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Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Creato il 10 giugno 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Agnese Maugeri 10 giugno 2013 Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Vecchio mio,

Ti sei mai interrogato sull’amore? Io sì. Ogni volta che vedo sposi felici, due ragazzini che si baciano sotto la luna, anziani che si tengono mano nella mano; ogni volta che sento la drammatica notizia di un delitto passionale, io non posso far a meno di chiedermi… cos’è l’amore? Sicuramente ti sorprenderà questa mia stupida, quasi infantile, domanda ma la mia ricerca è iniziata molti anni fa, quando ero solo una bambina con le trecce lunghe e lo sguardo curioso, che per addormentarsi voleva lette le favole delle principesse che attendevano il loro principe azzurro, principesse che stavano lì pazienti subendo angherie di ogni tipo sicure che presto il loro amore le avrebbe trovate e salvate. Poi, crescendo la mia passione per la letteratura e in più gli studi classici mi hanno portato a conoscere diverse visioni dell’amore, ma ciò che da sempre mi sconvolge è questa eterna dualità insita nel sentimento stesso, questa lotta fatta di contrasti, felicità e dolore, passione e indifferenza, unione e divisione: come diceva Catullo, odi et amo. Vecchio mio, questa eterna ricerca d’amore, questa ricerca che in fondo non soddisfa mai e che mai si conclude, ci spinge sempre a interrogarci sul passato e a domandarci se è possibile rivivere ciò che ormai è stato per poterlo cambiare, per mutarlo a nostro favore, o se, invece, non si tenda soltanto a vivere nella rievocazione malinconica di quello che si è perduto.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Ciò che ha colpito la mia mente e che mi ha portato stasera a scriverti è stata la visione di un film. Come ben sai è di recente uscito nelle sale Il grande Gatsby, una nuova versione del famosissimo libro di Francis Scott Fitzgerald diretta dal visionario Baz Luhrmann, e direi che l’unione dei due è a dir poco perfetta. Ho letto il romanzo un bel po’ di anni fa e ricordo che lo spaccato di una società così sfarzosa, corrotta e immorale mi aveva catturata, così come la storia di quest’uomo che dal nulla, con il solo desiderio di essere qualcuno, rinnega le sue origini e approfitta, come un abile stratega, della buona sorte per diventare leggenda. La scrittura di Fitzgerald, tanto analitica quanto diretta, oserei dire ipnotica, mi aveva stregato e coinvolto in quel mondo controverso. Baz Luhrmann l’ho conosciuto con Romeo + Giulietta (1996), trasposizione cinematografica della famosissima opera di William Shakespeare, ma precedentemente aveva girato anche Ballroom – Gara di ballo (1992), e questo suo stile così folle da unire antico e moderno in una miscela esplosiva e travolgente mi ha sbalordito. Con Moulin Rouge! (2001) Luhrmann arriva al culmine della sua espressione visiva, un crossover dove si mescolano più forme artistiche: musica, teatro e cinema. Queste pellicole fanno parte di quella che viene definita The Red Curtain Trilogy in onore del sipario, quel drappo rosso che separa la finzione scenica dalla realtà del pubblico. Con il successivo Australia (2008) il filone di cinema teatro viene interrotto ed il cineasta dà vita ad un kolossal storico, in onore della sua patria, che segna una nuova svolta stilistica.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Ma torniamo a noi vecchio mio e scusa questa mia digressione, ma tendo sempre ad appassionarmi troppo. Come ti dicevo in questo film, Il grande Gatsby, i temi del sogno e dell’amore si rincorrono in un susseguirsi di luce e ombre, tra balli, canti e musica, scene in cui Luhrmann fa notare tutta la sua abilità di regista, tra lustrini e paillettes, suoni jazz tipici anni ’20 perfettamente mixati all’hip pop dei nostri giorni, una fusione tra Gershwin e Beyoncé, con i vestiti firmati Prada e Miu Miu e i gioielli di Tiffany: la fotografia ricrea quella suggestiva atmosfera tipica del libro di Fitzgerald dove dopo ogni festa scintillante quel che resta è solo un inquietante ricordo. Gli interpreti sono quasi tutti attori noti: sottolineo subito l’eccezionale bravura di Leonardo DiCaprio che veste i panni di Gatsby, cinico come ogni arrampicatore sociale deve essere, quando si tocca la sfera dei sentimenti ha un’ingenuità e una caparbietà infantile disarmante, è un provocatore corrotto dall’anima nobile che incarna in modo impeccabile tutte le sfumature del personaggio. Daisy è la bella Carey Mulligan, lucente e crudele nella sua fragilità, anche lei rappresenta perfettamente l’ideale d’amore che Fitzgerald voleva raccontare. E infine Nick Carraway, il narratore, colui che ha una doppia visuale, interna ed esterna alla storia, in ogni situazione; l’attore che lo personifica è Tobey Maguire: direi che non trovo mai differenze nelle sue interpretazioni, mi sembra sempre uguale, ma, in questo caso particolare, il suo spalancare gli occhioni è appropriato, perché narrare senza giudicare è ciò che il suo personaggio fin dalla prima scena dice di essere abituato a fare.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

