Ieri siamo arrivati al parossismo del ridicolo. Soprattutto è stato dimostrato quanto vado asserendo da tempo (in verità non solo io): noi in Italia non abbiamo un sindacato che tutela i diritti dei lavoratori quando è necessario e sta zitto quando dovrebbe. Noi abbiamo un partito comunista travestito da sindacato, che quando gli garba, indìce uno sciopero generale per fare opposizione politica al governo di colore opposto.
Vedere e sentire la Camusso che intona Bella Ciao fa venire i brividi, e ti fa porre parecchie domande da psicanalisi: ma perché non riusciamo a liberarci della maledizione rossa (intendo il comunismo)? Cosa abbiamo combinato in Italia davanti a Dio e agli uomini per essere eternamente condannati a sentire l’Internazionale, Bella Ciao e altre assurdità marxiste-leniniste dei tempi andati? In Polonia, il comunismo è fuori legge, ed è reato esporre i simboli comunisti. Qui in Italia è un «valore». Forse perché i polacchi sanno bene cosa significa cadere nelle grinfie del bolscevismo più feroce. In Italia no.
Ma la cosa che ha lasciato più straniti della giornata di ieri è stata la prova provata che ai comunisti d’ogni risma (un po’ canuti per la verità) non piace l’Italia. Non piace l’italianità. Non piace il sentirsi parte di una patria. Loro amano solo i relitti del passato: Marx, Lenin, Togliatti, Gramsci e assurdità varie. Eccoli dunque che – a Genova – non cantano il nostro inno nazionale, ma l’Internazionale. Una bella prova di italianità che contrasta con tutto quello che sbandierano un giorno sì e l’altro pure, pur di dimostrare che loro sono la parte «migliore» del nostro paese (il che è tutta da ridere: i comunisti la parte migliore del nostro paese, è una barzelletta).
Eppure, non che il Governo – sempre ieri – abbia dato dimostrazione di coerenza per contrastare le ragioni di questo ammasso di nostalgici del comunismo d’antan (a parte qualche misura significativa, come la possibilità di deroga della contrattazione aziendale). Pur di non tagliare gli sprechi (molti dei quali a favore – guarda caso – dei sindacati e della politica), ha infatti aumentato l’IVA che graverà soprattutto sulle piccole e medie imprese.
Mi chiedo: e queste sarebbero le misure per far crescere l’economia? La risposta potrebbe essere: certo che sì! Ma quella cinese e quella asiatica. Che ancora una volta vengono avvantaggiate rispetto a quella italiana. Così, se mentre sugli imprenditori italiani graverà un punto percentuale di IVA in più, le imprese extraeuropee importeranno allegramente i loro prodotti concorrenziali di scarsa qualità sul nostro mercato e la faranno (ancora una volta) da padroni. Una riforma liberale che lascia a terra la nostra economia, gravata da tasse e imposte sempre più pesanti.
Peraltro, cosa altrettanto ridicola quanto lo sciopero generale della CGIL, viene introdotto il contributo di solidarietà per i contribuenti con un reddito superiore ai 300 mila euro. Una misura che lascia l’amaro in bocca, poiché inciderà sulle nostre spese pazze (quelle della politica soprattutto) in maniera davvero misera, e non risolverà un bel niente. Né la crisi. Né contribuirà a far ripartire l’economia.
E l’abolizione delle Province? E il pareggio di bilancio in Costituzione? E la riduzione dei parlamentari e dei loro emolumenti? Macché. Niente. Quelli rimangono ad ammuffire nel cassetto dei mantra delle riforme di tutti i tempi, pronti per essere sfoderati nella prossima campagna elettorale, mentre la politica, il sindacalismo e gli altri settori parassiti dello Stato continuano ad arricchirsi alle spalle del contribuente. Che non può far altro che pagare i privilegi e gli sprechi altrui, gli scioperi generali (ci costano cinque miliardi di euro) e quant’altro, se non vuole che lo Stato dichiari bancarotta. Il che purtroppo è un’evenienza mica tanto remota.
di Martino © 2011 Il Jester