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Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!

Creato il 13 gennaio 2016 da Il Viaggiatore Ignorante
Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Un’estesa pittura murale si mostra in tutta la sua terribile grandiosità sulla parete meridionale esterna di un enigmatico santuario lacustre, sorto “in mezzo alle terre”.
Al centro dell’affresco, la figura emaciata del Salvatore, dal corpo scheletrico e i tendini in forte e sconcertante risalto, si protende con posa innaturale dall’altezza di un trono bizzarro: un tabernacolo a traforo gotico, adorno di bifore e cuspidi, che pare la trasposizione onirica di una guglia del duomo di Milano. I piedi titanici del Creatore, ritornato alla Fine del Mondo quasi come un distruttore, poggiano su un basamento semicircolare; la sua figura, severa e soprannaturale, è quella del temibile Giudice. La cuspide sopra la sua testa divina, coronata e nimbata allo stesso tempo, è risolta da un paio di statuine: una per lato. I due simulacri sono stati modellati a immagine e somiglianza di Adamo ed Eva, a ricordo dell’indelebile Peccato Originale. Ancora più in alto spicca il particolare inedito e apocalittico-astrologico del Sole, della Luna e dei Quattro Elementi personificati nelle figure profetiche di statue panneggiate.Parusia escatologica: “È cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Eb 10,31).Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Tutt’attorno al trono è un folle agitarsi di cherubini in volo: venti figurette fanno da ghirlanda, stringendo gli strumenti della Passione: la croce, i chiodi, la corona di spine, la lancia che trafisse Gesù, la scala, il flagello...
Le schiere ricciolute, dai visi armoniosi e androgini, danzando flessuose dialogano con vivacità sull’etereo fondale ceruleo. I loro tratti cesellati non sono opera di veri e propri frescanti di mestiere, bensì di artisti virtuosi, perlopiù avvezzi a miniare preziosi codici scritti: ecco perché, oltre alle fisionomie e ai caratteri individuali degli angeli è acutamente indagato anche il loro abbigliamento fastoso: il "décolleté" delle vesti e le maniche alla moda sono solo un piccolo assaggio dell’eleganza raffinata diffusasi alla corte dei potenti Visconti nella Milano di fine ‘300.Dalla dimensione iperuranica, astratta, a quella terrena.Al suolo, ai lati del trono si stringono le schiere dei supplici. La Resurrezione dei Morti, alla nostra sinistra, mostra impietosamente una piccola schiera di peccatori prostrati ai piedi del trono: chierici concubinari e corrotti, assassini e sovrani marchiati d’infamia. Corona sul capo, un re striscia a terra con un pugno teso verso la volta cerulea; a fianco, un alto dignitario cerca inutilmente l’aiuto di un frate francescano che, a differenza di lui, si staglia in tutta la sua altezza. Quest’ultimo, in tonaca marrone, con la cintura o “cingulum” stretta sui fianchi e la tonsura che lo ha insignito degli ordini sacri, ostenta un’arrogante posa plastica che lo contrappone a un ostilissimo arcangelo incalzante, armato di spada. Lo sguardo del frate, puntato contro un secondo angelo che piomba dal cielo, è pieno di superbia; il suo braccio destro si leva sulla difensiva, il sinistro si abbassa indicando un peccatore sfinito: un uomo comune. Quest’ultimo, macerato dal senso di colpa, col capo celato da un berretto, dà di spalle alla scena: forse è proprio lui, l’assassino. Atteggiamento ambiguo, quello del frate francescano: il suo è un gesto d’intercessione, o di accusa verso il peggiore dei peccatori? Personalmente,lo interpreterei più come un tentativo di distogliere l’attenzione del furioso arcangelo da se stesso e dalla donna che si cela alle sue spalle: quest’ultima, inutilmente intenta a coprirsi i seni con un panno trasparente: il soggolo e il velo la identificano nei panni, scollacciati, di una monaca, forse certosina. Come in una scena boccaccesca, i due sono stati scoperti in flagrante fornicazione: di fronte a un Giudice che dal suo trono appuntito tutto vede, i voti di obbedienza, castità e povertà dei frati Francescani, manifestati dai tre nodi del “cingulum”, sono stati spudoratamente violati. Nel frattempo un altro peccatore, come schiantato da una forza superiore, ruzzola ai piedi del trono.Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Fra mitrie vescovili, sfarzose tuniche e boccoli, alle spalle dell’arcangelo una processione di potenti inginocchiati attende il suo turno. Ed ecco sfilare le anime delle più alte gerarchie ecclesiastiche e laiche dell’epoca, teatro di vizi dell’umanità: l’usura, l’impudicizia, l’accidia e l’adulterio, oppressi dalla gestualità concitata dei castigatori in volo. Le loro vesti ricordano da vicino quelle del gruppo altrettanto nobile dei Giusti, prostrati a destra e chiusi in preghiera. Tra questi Beati metterei in risalto il trattamento speciale e disturbante riservato a un’infedele dal volto scuro, tenuta al guinzaglio da un demone svolazzante: poiché in vita non volle seguire il verbo di Cristo, ora la visione del Giudice in trono per lei è diventata, sempre se vorrà salvarsi, una costrizione violenta. Sull’estrema destra dell'affresco campeggia un’altra tipologia di peccatori: al romantico suono del liuto di un musicista dal gozzo rigonfio, una coppia di nobili amanti si è data un rendez-vous clandestino in un “Liebesgarten”: il giardino d’amore è un topos ricorrente nell’iconografia a vasto raggio dello stile “gotico internazionale.”L’idillio però, anche qui è minacciato dalla prefigurazione di un castigo imminente. A lato, un demone stronca il loro amore profano con un battito delle sue ali di pipistrello: è un potere insondabile che lo scrivente sarebbe portato a interpretare come una contagiosa folata epidemica. La forza drammatica della scena è resa particolarmente intensa dalla chiarezza del racconto, che con fine didascalico pone, accanto ai vari personaggi, cartigli con scritte esplicative. La scena intera colpisce per il senso drammatico, degno di una rappresentazione teatrale, che calcando la mano, anzi il pennello, rimarca l’ineluttabilità della giustizia divina e della miseria finale, anche per i potenti e i tiranni. "Benvenuti nella «sfera tumultuosa del manierismo gotico!"Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Per l’esattezza, dove ci troviamo? A Campione, enclave italiana in territorio elvetico.Borgo da sempre “diviso” tra Como e Milano e attualmente assai prossimo all’orbita varesina, per tutto il Medioevo Campione rivestì un ruolo di rilievo nella storia dell'arte lombarda e non solo: le pregevoli opere di artisti campionesi, soprattutto scultori e lapicidi e architetti si diffusero in tutta la penisola italiana per tutto il XIV secolo.E’ un caso unico che si protrae dal lontano 777 d.C., quello del “burgus”situato sulla sponda orientale del Lago di Lugano. Allora, quando il feudatario longobardo Totone, con atto testamentario, decise di donare parte delle sue terre al potente monastero ambrosiano di sant'Ambrogio, Campione era un luogo pressoché ignoto, sito alla periferia del tardo regno longobardo.Già allora, a una certa distanza dall’abitato, sorse un primo nucleo chiamato "Santa Maria in Willari". Pur non esercitando mai un vero e proprio ruolo di parrocchia, dopo il 1000 il luogo di culto fu adibito, quale luogo di passaggio, a “xenodochio”: ostello per viaggiatori, gestito da monaci cistercensi. La funzione assistenziale d'accoglienza di mercanti e pellegrini era tipica dei cenobi di frontiera situati lungo la via per le Alpi.Solo con l'incameramento di nuove entrate, l'esecuzione di svariate opere a fresco di particolare pregio pittorico iniziò a configurare il santuario campionese come centro di rilievo nell’area prealpina.Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Da allora molto è cambiato. L'attuale nome del Santuario, “Santa Maria dei Ghirli”, forse dovuto al termine dialettale con il quale si usava chiamare i rondoni che in estate qui nidificavano, sembra quasi attendere noi, nuovi pellegrini: affacciato sul lago, proprio all'ingresso della cittadina, in effetti il santuario funge quasi da potente elisir ristoratore, a sanare lo scempio moderno introdotto dal mostruoso casinò di Mario Botta. L’aspetto architettonico del tempio è il risultato di continue trasformazioni, stratificatesi nel corso dei secoli: il rimaneggiamento d'intere parti (campanile, tiburio) col particolare prospetto scenografico barocco a tre ordini di rampe protese verso il lago, dona al complesso un fascino tutto particolare che ricorda da vicino gli approdi alle ville lacustri del Settecento lombardo. L'aggiunta dei portici laterali accresce la monumentalità della costruzione.Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Ma torniamo al nostro affresco.Un cartiglio, scoperto in extremis nel 1912 dal celebre Toesca, reca una frase latina. Così io ve la traduco: “Quest’opera, realizzata nel 23 giugno del 1400 con le elemosine offerte alla chiesa dai membri della scuola di Campione, fu dipinta da Lanfranco de Veris da Milano e da suo Figlio Filippolo.”De Veris è la probabile storpiatura latina di Verri, tipico cognome lombardo. Padre e figlio erano parte integrante dell'entourage di pittori e miniatori prestigiosi alle dipendenze del duca Gian Galeazzo Visconti (1374-1402): il signore di Milano aveva da poco inaugurato un ambizioso programma politico, teso a unificare il Nord Italia e a inglobare il Centro in un potentato signorile assai simile a una monarchia, che vedeva cantieri artistici aperti nel Duomo di Milano, a Monza, a Cremona, alla Certosa di Pavia e nel suo castello. L'artista di corte più prestigioso, Giovannino de' Grassi, aveva da poco miniato un famoso libro di preghiere, detto "Offiziolo", con immagini cortesi di grande eleganza: tornei, dame, animali nostrani ed esotici, ritratti con accuratezza naturalistica e preziosità decorativa. Michelino da Besozzo, co-protagonista, ottenne uno stile molto più aggraziato e di grande successo, giocato su tinte tenui, personaggi attoniti e leggerissimi.
Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Il ciclo pittorico di Campione, pur pienamente partecipe della complessa cultura figurativa di gusto gotico internazionale sviluppatasi attorno al cantiere ambrosiano, rivela tuttavia una vena espressiva meno aulica e cortese: la pennellata incisiva del maestro e dell’allievo, rapida nei tratti e nei gesti dei personaggi, manifesta un interesse tutto particolare per le notazioni realistiche, al limite della caricatura. Lanfranco e Filippolo Verri, coppia di pittori altrimenti ignoti, costituì una piccola impresa a gestione famigliare di artisti sfuggevoli, i cui caratteri gotici si arricchirono di una peculiarità regionale del tutto particolare.La critica ha da sempre osservato la stranezza di questi affreschi, dal fascino ambivalente e quasi trasgressivo, dotati di un goticismo smodato, di “aspetto bizzarro”, “stravagante unicità”, “frenetica agitazione”, “stregata follia” e “spirito perverso”.La potente  allegoria della lotta tra il Bene e  Male inscenata dai due artisti ostenta sicurezza e abilità pittorica. Di fronte al tripudio drammatico e violentemente espressivo del ciclo campionese le caratteristiche principali dello stile stesso, ossia le delicatezze del gusto ereditato dagli artisti del Duomo vengono travalicate. Lo stile innovativo di Lanfranco e Filippolo fungerà da connessione con gli sviluppi della pittura successiva, riscontrata in cantiere nei primi decenni del '400. A maggior ragione, Il grande Giudizio Universale della coppia De Veris, denso di spunti tratti dal mondo cortese, con aneddoti grotteschi tipici del tempo, rappresenta una delle testimonianze più importanti del gotico internazionale in Lombardia.Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Ed è così che, sul registro inferiore, si srotola una scena di gusto dantesco, con demoni e dannati sottoposti a varie torture. Qui, dove il ciclo purtroppo presenta un forte impoverimento della pellicola pittorica, su un simbolico fondo rossiccio che rievoca le fiamme dell’Inferno è rappresentato un campionario realistico di peccati: nella descrizione delle torture dei dannati, il pennello si sofferma con curiosità e spirito d’osservazione sulle deformazioni fisiche e caricaturali: ed ecco scorrere veloce la tortura della ruota, le angherie dei demoni, una madre che uccide suo figlio, Giuda suicida appeso