C’è un grande pino, nel mio quartiere, a Vicenza.
Lo vedo dal mio orto, a 2-3 case di distanza. Per me rappresenta un pezzo di montagna che è venuto qui giù in città. In quel pino trovano rifugio e casa molti volatili: corvi, passeri… forse anche qualche rapace, i cui versi sento di mattina presto.
Probabilmente nel pino dimora anche un picchio, perché a volte sento il rumore del becco contro la corteccia. Non sono un esperto di volatili, né dei loro versi, ma credo comunque di distinguere bene i rumori. Rumori dolci, lasciatemelo specificare, che nulla hanno a che fare con gli obsoleti rumori di macchine e motorini che accelerano, frenano, vengono messi in moto. Nell’era del digitale, nell’epoca dell’energia elettrico-elettronica, il rumore dei vecchi motori a scoppio mi sa di antico. Così come rido delle critiche ai nuovi motori ibridi di Formula 1. «Non si sente più il rumore di una volta, non è più la stessa Formula 1» dicono più o meno così gli appassionati che non amano i cambiamenti. Ma i tempi mutano ragazzi, e anche la tecnologia, e invece di essere contenti per la riduzione del rumore (si chiama inquinamento acustico) e il limite di carburante da utilizzare nelle gare, ecco il coro delle lamentele. Il petrolio prima o poi si esaurirà. Meglio sviluppare tecnologie ibride come ha fatto la Toyota per prima, seguita poi da Honda, e adesso anche da Mercedes, Wolksvagen, Audi… Avete presente la scena delle macchine in coda ad un semaforo che, aspettando il verde, emettono dai loro scarichi biossido di carbonio? Pensate per un attimo a come sarebbe la qualità dell’aria e della vita se tutte quelle macchine al semaforo fossero ibride. Si proverebbe gusto a guardarle e a passeggiare accanto senza dover respirare passivamente tutto quello smog. Ma noi umani siamo più sensibili alle cose che si vedono, come ad esempio le cacche di cane, sicuramente nocive per il decoro urbano, ma di cui, a causa loro, nessuno è finora morto di cancro ai polmoni. Va bene, sorvoliamo, ho scritto fin troppo fuori tema, annoiandovi. Ritorniamo al nostro pino di città.
Spero che quel pino non venga tagliato, e rimanga lì, anche se il futuro è incerto e sempre ricco di cambiamenti. Non so, sinceramente, quale sia la famiglia che lo ospita nel suo giardino, ma la ringrazio. Adesso sento anche il canto delle cicale. Proviene di sicuro dal pino.
Ho notato che nella cima più alta del pino va ad appoggiarsi un uccello – non so ancora quale sia, mentre sui rami appena più sotto vive una famiglia di corvi gracchianti. Si appoggiano lì sopra nel pomeriggio, mentre adesso, che è l’ora di pranzo, non c’è nessuno… a parte le cicale che intonano i loro canti d’amore.
Archiviato in:Oltre l'orto