La storia, che ti sarà sicuramente ben nota, viene narrata attraverso lo sguardo di Carraway, giovane di buona famiglia che, in cerca di una nuova vita, si trasferisce in un villino vicino il grande castello del famigerato Gatsby. Nick, il solo che resterà accanto al protagonista fino alla fine e probabilmente il suo unico amico, è il cugino di Daisy, bellissima donna sposata con un famoso ex giocatore di polo. Nick scoprirà ben presto il passato comune di Daisy e Gatsby e farà da trait d’union tra i due, creando un primo incontro, una scena tra il patetico e il tenero, che traccia il risvolto della trama. Ecco, vecchio mio, il film è appassionante, vivace, colorato, luminoso, con tanto lusso, champagne a fiumi, macchine da corsa che sfidano la velocità, ma non è questo che mi ha conquistato, ciò che mi ha turbato è l’amore. La luce, insieme al benessere leitmotiv della pellicola, viene contrapposta al degrado delle miniere di carbone, che producono l’energia per permettere alla città di correre; tutto viene visto attraverso lo sguardo di un Dio che sembra quasi un giustiziere, uno sguardo che appare dietro un paio di occhiali giganti disegnati su un cartellone posto sopra il nero di quelle cave, luogo di passioni deviate, un Dio che sfida ma che sa punire, non difende gli umili, attacca tutti senza distinzione, o forse sì, salva chi non ha anima da salvare.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Questo amore vissuto come un’ossessione, da parte di Gatsby nei confronti di Daisy. Questo amore struggente disposto a tutto, a mentire tanto da costruirsi una nuova vita che non è la sua, fatta di imbrogli e di camice di seta colorate, che lancia addosso a Daisy, giocando, in una delle più belle scene del film. Chi era Gatsby cosa facesse nessuno lo sa o per meglio dire ognuno ha una versione diversa: chi lo vede assassino, chi illustre militare, chi appartenente ad una nobile famiglia; una esistenza architettata in modo da poter essere accettato da quella società ed essere degno di quell’amore. Gatsby organizza feste dove, senza alcun invito, partecipa tutto il jet-set, e le allestisce solo nella speranza di rivedere la sua Daisy, porta un anello al dito con incisa una margherita (daisy in inglese), ha fatto costruire un castello dall’altra sponda del lago esattamente di fronte alla residenza di lei, esattamente di fronte a quella luce verde del molo di Daisy che ogni notte risplende e che gli fa sembrare il realizzarsi di quel sogno d’amore sempre più vicino e concreto.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Nel lungometraggio Luhrmann rimane fedele al libro anche nella scelta di inserirne intere frasi nel copione; inoltre, la scena girata all’interno del Plaza Hotel, momento cruciale nella storia, si rifà a Fitzgerald in ogni minuzioso dettaglio. Tutto questo sentimento malsano mi ha causato non pochi dubbi. Daisy è una donna troppo bella e troppo stanca che alla fine non rinuncia a un matrimonio sicuro e agiato fatto d’innumerevoli tradimenti da parte del marito, uno fra i tanti con la moglie di un meccanico delle miniere, un poveruomo rigirato e usato secondo i piani loschi del ricco signore. Lei che non sa finire questo finto rapporto al cospetto di un amore folle con Gatsby, frutto di una persona che vive, ricordando i giorni felici, nel passato, sicuro di poterlo rivivere anche se intorno a lui tutto corre veloce, una persona dotata di una perfetta e irresistibile fantasia, come lo definisce la stessa Daisy, un mistificatore che però, proprio per questo suo puro e malato sentimento, risulta essere il personaggio migliore, l’unico da salvare in un branco di esseri deviati e falsi. Gatsby mentirà fino alla fine perché crede in quell’amore e da solo ne pagherà il prezzo e proprio per questo si meriterà il titolo di Grande.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce

Vecchio mio, ora capisci perché mi chiedo cos’è l’amore? Perché questo sentimento mi confonde, riesce ad attraversare la mente, scuotere i sensi, far volare, e poi precipitare giù fino a trovarsi di nuovo vuoti. Proust diceva: «I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé medesimo, e che, se dice il contrario, mentisce». Questa affermazione non mi è mai del tutto piaciuta, ma dopo tutto mi chiedo se non sia profondamente vera.

A presto, vecchio mio.

Il Grande Gatsby: l’Inganno della Luce


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