Provo imbarazzo a stare dalla parte giusta e non solo perché, come insegna Brecht, da quella parte i posti sono sempre tutti occupati e personalmente ho sempre sofferto i luoghi eccessivamente affollati. Ma c’è anche una questione di qualità, oltre che di quantità, dietro a questo mio imbarazzo. Il problema è che ogni qualvolta che mi sento di parteggiare per una causa che reputo sacrosanta, mi ritrovo a dividere gli spazi con frotte di indignati a prescindere che non si fanno scrupolo di trasformare detta causa in un vessillo della loro stantia battaglia ideologica, incuranti che dietro ci siano tragedie personali o delicate problematiche sociali. A loro importa sfruttare ogni occasione per affermare la logica del popolo oppresso dal regime dei potentati finanziari sovranazionali e accreditare in tal modo il loro delirio complottista. Lo scempio perpetrato su un giovane reo di avere problemi di tossicodipendenza, prima dalle forze dell’ordine, indi dal personale sanitario e in ultimo dal primo grado di giudizio, viene decontestualizzato, di conseguenza privato del suo peso tragico ed etico, per essere posto nel Pantheon del ribellismo a prescindere, al pari di altre vittime di abusi di stato o di altre ingiustizie o della legittima lotta di comunità in difesa del proprio territorio. Così, non si arriverà mai a centrare la reale rilevanza delle questioni e un potere in cronica crisi di credibilità ha ed avrà la possibilità di portare avanti la propria melina gattopardesca, proprio grazie al manicheismo di un’indignazione del tutto priva di onestà intellettuale.