all’albero e un ladro in fuga con il bottino sulle spalle, incurante di aver perso le proprie vesti proprio a causa dell’avidità. L’accentuato realismo passa in rassegna perfino una serie di utensili, a caratterizzare l'attività professionale di ogni peccatore: si riconoscono significativamente l'alambicco dell'alchimista, i dadi del giocatore d’azzardo, la cazzuola del muratore e le forbici del sarto...La bizzarria del ciclo non si limita allo stile: anche l’iconografia è estremamente anomala, a dir poco azzardata. E’ assai interessante osservare come i de Veris, attraverso il medium pittorico, all’alba del ‘400 si facessero carico di una rischiosa missione: quella mettere a nudo una corruzione morale, apparentemente sopita ma a quanto pare più dilagante che mai, tanto in ambito laico quanto ecclesiastico. Infatti, pur trattandosi di un Giudizio Universale, soggetto di larghissima diffusione, l'affresco presenta uno schema iconografico commisto con le macabre rappresentazioni dei Trionfi della Morte: feroci denunce anticlericali, in polemica con le ricchezze terrene.  Gli estremismi di paura e angoscia si alimentano ulteriormente, in considerazione della collocazione all’esterno della chiesa: quasi un manifesto di “memento mori”: ricordati che, ricco o povero, chierico e laico, devi morire. Se consideriamo il momento storico e il luogo, il Ducato di Milano, apparentemente immune a fermenti di qualsivoglia tipo religioso, questo fatto risulta del tutto particolare.Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Veniamo a scoprire un ulteriore colpo di scena: a differenza di tutte le altre iconografie tipiche italiane, tipiche dei Giudizi Universali inaugurati dalla controfacciata della cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova in poi, in santa Maria dei Ghirli non troviamo rappresentati, nell’infinito universo raccolto intorno al grande Cristo Giudice, manca qualcosa di fondamentale.Ai lati del Giudice vi è sì l’umanità, in attesa di responso, ma mancano le abituali figure della Vergine, del Battista e di tutti gli altri santi: tra la figura del Giudice e quelle dei penitenti non esistono intermediari!La mancata d’intercessione del Giudizio Universale di Campione costituisce un unicum.In questo contesto, il forte realismo e gli infiniti particolari descrittivi paiono allora palesarsi come espressione di una convinzione, se non addirittura di un credo portato a condannare l’umanità intera considerandola peccatrice in toto, destinata alla perdizione eterna: senza intermediari,  la speranza di salvezza diventa un miraggio luterano ante-litteram. Solo ora, le due figurine di Adamo ed Eva, rivelano il vero senso del ciclo:  basandosi sul rapporto con il Peccato Originale, nel Giudizio Finale di Campione non vi sarà pietà per nessuno! 
                             Il Giudizio Finale di Campione [parte prima]: e non vi sarà Pietà per nessuno!Timori apocalittici: aspirazioni al misticismo e alla spiritualità, affondano le proprie radici in luoghi invisibili e criptici della spiritualità: chi può aver commissionato una simile opera? Nel cartiglio ormai semicancellato si accenna a una “scuola”: un’aggregazione non ben definita, tanto meno dichiarata, di accoliti riuniti con finalità di mutua assistenza.Misteriosi “scholares”…fecero erigere un gran teatro mistico e apocalittico sulle rive del Lago di Lugano: tutto ciò, in un epoca senza eresie e calamità? Perché? Lo scopriremo nel prossimo articolo.

Marco Corrias (alias Marc Pevèn)

BIBLIOGRAFIA:Algeri, G. Pittura in Lombardia nel primo Quattrocento, in La Pittura in Italia, Milano 1987Bandera, S. Il Tardogotico, in Pittura a Como e nel Canton Ticino, Milano, 1994Bianconi. P. La pittura medievale nel Canton Ticino, Milano 1939Gregori, M. A proposito dei De Veris, in Paragone, VIII, Milano, 1957Matalon, S., Mazzini, F. Affreschi del Tre e del Quattrocento in Lombardia, Milano 1958 Rutz, V. Segre. Intorno agli affreschi di Lanfranco e Filippolo de Veris a Campione, 1988Toesca, P. Il Trecento, Torino 1951Toesca, P. La pittura e la miniatura nella Lombardia, Torino 1966

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