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E' questo il totale massimo guadagnato da "Il Grande Gatsby" di Baz Luhrmann, un lavoro che il regista australiano ha affrontato con il solito sfarzo e la solita vena pop che lo contraddistingue (e che per "Australia" aveva messo da parte) ma che, oltre a delle considerazioni puramente estetiche, poco va ad inserire all'interno della sua filmografia e della sua poetica, a parte la conferma di alcuni concetti - già chiarissimi e ribaditi in abbondanza - che seguitano a sostare immuni ed intatti agli attacchi dello spazio e del tempo.
Luhrmann è un romantico, lo ha dimostrato e vuol continuare a farlo, e l'unica via per conseguire ciò secondo lui è procedere con il racconto di amori difficili, impossibili o - come in questo caso - solamente sperati e sognati, lasciandoli effondere nella loro manifestazione di purezza unica, invidiabile e rarissima da riconoscere o pescare. Le società in cui le sue storie vivono e si dipanano infatti, a prescindere dalle epoche, hanno sempre avuto in comune il denominatore dell'immoralità e dell'ipocrisia, atteggiamenti di cui l'essere umano è portatore sano e coi quali si imbratta privandosi poi di valori preziosi, come appunto l'amore vero e puro.
L'occhio e le parole (e il pensiero) del regista vengono affidate quindi al personaggio interpretato da Tobey Maguire - vero protagonista - narratore degli eventi e vittima disgustata di fronte alla percezione di una noncuranza collettiva, estranea solo al personaggio avvolto dal mistero e dal mito di Jay Gatsby, impersonato da un istrionico, intensissimo e bravissimo Leonardo DiCaprio. E' uguale a un bicchiere di acqua sporca questa quarta versione cinematografica barocca del romanzo di Francis Scott Fitzgerald: cerca incessantemente di camuffarsi dietro la sua messa in scena in pompa magna per affogare, o tenere confinata sul fondo, la preziosa materia che cela bloccata tra i detriti e l'altra sporcizia che la domina. Al contrario di "Moulin Rouge" – incontrastata meraviglia di Luhrmann - con questo lavoro il regista evita di rimanere ancorato ai sentimenti più caldi, quelli capaci di stimolare facilmente le corde più passionali e che avevano contribuito a valorizzare la storia d'amore strappalacrime tra Satine e Christian. Per una buona prima parte (complice l'assenza di DiCaprio) "Il Grande Gatsby" resta soffocato allora da una mancanza di cuore, sorretto unicamente dalle musiche e dai scenari prorompenti che ne inghiottiscono e travolgono la scena. Ciò penalizza drasticamente il coinvolgimento a suo favore andandolo a rinchiudere dietro una sfera di vetro opaco che si lascerà schiarire in maniera pigra per poi smacchiarsi definitivamente nella fase finale, momento in cui tutti i nodi formati saranno obbligati a venire inevitabilmente al pettine.
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