Il Graal.Parola mitica, parola mistica.Parola che fa impazzire, parola per cui si arriva ad uccidere. Parola a cui si vota un'intera esistenza, parola a cui si sacrifica qualunque altra cosa.Parola che trascende l'esistenza stessa, parola che è ormai diventata metafora.Metafora di quello che si cerca, metafora di qualcosa che non si riuscirà mai a raggiungere, ma che al tempo stesso è quello che ci fa camminare.E' la metafora del divino a cui l'uomo anela, il divino a cui sa di non appartenere, ma che, ambizioso, folle, disperato, vuole ugualmente raggiungere, possedere, infondere dentro di sè, trasformando i propri limiti corporei, espandendo i propri confini umani.Forse perché il divino è in realtà dentro l'uomo, ed è per questo che ne sente il richiamo, la forza magnetica irresistibile, il desiderio di volere di più, di essere di più.Il Graal nei secoli è diventato una metafora di questa ambizione, di questo desiderio.Termine di origine latina ("gradalis", piatto), o greca ("krater", vaso), il Graal è secondo alcuni un oggetto vero e proprio, secondo altri semplicemente una metafora di ciò che contiene, che non è tangibile dai sensi, e forse nemmeno concepibile dall'intelletto umano.E' la sapienza? E' quella conoscenza che l'uomo da sempre prova a contendere a Dio, dannandosi? E' il potere stesso di donare la vita, di resuscitare i morti?
Il Graal non è uno solo, ma cambia volto e significato nel corso dei secoli, a seconda delle interpretazioni diverse che epoche e culture diverse hanno voluto dargli.La tradizione medievale è quella che si è fatta largo più a gran voce fino ai giorni nostri, lasciando sopra al Graal l'etichetta con cui tutti noi siamo abituati a leggerlo: quello della Coppa con cui Gesù celebrò l'Ultima Cena e in cui poi Giuseppe d'Arimatea raccolse il suo sangue sgocciolante dal corpo crocifisso e torturato.Il talismano più potente della cristianità, imbevuto di magia e misticismo come nessun altro oggetto su questa terra - e con dei poteri così sconfinati ed indefiniti da fare paura.
Ma il Graal non è solo questo.
Per i Celti era il calderone del Dagda, il "dio padre" del pantheon celtico, principio maschile fatto di forza, guerra e sapienza.Il suo calderone era senza fondo, e quindi nessun uomo che ambiva ad abbeverarsi ad esso poteva mai essere soddisfatto. Eppure era in grado di fornire nutrimento a migliaia di persone e poteva resuscitare i morti.E' la conoscenza che nutre, ma che non riesce mai a saziare. E' la conoscenza che può salvare delle vite, o rendere immortale, attraverso i suoi artefatti e le sue opere, chi non c'è più.C'è chi dice che il Graal in realtà sia una medicina in grado di curare tutti i mali, regalata a Set, figlio di Adamo ed Eva, che sfidò la volontà di Dio tornando nel Paradiso Terrestre per cercare disperatamente una cura per il padre moribondo.La conoscenza viene concessa quando il desiderio di conquistarla non è dettato da ambizione, ma da amore.Secondo la tradizione gnostica Set è il custode di tutti i saperi segreti della Kabbalah.Saperi che ancora oggi l'umanità sta cercando di inseguire, invano. Forse perché guidata più da ambizione che non da amore? Allora, magari, è giusto che per ora rimangano segreti.C'è anche chi dice che in realtà il Graal fosse una pietra luminescente incastonata nella corona di Lucifero, l'angelo ribelle, staccatasi durante la guerra civile fra le schiere angeliche da lui fomentata, e precipitata sulla Terra.Di nuovo un simbolo di conoscenza, di nuovo un palpito di desiderio di carpire il sapere che Dio preclude alle sue creature - una brama di rompere i confini e le gerarchie imposte che separano da questo sapere, brama del potere che da esso deriva.In tanti lo hanno cercato.Nel Medioevo sono state fatte Crociate con la scusa più o meno ufficiale di andarlo a stanare.In tempi più recenti anche Himmler aveva sguinzagliato i suoi segugi in questa missione, con l'ambizione di utilizzarlo per assecondare la brama nazista di conquistare il mondo.Però, se c'è, rimane nascosto.Forse è vero quel che si dice nel ciclo poetico medioevale ad esso dedicato - che solo i puri di cuore possono riuscire a far schiudere il suo mistero.Sono tantissime le città ed i luoghi che si contendono il titolo di suo nascondiglio.Ma, del resto, l'obiettivo stesso del nascondiglio prescelto per il Graal è quello di nasconderlo talmente bene da rendere impossibile il riuscire a provarlo.L'esoterismo ha le sue regole, i suoi misteri criptici, le sue contraddizioni sibilline.Il Graal può essere ovunque, può essere dentro di noi.La chiave per trovarlo non la possiede nessuno, oppure se la possediamo non lo sappiamo.Può anche essere di fronte a noi.A Torino c'è una chiesa che sembra un tempio greco.Il tragitto per raggiungerla dal centro città ha già di per sè il sapore del percorso iniziatico.Bisogna attraversare il fiume Po e poi salire una scalinata. E' sopraelevata rispetto alla piazza su cui sorge, ed alle sue spalle è protetta dalla collina.
