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Il Grande Gatsby: Fuochi d’Artificio nel Nulla

Creato il 16 maggio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Maria Pia Di Dio 16 maggio 2013 Il Grande Gatsby: Fuochi d’Artificio nel Nulla

É il luccichio, lo splendore, l’illusione e la concreta essenza materiale della New York anni ’20 a dominare la scena di un tragico caso di apatia morale e profondità sentimentale: il caso di Jay Gatsby. Il grande Gatsby, scritto nel 1922 e pubblicato nel 1925 dall’editore Charles Scribner’s Sons, è la rappresentazione più schietta che Francis Scott Fitzgerald potesse fare del mondo mirabolante che gli ruotava attorno. Mondo più volte portato sul grande schermo (da ricordare la pellicola del 1949 di Elliott Nugent con Alan Ladd e quella del 1974 diretta da Jack Clayton con Robert Redford) e che oggi ritorna al cinema grazie a Baz Luhrmann con Leonardo DiCaprio nella parte di Gatsby e Carey Mulligan in quella di Daisy. Ma torniamo al libro da noi letto nell’edizione Newton Compton tradotta da Bruno Armando. Il tono di Nick Carraway, narratore scelto da Fitzgerald per raccontare la vicenda, è dominato dal disinganno e dall’accondiscendenza, dal disprezzo e dalla comprensione. É attraverso la sua condanna che ci si immerge in quel mondo di lustrini sporchi di fango in cui nuotano Daisy (cugina di secondo grado di Nick), suo marito Tom Buchanan, Jordan Baker, Myrtle e George Wilson ed ovviamente Jay Gatsby. Tutto nasce dal desiderio di denuncia del narratore che, di fronte ad eventi di forte impatto emotivo, rimane segnato e disgustato dalle persone con cui è costretto a confrontarsi. Egli sembra essere onesto nel giudizio e i suoi toni rimangono ancorati al perbenismo dei gentiluomini del Midwest, assolutamente pacati, franchi e discreti nel gestire le situazioni più sconvenienti. Tutto questo si riflette su uno stile che rimane sempre lineare e scorrevole, con descrizioni ammalianti ed avvincenti segreti da scoprire fino all’ultima pagina. I personaggi, dai lineamenti decisi, vengono ritratti in ogni atto con la leggerezza tipica di quel periodo, quasi a volerne sottolineare una scarsa consistenza che concerne anche la sfera morale. Nick, trasferitosi a West Egg per lavorare in borsa, e non conoscendo nessuno nei paraggi, va a cenare a casa di Tom Buchanan, suo vecchio compagno di college, avendo così l’opportunità di rivedere sua cugina Daisy e fare la conoscenza della nota golfista Jordan Baker. Già da questa cena si noteranno le crepe di un rapporto di coppia consumato dalla noia. Immediatamente Daisy si mostra in tutto il suo vacuo fascino che ricorda il motto “l’arte per l’arte”: nulla di realmente solido sostiene il suo essere come vento, come un profumo nell’aria che ammalia e lascia interdetti. Eppure credo nel suo dolore, nel suo sentirsi divorata, nonostante Nick avverta quasi una presa in giro quando finalmente ella dichiara: «Capisci, adesso penso che tutto sia orribile [...]. Tutti la pensano così – i più evoluti. E io lo so. Sono stata ovunque e visto tutto e fatto tutto. [...] Sofisticata – dio come sono sofisticata!».

Il Grande Gatsby: Fuochi d’Artificio nel Nulla

Ormai non riesce più a provare una gioia sincera, tutto è finzione, tutto deve essere fatto e andare nel modo in cui si aspetta che vada la società perbenista e squallida che la circonda. Ciò che la rimetterà in discussione sarà un caso fortuito (o forse no): sull’isolotto opposto al suo, accanto alla casa di Nick, in una villa da far invidia a chiunque, abita Jay Gatsby, il quale si adopererà in tutti i modi per riuscire ad avere sue notizie ed infine incontrarla con la complicità del vicino di casa. La figura di quest’uomo, che fin dall’inizio sembra uscir fuori dal nulla come un fuoco d’artificio non programmato, incarna tutto ciò che il narratore ha sempre disprezzato, eppure a lui riserva un aggettivo: “grande”. A differenza di come potessero pensarla la maggior parte degli imbucati alle sue famosissime ed esagerate feste, egli non viene definito “grande” per le sue ricchezze o per la sua eleganza misteriosa, ma per la sua ferma ingenuità nel credere fino in fondo al sogno americano, per la sua candida lealtà verso un amore imprigionato nel passato, per la sua «elevata sensibilità alle promesse della vita, come se fosse collegato a uno di quei complicati strumenti che registrano i terremoti a migliaia di chilometri di distanza. Questa reattività non aveva niente a che fare con la flaccida impressionabilità a cui si dà dignità chiamandola “temperamento creativo” – era un dono straordinario di speranza, una romantica prontezza che non ho mai trovato in nessun altro e che probabilmente non troverò mai più». Per questo Gatsby conquista persino chi disprezza quello che lui rappresenta. Ciò che viene spezzato dagli eventi è il sogno americano, quella convinzione che tutti possano avere successo, persino chi non ha nulla, e che questo potrà ottenersi grazie ai soldi, grazie al fumo gettato in faccia alle persone giuste, grazie all’opulenza; e intanto la morale e il buon senso cedono il posto al materialismo, ogni cosa può essere ottenuta. «“Non si può rivivere il passato?”, esclamò incredulo. “Certo che si può!”» risponde a Nick un Gatsby assolutamente ammaliato dall’illusione. Saranno infine i coniugi Wilson a determinare la conclusione della vicenda, involontari esecutori di un destino amaro. Questi due personaggi faranno precipitare gli eventi e finalmente verrà fuori la vera natura di alcuni dei protagonisti, ormai definitivamente messi a nudo. E con l’epilogo a Nick non resta altro da fare che lasciarci riflettere su quanto possa essere pericoloso l’abbandono totale ad un sogno ed inevitabile il confronto col passato.

Il Grande Gatsby: Fuochi d’Artificio nel Nulla


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