Con la sua storia plurimillenaria l'ebraismo è forse una delle più affascinanti ed esoteriche forme culturali dell'intera umanità, ricca com'è di segreti e leggende fra le più interessanti di tutti i tempi. All'interno delle numerose figure che popolano il suo immaginario sicuramente quella del Golem rappresenta quanto di più perturbante e favoloso la nostra mente possa concepire; l'idea di una mastodontica creatura di pietra o argilla capace di animarsi e di diventare servitore di colui che la evoca inserendo all'interno della sua bocca (o sussurrandogli all'orecchio) il nome segreto di Dio (nome segreto ed esoterico di per sé impronunciabile) o, in alternativa, una parola suggestiva come ad esempio "verità" (in ebraico אמת, emet).
L'oscura e terrificante leggenda del Golem tratta da vicino il tema dell'automa in grado di prendere vita, una di quelle paure (o fantasie) che ci accompagna fin dai tempi più remoti e che ha trovato più volte sfogo in numerose opere letterarie come L'uomo della sabbia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann e Frankenstein di Mary Shelley. L'uomo ha sempre cercato come Pigmalione di "antropomorfizzare" le proprie creazioni, forse ritenendosi simile al Dio ebraico che, dopo aver modellato il suo primo essere umano di fango, infonde la vita con un soffio. Ma, nel momento in cui i suoi "pupazzi" diventano reali, ecco che la paura subentra, avviando quello che Freud definiva per l'appunto l' effetto perturbante, il quale si verifica quando qualcosa che dovrebbe avere certi connotati finisce per tradire la sua stessa natura e dare il via ad un vero e proprio cortocircuito percettivo.
La leggenda del Golem, dunque, trae le sue origini ancestrali fin dal Tanakh (gruppo di libri sacri della tradizione ebraica), dove nel Salmo 139 viene descritta la creazione dell'uomo da parte di Dio con lo stesso procedimento concepito per animare l'essere d'argilla. In tale libro, poi, viene usata per la prima volta la parola gelem ("materia grezza" o anche "embrione"), da cui in seguito sarebbe derivato il termine in uso comune nella lingua ebraica che oggi può addirittura essere tradotto come "robot" (pertanto, un rimando diretto al mito dell'automa).
In un altro testo importante, lo Sefer Yetzirah, viene messa in evidenza la possibilità di forgiare un feticcio mediante materiali di recupero come terra o argilla, che accuratamente plasmati potranno prendere vita grazie alla presenza delle lettere dell'alfabeto ebraico. Al di fuori di tali credenze, sarà poi l'alchimista Paracelso nel '500 a descrivere dettagliatamente il procedimento per la realizzazione in vitro di un homunculus, una creatura fetale concepita senza l'uso della pratica sessuale ma usando "ingredienti" naturali, come la pianta di mandragora e il sangue di un impiccato. Ma la forma compiuta di tale leggenda trova le sue fondamenta nel ghetto ebraico di Praga del XVI secolo: qui il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel riuscì per primo a creare un vero e autentico Golem da usare come servitore personale, senza però tenere conto della difficoltà nel controllare e guidare la forza ricalcitrante di un essere così imprevedibile, esattamente come accade con il mostro di Frankenstein anch'esso mosso da istinti primordiali come l'odio e l'amore.
Ed è proprio rifacendosi alle suggestioni offerte da questa leggenda praghese che nel 1915 l'attore e regista tedesco Paul Wegener, in collaborazione con il collega Henrik Galeen, decise di dirigere ed interpretare Il Golem ( Der Golem), un film elaborato ed evocativo che anticipa di circa quattro anni l'estetica e le atmosfere del cinema espressionista che avrebbero avuto grande eco a partire da Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene. Imponente (era alto quasi due metri) ed ombroso attore di origine polacca, Wegener si era fatto le ossa nel teatro tedesco dove aveva imparato a sfruttare appieno la mimica corporea e facciale che diventerà importante per l'avanguardia artistica successiva e che lui, sotto l'egida del regista teatrale Max Reinhardt, riuscì a sfruttare al meglio recitando in ruoli fuori dal comune.
Il suo esordio come regista (e attore protagonista) avvenne nel 1913 con Lo studente di Praga, opera perturbante e onirica ispirata al Faust di Goethe che, ricca di trucchi all'avanguardia come lo sdoppiamento dello stesso personaggio al centro della vicenda, è piena di tematiche (lo specchio, il doppio, l'anima oscura) che richiamano le pellicole espressioniste di Friedrich Wilhelm Murnau e Fritz Lang. Dopo il grande successo ottenuto con questo esordio, Wegener decide di cimentarsi proprio con il mito del Golem, creando un film ricco di invenzioni visive grazie alla collaborazione dell'amico e operatore Guido Seeber e decidendo lui stesso di interpretare il ruolo principale dell'energumeno d'argilla, una gigantesca statua che un gruppo di ricercatori riesce a riportare alla luce durante alcuni scavi nei pressi del ghetto di Praga e che un antiquario è in grado di far rivivere grazie ad una formula cabalistica trovata in un antico libro. Inizialmente usato come servo dell'antiquario, il Golem ben presto cede al più primordiale degli istinti umani e si innamora della giovane figlia del suo padrone, ma, accorgendosi di non essere ricambiato, lo strano essere, odiato dall'intera popolazione che gli dà la caccia, sceglie di uccidersi gettandosi da un campanile.
