Una lunga serie di stangate aspetta gli italiani per i prossimi 20 anni o, in alternativa, una serie di stangate alternata a vendite, a prezzi di saldo, di pezzi del patrimonio pubblico.
Nel segreto del palazzo di via XX Settembre a Roma dove ha sede il Ministero dell’Economia si studiano con spaventata attenzione le nuove norme che, avvolte nel mistero, sono state messe a punto nei giorni scorsi nei palazzi del potere europei.
I tempi sono strettissimi. Le proposte di emendamento devono essere mandate ai super burocrati europei entro il 29 dicembre e questa specie di ghigliottina spiega la consegna del silenzio intorno al documento. Le regole della democrazia vorrebbero un dibattito pubblico, quanto meno in Parlamento, ma vista la piega presa dal tema dell’art. 18, Mario Monti e i suoi ministri possono avere avuto una qualche ragione nel non parlarne con nessuno.
Il documento occupa sette pagine e mezzo di testo dattiloscritto, in inglese, la lingua franca degli economisti. Apre, in maiuscolo e sottolineata, la parola “draft”, bozza; il titolo è ”INTERNATIONAL AGREEMENT ON A REINFORCED ECONOMIC UNION”, maiuscolo e sottolineato: Accordo internazionale per un rafforzamento della unione economica.
Il punto nodale di tutto il documento è in queste cruciali tre righe nel dattiloscritto) dell’art. 4: ”When the ratio of their government debt to gross domestic product exceeds the 60 % reference value mentioned under Article 1 of Protocol No 12, the Contracting Parties undertake to reduce it at an average rate of one twentieth per year as a benchmark”. (Quando il rapporto tra il debito pubblico di un governo e il prodotto interno lordo supera il valore di riferimento del 60% [...quel governo si impegna] a ridurlo a un tasso medio di un ventesimo all’anno”.
Foto da Wikimedia Commons
[email protected]