Le è stato dato un nome, Gran Madre, che è piuttosto inusuale per la tradizione cristiana: ricorda più il nome di una divinità dell'Antica Religione che non uno degli appellativi dati dal Cattolicesimo alla Vergine Maria. Si dice che sorga sui resti di un antico tempio pagano, dedicato dai Taurini al loro Dio del Sole, esattamente come quel Dagda del cui Calderone abbiamo appena parlato.L'iscrizione sul pronao ("Ordo popvlvsqve Tavrinvs ob Adventvum Regis") può, volendo, contenere qualche richiamo nascosto a questa leggenda; ma ufficialmente ci ricorda soltanto che è stata costruita nel 1814 per celebrare la sconfitta di Napoleone, in cui il re Vittorio Emanuele I di Savoia ebbe la sua parte. Portando forse dalla Francia qualche souvenir molto prezioso.Forse.
Sul sagrato della Chiesa sorgono due statue, rappresentazioni allegoriche della Religione e della Fede.Quest'ultima regge in mano una coppa e con l'indice punta verso l'orizzonte, guardando, si dice, verso il luogo in cui è nascosta un'altra coppa, quella che tutti cercano.Però il gesto del suo indice è appena accennato, e le sue pupille sono vuote.Non lo dicevamo già prima? Il Graal può essere ovunque.Ed è un "ovunque" così ampio che è molto facile farlo coincidere con "da nessuna parte".Ma, d'altro canto, lei rappresenta la Fede non a caso: bisogna crederci.
Perché... in fin dei conti, se il Graal non fosse una coppa, ma qualcos'altro?Ad esempio un sudario?Nessuno sa davvero che forma abbia, se sia intagliato nello smeraldo, se sia fatto di metalli preziosi, o se, come suggerisce la recente tradizione cinematografica hollywoodiana, non sia invece di umile legno grezzo, in coerenza con i principi di povertà e semplicità predicati dal suo possessore.E se fosse invece fatto di lino?Del resto il Graal viene descritto come un oggetto legato alla sepoltura del Cristo, contenente il suo sangue, e l'avergli dato le sembianze di una coppa è stata più che altro una licenza letteraria, forse costruita un po' in automatico sfruttando la simbologia celtica del calderone come simbolo di vita e conoscenza.Questa è l'ipotesi del professor Daniel C. Scavone della University of Southern Indiana.E questa ipotesi sembrerebbe dare una direzione al vago gesto della statua della Fede ed al suo sguardo volutamente cieco: il dito punta verso il fondo di via Po, verso Piazza Castello, dove, nella cappella del Duomo, da più di 400 anni è custodito il Sacro Lino.
Di nuovo, bisogna crederci.Di questo è fatta la Fede. E' senza occhi, e ci indica solo una direzione.Per tutti gli altri, usiamo le metafore.E cerchiamole dentro di noi...Serena Chiarle