La pellicola di Wegener ebbe all'epoca della sua uscita un grande successo, dovuto sia alla presenza dell'affascinante attrice Lyda Salmonova, futura moglie del regista, che all'influenza più o meno diretta del romanzo omonimo pubblicato lo stesso anno dallo scrittore Gustav Meyrink nel quale, attraverso un'identica ambientazione contemporanea, si narra la vicenda dell'intagliatore di pietre preziose Athasius Pernath che, dopo aver scambiato il proprio cappello con quello di uno sconosciuto incontrato per caso in una cattedrale, inizia a rivivere le vicende dell'antico ghetto di Praga, mentre il suo corpo viene posseduto da un'arcana e sconosciuta entità che lo manovra proprio come un burattino. L'influenza del libro di Meyrink, il riferimento diretto alla leggenda ebraica e alcune citazioni tratte dal romanzo gotico di Mary Shelley permisero al film di avere grande risonanza, ma, complice anche il disinteresse da parte dei critici, già nei primi anni '30 della pellicola non rimasero più copie integre, tanto che, ad oggi, fatta eccezione per pochi fotogrammi, alcune fotografie di scena e la sceneggiatura originale, può considerarsi perduta.
Dopo averlo ripreso nel 1917 con il giocoso Der Golem und die Tänzerin, Wegener torna nel 1920 al mito del Golem con l'intenzione di risalire alle sue origini. Il Golem - Come venne al mondo ( Der Golem, wie er in die Welt kam), sempre da lui interpretato e diretto assieme a Carl Boese, è una sorta di ideale prequel in cui si narra fedelmente la storia del rabbino Jehuda Löw e della nascita del terribile mostro d'argilla, questa volta rinunciando all'ambientazione contemporanea del film precedente e ricostruendo fedelmente il ghetto di Praga del XVI secolo, grazie alla collaborazione della casa produttrice Projektions-AG Union (PAGU).
Tenendo conto che l'espressionismo cinematografico aveva da poco esordito ufficialmente, questo film può considerarsi a tutti gli effetti come uno dei primi e più riusciti esemplari dell'estetica di questa corrente d'avanguardia, a cominciare dalla fotografia evocativa e contrastata di Karl Freund (futuro operatore di Metropolis di Lang e regista del classico La mummia con Boris Karloff); l'ambientazione storica resa attraverso le consuete distorsioni prospettiche delle scenografie di Hans Poelzig; gli strabilianti effetti speciali mediante sovraimpressioni e modellini; una sceneggiatura di ferro scritta assieme a Henrik Galeen e soprattutto una magistrale interpretazione dello stesso Wegener, il quale riesce alla perfezione a dare corpo e (immota) espressione al gigante d'argilla e ai suoi elementari sentimenti, creando una sequenza cardine che sarebbe stata omaggiata nel 1931 da James Whale nel Frankenstein della Universal: la creatura uccide accidentalmente una bambina da cui aveva ricevuto un fiore, rimarcando dunque l'idea che nessun essere di tal fatta, per quanto simile all'uomo, potrà mai amare ed essere amato completamente.
Sopravvissuta nel tempo grazie anche ai minuziosi lavori di restauro e di conservazione, la pellicola del 1920 è una delle rare testimonianze sul grande schermo del mito del Golem (ricordiamo anche Le Golem diretto nel 1936 da Julien Duvivier), personaggio di culto e progenitore di tanti altri esseri mastodontici ed orripilanti della storia della settima arte.
Una figura che ritroviamo negli anni '70 in un fumetto della Marvel, in serie televisive come I Simpson e X-Files, in cartoni animati come i Pokémon e che ha ispirato tantissimi autori nel corso del tempo, da Jorge Luis Borges che ha dedicato al Golem una poesia nella raccolta L'altro, lo stesso ad Isaac Asimov che afferma di averne tratto ispirazione per ideare alcuni suoi personaggi fantascientifici.
Insomma, una creatura oscura e terribile che affonda le sue radici nelle buie leggende della tradizione ebraica, un essere terrificante che proprio quest'anno festeggia i primi cento anni dalla sua prima apparizione cinematografica nel purtroppo perduto film di Wegener, un piccolo rimpianto che però non può far altro che aumentare (anche al cinema) l'aura di mistero e soggezione attorno a questa inquietante figura d'argilla.