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Il giuramento rifiutato

Creato il 11 febbraio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno

Il giuramento rifiutato
Ma erano 11 o 12 i docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo? Umberto Eco parlò al Palasharp di 11 docenti che hanno salvato l’onore dell’università italiana. Invece, lo storico tedesco Helmut Goetz, che ha ricostruito l’intera vicenda in modo analitico, in un libro pubblicato da’ La Nuova Italia nel 2000, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, ne elenca dodici, e sono:

1. Giorgio Levi Della Vida, Università di Roma
2. Gaetano De Sanctis, Università di Roma
3. Ernesto Buonaiuti, Università di Roma
4. Vito Volterra, Università di Roma
5. Edoardo Ruffini Avondo, Università di Perugia
6. Bartolo Nigrisoli, Università di Bologna
7. Mario Carrara, Università di Torino
8. Francesco Ruffini, Università di Torino
9. Lionello Ventura, Università di Torino
10. Giorgio Errera, Università di Pavia
11. Fabio Luzzatto, Regia Scuola superiore di agricoltura di Milano
12. Piero Martinetti, Università di Milano.
Vediamo come Goetz ricostruisce la genesi e lo sviluppo di questo giuramento. Negli anni 1927-1929, durante la campagna di stampa per la fascistizzazione delle università italiane, molti articolisti reclamavano a gran voce una rigorosa epurazione nelle università di elementi antifascisti; ma a nessuno venne in mente di proporre un giuramento di fedeltà al regime. Questa trovata venne in mente al filosofo Giovanni Gentile, che nelle intenzioni doveva servire a punire coloro che avevano firmato il manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce. In realtà, l’idea del giuramento Gentile l’aveva già applicata nel 1923, ma nella sua formulazione questo primo giuramento ricalcava quello che era richiesto cinquant’anni prima nel corso della graduale unificazione dell’Italia. Secondo il filosofo fascista spettava allo Stato, con una sola fede e un’unica dottrina, stabilire i limiti della ricerca, della libertà di parola e della libertà di stampa. Come scrive Goetz: «Stato significava in primo luogo Mussolini e i suoi tirapiedi, i quali – studiosi o altro che fossero – agivano nei confronti dei docenti non secondo criteri scientifici, ma solo secondo criteri politici ed ideologici». Nel 1929 Mussolini nominò ministro dell’Educazione Nazionale il filosofo Balbino Giuliano, e l’anno successivo, nella primavera del 1930, riunì il Gran Consiglio del Fascismo. Durante la seduta venne proposta una nuova aggiunta alla formula: dopo il giuramento di fedeltà al re e ai suoi successori e di leale osservanza allo statuto e delle altre leggi, il testo recitava: «giuro come cittadino e come insegnante di aderire spiritualmente e attivamente alle idealità del Regime fascista». Perfezionato ancora, il decreto legge fu pronto per essere pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» dell’8 ottobre 1931. Gentile, l’ispiratore del giuramento, ora si attendeva che i docenti giurassero in buona fede, intimamente convinti di aderire al credo fascista, altrimenti sarebbero «indegni moralmente come uomini, del sacro ufficio che a loro è commesso, di educare la gioventù». Croce, in un primo tempo, sconsigliò di prestare giuramento, ma quando si rese conto che le università si sarebbero private dei migliori docenti, cambiò idea. Molti temettero per le sorti delle loro famiglie. Lo storico Adolfo Omodeo pianse al pensiero che non sarebbe stato più in grado di pagare gli studi dei figli. Qualcun altro giurò anche per motivi politici, come il latinista Concetto Marchesi, per continuare a svolgere «un’opera estremamente utile per il Partito e per la causa dell’antifascismo». Il Regime fascista sapeva benissimo che gli intellettuali non erano dalla sua parte, ma voleva lo stesso asservirli, umiliarli, costringerli al silenzio e annientare le loro coscienze. In tal modo, come scrive Goetz, i professori, ad eccezione di una piccola schiera di uomini liberi, avrebbero disprezzato se stessi e si sarebbero considerati indegni di parlare ai loro studenti.


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