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il grande gatsby

Creato il 18 maggio 2013 da Albertogallo

THE GREAT GATSBY (Australia/Usa 2013)

locandina il grande gatsby

È così brutto, questo film, che non so nemmeno da che parte cominciare a stroncarlo.
Voglio sottolineare ancora una volta il concetto, nel caso non fosse chiaro: Il grande Gatsby, diretto dall’australiano Baz Luhrmann – quello di Romeo + Giulietta e Moulin Rouge, il re del kitsch, della contaminazione postmoderna, dello stravolgimento dei classici, della provocazione in technicolor – è un film veramente pessimo, una porcata senza alcuna ragion d’essere, se non, diamo a Cesare quel che è di Cesare, l’interpretazione del sempre più bravo Leonardo DiCaprio.

La pellicola, tratta ovviamente dal celebre romanzo di F. Scott Fitzgerald, che già aveva ispirato vari altri film (di cui uno, nel 1974, quasi altrettanto brutto, con Robert Redford e Mia Farrow: ci sono libri che proprio non vogliono saperne di trasformarsi in film), si basa su alcuni evidenti presupposti e obiettivi, ovvero:
1) stupire con il 3D. Io l’ho visto in 2D e non me ne pento (almeno ho risparmiato dei soldi), ma alcune inquadrature, alcuni rapidissimi zoom e intere scene “in profondità” sono evidentemente pensate per la terza dimensione;
2) stupire con le feste di Jay Gatsby, sorta di ibrido orgiastico-etilico-circense con tanto di fuochi d’artificio, orchestrina, ballerine e quant’altro. In un tripudio di musiche sparate ad altissimo volume, inquadrature funamboliche montate rapidissimamente, colori sgargianti ed effetti speciali digitali, i superparty che sono al centro della prima parte della vicenda rappresentano l’eccesso in tutto il suo decadente splendore da cartone animato Disney;
3) stupire con le musiche: sebbene si tratti di un espediente ormai risaputo, sembra che Luhrmann si sia divertito un casino a inserire stralci di musica dei giorni nostri – soprattutto hip hop – in un film ambientato negli anni Venti. Ma d’altronde l’executive producer della colonna sonora è il rapper Jay-Z, e allora tutto si spiega (anche la presenza della voce di Beyoncé).

Stupire, stupire e ancora stupire, insomma, senza alcun riguardo non solo per il buon gusto (concetto comunque molto relativo), ma anche per i contenuti. Tanto per fare un esempio: perché quando il narratore, Nick Carraway (interpretato da Tobey Maguire), scrive il suo libro (che poi diventerà, appunto, Il grande Gatsby), le parole si materializzano intorno a lui, inscrivendosi nel cielo, staccandosi dal foglio, andando a finire chissà dove? Perché? Espedienti simili sono inutili, superati, buoni soltanto per chi va al cinema tre volte all’anno e, vedendo la parola “New York” in 3D scritta tra le stelle, pensa tra sé e sé: “Mh, carino”. Che poi è anche facile, quando si decide di farcire un film in questo modo, scadere nell’ovvio, nello scontato, come quando Gatsby parla del suo destino guardando il cielo notturno e in quel preciso momento passa una stella cadente. Roba da far cascare le braccia. Come tutto il resto del film, d’altronde, fatta eccezione, forse, per alcune scene adrenaliniche come le corse in automobile: e se Luhrmann mettesse da parte ogni velleità artistica e cominciasse a girare film d’azione? D’altronde meglio un buon John McTiernan che un pessimo Ken Russell.

Alberto Gallo



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