Al momento intendo proseguire la lettura delle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin solo in italiano. Ho letto Il trono di spade in italiano e in inglese (ovviamente si tratta della prima metà di A Game of Thrones). Con Il grande inverno mi concentrerò su una sola lingua, sia perché il mio tempo è limitato sia perché non è particolarmente divertente leggere un capitolo in una lingua e rileggerlo subito dopo in un’altra. È vero che così ho trovato molte più altierate di quanto mi sarei aspettata, ma il divertimento non è cercare le altierate. Il divertimento sta nella storia scritta da Martin, e nonostante tutte le modifiche e le imprecisioni lo stile di Sergio Altieri non è male. A volte l’ho preso in giro per certe frasi, ma in giro ci sono traduttori ben peggiori di lui. Certo, se Mondadori dovesse decidere di rivedere la traduzione mi piacerebbe poter dire la mia, ma dubito che la traduzione sarà mai rivista. Quanto a una mia eventuale partecipazione, è pura fantascienza.
Il grande inverno dunque, secondo romanzo della saga. O meglio, seconda metà del primo romanzo. Ricordiamolo, quelli che per noi sono due volumi (Il trono di spade e Il grande inverno) in realtà sono un unico romanzo, è l’editore italiano che ha allegramente affettato il testo originale. Due metà qui, tre terzi in altri casi.
Io ho aspettato alcuni mesi per passare dal primo volume al secondo, effetti collaterali del leggere la saga man mano che viene pubblicata. Perciò ero rimasta con Ned travolto da cavallo, e chissà quanti dettagli dimenticati. Il primo volume lo avevo preso in prestito in biblioteca, neppure una comoda da raggiungere ma una a un quarto d’ora di macchina da casa mia, che frequentavo occasionalmente quando passavo da quelle parti. Rho, Villa Burba, mentre io abitavo a Settimo Milanese e restituivo lì i libri presi a Rho. Il che significa nessuna possibilità di ricontrollare gli eventi passati. Ho comprato Il trono di spade solo l’anno dopo, quando su un volume Urania ho visto una pubblicità relativa alla prossima pubblicazione del Regno dei lupi. Con la certezza che la saga sarebbe proseguita ho comprato il libro che mi mancava.
Perciò quando ho ritrovato Dany e Jorah mica ricordavo che Jorah era una spia al soldo di Varys. E non potevo verificarlo, era tutto nuovo per me.
Arrivo a Vaes Dothrak, con Martin che si diverte a immaginare luoghi incredibili. Visto che come sceneggiatore aveva limiti legati al budget e ai tempi di realizzazione, con la scrittura ha fatto tutte le cose più assurde e grandiose che gli sono venute in mente. Il capitolo ha descrizioni bellissime, ma la trama va avanti ben poco. Pazienza, intanto si mettono i semi per quel che verrà dopo, e comunque a me le descrizioni di Martin affascinano.
Lezione di guerra, con tanto di numeri. Rhaegar aveva 40.000 combattenti, anche se solo 4.000 erano cavalieri. Accenni a Robert e Ned, e qui ci ricordiamo che dobbiamo fare la tara alle parole di Jorah. Se lui è al servizio di Viserys e soprattutto Daenerys potrebbe essere tentato di dirgli ciò che vogliono sentire e non la verità, ma c’è anche un altro problema. Rcordiamo da quale territorio provengono i Mormont? Dall’Isola dell’Orso, che si trova a Nord. Dominio Stark. E perché Jorah è in esilio? Perché ha catturato dei bracconieri e invece di consegnarli alla giustizia li ha venduti come schiavi, quando nei Sette Regni la schiavitù è illegale. Ned non l’ha presa bene ed è andato ad arrestare Jorah, il quale ha pensato bene di tagliare la corda prima di fare la conoscenza con Ghiaccio, e da quel giorno, chissà perché, ce l’ha con lord Stark. Ha trasformato la sua colpa in un’ingiustizia subita.
Chiacchiere su profezie, sulle abitanti della città, sull’usanza delle lame che non possono essere sguainate, sui cavalieri del sangue e sui cavalieri della guardia reale. Per concludere, ennesima lite fra Dany e il fratello, con la khaleesi che decisamente non è più una bambina e non intende tollerare oltre l’idiozia di uno degli uomini peggiori che potrebbero sedere sul trono di spade.