Magazine Cinema
Durata: 142'
La trama (con parole mie): Nick Carraway, giovane di belle speranze del Midwest, giunge a New York, culla dei sogni, per coltivare le speranze di scrittore e riallacciare i rapporti con la cugina Daisy, sposata al milionario vecchio stampo Tom Buchanan. Il giovane finisce per trovare un lavoro a Wall Street ed incuriosire nientemeno che Jay Gatsby, nuovo ricco in testa ad un impero dalle dubbie origini che vive in un castello proprio accanto alla piccola abitazione di Nick, noto in tutta la città per le sue principesche feste alle quali chiunque, dalle star di Musica e Cinema ai politici, dai criminali alle ereditiere, desidera partecipare per perdersi nel cuore del suo mondo.
Quello che nessuno sa è che Jay Gatsby è un uomo solo, all'inseguimento di un desiderio che è anche una rivalsa rispetto ad una società che l'aveva rifiutato e costretto, in qualche modo, a pensare sempre e solo in grande.
Nick diverrà il suo confidente, e scoprirà la sostanza che è fuoco e motore di quello stesso desiderio, finendo per abbandonare New York, l'alcool, le feste e l'ipocrisia di un universo in cui tutto pare misurarsi con l'apparenza.
"E così, mentre noi eravamo tutti presi a cercare di scoprire cosa ci fosse di sporco dietro il successo di Gatsby, lui inseguiva un sogno più puro di quanto ognuno di noi fosse."
Recita più o meno così una delle frasi di Nick Carraway che definiscono Jay Gatsby, straordinario protagonista del mitico romanzo firmato da Francis Scott Fitzgerald portato in sala con magnifica ridondanza da Baz Luhrmann, che lasciatosi alle spalle il suo film meno riuscito - Australia, per la cronaca - è tornato a strabiliare il pubblico e ai fasti di Moulin rouge!, in barba alla tiepida critica che l'ha accolto a Cannes.
Senza dubbio la materia che ha originato quest'opera magnificente e tecnica, commovente e sentita, esplosiva e malinconica, è qualcosa che molti romanzieri potranno solo sognare di produrre in tutta la loro più o meno illustre carriera, eppure il regista australiano è riuscito nella non facile impresa di mettere il suo visionario talento per l'eccesso al servizio di una vicenda dal respiro classico, una delle storie d'amore e critiche alla società e all'Uomo moderno più intense e vibranti di sempre, trasformando la New York spumeggiante che precedette il crollo del ventinove in un melting pot all'interno del quale si mescolano jazz e Jay-Z, fumo e colori, spirito da esploratori e salotti da film in costume, riuscendo a tirare fuori il meglio da un cast praticamente perfetto, all'interno del quale non sfigura neppure Joel Edgerton, uno dei cani maledetti più sconcertanti che il Cinema americano possa offrire. Da Isla Fisher a Toby Maguire - forse il vero anello debole della catena, se di debolezze possiamo parlare, per un'opera come questa -, da Carey Mulligan - perfetta per interpretare la vuota, pessima, frigidissima Daisy - ad un clamoroso Leonardo Di Caprio, che sfodera un fascino in grado di trasformare le spettatrici in sala in quattordicenni neanche ci trovassimo ai tempi d'oro di Titanic e porta in scena un protagonista che trasforma Il grande Gatsby in una versione al maschile del già citato Moulin rouge! con la sua Satin.
Come se non bastasse, negli eccessi e nella solitudine di questo personaggio larger than life, nella purezza del suo sogno, nei misteri che circondano la sua inesorabile ascesa, troviamo riferimenti che vanno dall'Howard Hughes che lo stesso Di Caprio interpretò nello splendido e troppo sottovalutato The aviator scorsesiano al Kane di Quarto potere, oltre ad una versione positiva del Calvin di Django unchained, potentissima ultima fatica tarantiniana che aveva visto brillare il buon Leo come ormai siamo abituati a vedere.
Ad ogni modo, si potrebbero davvero scrivere molte cose, di un film come Il grande Gatsby: si potrebbe discutere della messa in scena fastosa e festosa della prima parte contrapposta al decadente oblìo autunnale della seconda, del ritmo vorticoso che quasi non permette di percepire le due ore e un quarto suonate conclusive, della colonna sonora come sempre curata nei minimi dettagli, della fotografia patinatissima e perfetta, delle influenze letterarie e cinematografiche dietro a sequenze che sono veri e propri gioiellini come il the pomeridiano a casa di Carraway che permette l'incontro a distanza di anni di Gatsby e Daisy - un omaggio perfetto alla screwball comedy dei tempi d'oro di Howard Hawks, per intenderci -, del crescendo che porta a quella fatidica telefonata a bordo piscina e della luce verde che è la Rosebud di Jay Gatsby, milionario per attitudine, ambizione ed aspirazioni prima che per denaro.
Ma non è quello che ho intenzione di fare ora.
Quello che voglio è chiudere gli occhi e lasciarmi travolgere dal ricordo struggente di una visione tra le più emozionanti dell'anno - l'ultimo film uscito in sala ad avermi colpito in questo modo è stato Noi siamo infinito, pur narrando di epoche della vita decisamente differenti -, sulla grandezza schiacciante del sogno di Gatsby e la sua impotenza di fronte ad un Idea in grado di soverchiare completamente la Realtà, anche quando la stessa è modellata da qualcuno con il Potere ed il denaro che soltanto nei sogni da mille e una notte si potrebbe pensare di avere: voglio sentire sulla pelle il brivido di una corsa in macchina attraverso le strade di una città che pare essere il centro del mondo, la rabbia montare di fronte a chi giudica e prende posizione e continua a pensare di essere superiore per diritto di nascita - altro passaggio straordinario, quello del confronto tra Gatsby e Buchanan rispetto all'amore di Daisy -, sogni in bianco o nero perdersi in un presente inesorabilmente grigio, che non prevede buoni o cattivi, non giudica e al massimo osserva, come gli occhi di un dio che pare essere in prima fila per uno spettacolo travolgente e magico, proprio come il Cinema.
Voglio camminare a passi decisi lungo quel pontile ed osservare la luce verde fendere la nebbia ed arrivare nel cuore di ogni festa sfarzosa e sopra le righe, nel luogo in cui esistono solo silenzio e malinconia, solitudine ed il mare in tempesta di quello che vorremmo essere intento ad infrangersi sugli scogli di quello che siamo destinati ad essere.
Un tempo mi sarei perso nella visione di questo film immaginando di essere Carraway, l'aspirante scrittore che, di fronte a quella che sarà la "grande" materia della sua opera e della sua vita, scopre un passo dopo l'altro se stesso, dall'apice al declino, dai colori all'oscurità, dal sole e dal mare fino alla neve dell'inverno.
Ora guardo avanti e vedo la mia luce verde, e sento il formicolio che lungo la schiena sale per finire dritto al cuore, come un proiettile: Gatsby.
Chi è veramente Gatsby?
E' un milionario? Un esploratore? Un soldato? L'assassino del Kaiser? Un reduce? Un ragazzino di umili origini divenuto un nuovo ricco con mezzi non sempre leciti? Un amico? Un sognatore?
Un prigioniero dei sogni? La vittima di un'idea?
Una barca che rema controcorrente, risospinta senza sosta nel passato?
Ci sono tante domande, ipotesi, voci e dicerie, a proposito di Gatsby.
Per me esiste una sola risposta: Gatsby è grande.
Come questo film.
MrFord
"In all my dreams
it's never quite as it seems
never quite as it seems
I know I've felt like this before
but now I'm feeling it even more
because it came from you."The Cranberries - "Dreams" -
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