene da quella scuola politica e gran parte dell’originaria credibilità istituzionale le è derivata indubbiamente dalla sua gavetta all’interno del partito.Bene, quando nel 1999 il Parlamento tedesco avviò un’indagine sulla Cdu per fondi illegali depositati  su conti svizzeri, l’amore incondizionato di una parte consistente dell’opinione pubblica per lo statista venne meno. Analogamente, quando si scoprì che il Cancelliere aveva intascato 300.000 euro per una consulenza professionale prestata all’impero mediatico dei Kirck, impero che aveva precedentemente beneficiato di leggi “ad aziendam”, l’immagine pubblica di Kohl si arenò nella palude degli scandali. Non ebbe manifestazioni di solidarietà ispirate da un sentimentalismo di maniera, né ricevette un trattamento di riguardo per come aveva governato il paese in anni difficili.
In Italia è vero l’opposto: i meriti di Berlusconi sono davvero esigui ed ampiamente discutibili, ma gli agiografi non mancano. Il Cavaliere voleva abbattere con la scure la pressione fiscale ed oggi riscontriamo un’imposizione complessiva superiore a quella del ’94; voleva privatizzare le imprese pubbliche per cancellare il debito e ha finito col rivendicare la nazionalità della compagnia aerea di bandiera; voleva deregolamentare i settori vitali dell’economia per liberare le migliori energie e si è trovato impelagato in assurdi dibattiti televisivi, intento a snocciolare dati sulle leggi approvate dalla maggioranza di centrodestra durante il suo regno illuminato. Un fallimento su tutta la linea. Ciononostante il vassallaggio, lungi dall’essere stato scalfito, ha consentito agli alfieri di gonfiare il petto e di rivendicare questa eredità fatta di disastri e di macerie, roba che in Italia non si vedeva dai tempi della distruzione di Pompei.A Brunetta piace leggere, ne prendiamo atto. Suggeriamo, in tal senso, di abbandonare Brecht per dedicarsi “anima e core” a Pasolini: sarà meno naïf, ma discutere di questione morale oggi è l’atto più liberale e rivoluzionario che si possa intraprendere per conferire al dibattito una certa statura.
G.L.

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