Un anno dopo, ancora un weekend epico di pesca in alta quota! L’Anonima al completo con due amici si è inerpicata verso laghi alpini per pescare trote e salmerini! Ha affrontato fatiche inenarrabili e pernottato in tenda ben oltre i 2500 metri di quota. Le catture non sono mancate, ma non potevamo scrivere solo un report di pesca, questa è una storia di vita vissuta… ve la raccontiamo un po’ alla volta, con gli occhi dei 6 protagonisti in 6 brevi capitoli. L’articolo è lungo, ma non mollate, è come la salita al lago alpino, arrivare fino in fondo regala grandi emozioni.
Capitolo 1 – “La salita… quello che non pensavo possibile” (di Fabio Donaggio)
Sveglia ore 4.00! Non mi sembrava vero. Non mi succedeva da anni di perdermi un sabato mattina di sonno puro. Eppure questa volta ne valeva davvero la pena. Mi accingevo ad affrontare un’avventura unica, senza precedenti. Ma ancora non ne ero consapevole…
4 cazzate nello zaino per coprirsi se fa freddo, 20 barrette energetiche, ma sopratutto lei, la canna da spinning! Ancora non sapevo a cosa sarei andato incontro, ma dai racconti del buon Franco mi ero lasciato convincere in fretta a partecipare.
4.30, eravamo partiti!
Ritrovo alle 7,15 nella pura alta Valsesia e ancora non mi sembrava vero.
Super muniti, straorganizzati, sapevamo dove volevamo arrivare e avevamo tutto l’occorrente per farlo bene. (O almeno mi autoconvincevo di questo).
In un piccolo paese di montagna si lascia l’auto e da lì parte il sentiero per la grande meta: il lago alpino!
Il cammino si è presentato da subito come una grande salita, stavo sulle mie, seguivo la truppa che mi accompagnava. Ricordo Francis che per prepararmi psicologicamente, guardando la vetta che incombeva sulle nostre teste, mi ha detto: <Vedi quella vetta, quella è la nostra meta>. Dentro di me penso: “Oh cavolino! Qua ci sarà da lottare”. Poi ha aggiunto: <No, scherzavo… la nostra meta è parecchio dopo quella vetta!> Zitto zitto, con la coda tra le gambe misi un passo dopo l’altro, “che il Signore dell’Anonima me la mandi buona”, pensavo.
Salita ripida, in mezzo a una natura incontaminata, dura ma incredibilmente affascinante.
Dopo un paio d’ore di sudore, bestemmie colorate come animali dei boschi, arrivavamo al rifugio “Pestilenza” e finalmente una pausa! Ci siamo rifocillati di barrette energetiche, (per meglio dire ci accasciammo scompostamente e mangiammo come maiali bulimici), acqua di fonte e le gambe tirarono un sospiro di sollievo.
Il tempo di apprezzare il panorama mozzafiato che mi circondava e via, eravamo in marcia verso il primo lago, il lago “Immacolato”.
Il sentiero divenne molto più leggero, la voglia di fare il primo lancio invece era sempre più ingombrante.
Dopo poco meno di un’ora, sì un’altra ora, arrivammo al primo spettacolo naturale: “Lago Immacolato”.
Iniziarono le danze. Canne in acqua e sotto a chi tocca. Per me si trattava del primo lancio della mia vita… il primo lancio non si scorda mai… il primo lancio è stato un’emozione unica.
Non ho preso nulla mentre altri si dilettavano infervorati con piccoli pesci colorati. Non mi importava ancora troppo, lancio dopo lancio iniziavo a capire come fare… Qualcuno disse: <Andiamo?> Alzai la testa, si prospettava l’ultima cima da scalare, l’ultima fatica da affrontare prima della grande meta.
Più di 300 metri di dislivello quasi in verticale.
A metà del percorso, le gambe non rispondono, il fiato manca e il caldo è sempre più soffocante. I miei compagni mi incitavano a non mollare, la meta era vicina, dicevano, la mia testa annebbiata invece era lontana: cercava un appiglio sulle pareti scivolose della volontà.
E finalmente: lui! Vidi prima i volti dei miei compagni, stremati, ma sorridenti, poi colsi con gli occhi un angolo di acqua scura tra due sassi non troppo lontani: il Lago Oscuro era nostro! Una fatica così non me la sarei mai aspettata, ma nemmeno tanta meraviglia: grazie ragazzi!
Capitolo 2 - “Il Lago Candore ed il primo salmerino” (di Jacopo Savoia)
Lo specchio d’acqua turchese appare lentamente. Passo dopo passo i suoi riflessi si arricchiscono di particolari rubati al meraviglioso teatro di roccia nel quale stiamo entrando. Chi mi precede ha già montato le canne e iniziato a spiaggiare salmerini come se non ci fosse un domani. L’attività è demoniaca e pare che quei satiri verdi-puntinati si avventino su qualunque cosa tocchi l’acqua. Sembra di essere alla sagra del salmerino, ma i fantasmi del passato mi ghiacciano il sudore: e se anche in questa spedizione non ne prendessi nemmeno uno? Questa fastidiosa possibilità, alla quale penso da quando abbiamo organizzato la battuta, mi annebbia la mente più della fatica di salire fin quassù. Pietro ha aggredito lo scolo (torrente) del lago attaccandone già diversi
e Francis al primo lancio ne ha visto salire uno sulla sua secchina. Alla mia destra Franco sta erudendo Fabio sulla tecnica di pesca e Vitta sta litigando con un paio di nodi in solitaria. Con gesti misurati monto l’attrezzatura e mi affaccio su quel mondo riflesso nei toni del blu. Dopo poco attacco un pinellino che a metà mi saluta senza darmi la gioia di sapere cosa fosse. I miei lanci da frenetici si fanno febbrili. Sto rivivendo l’incubo di due anni fa quando vengo distratto da una scossa all’altro capo della lenza. Qualche secondo dopo ho tra le mani un salmerino.
Arriva a stento a 25 centimetri ma le sue piccole pinne hanno la forza titanica di spazzare via la fatica e la paura, le incertezze e le bestemmie. Riappacificato con l’intera specie mi rilasso e le catture si susseguono a ritmo serrato mentre il sole ci asciuga le schiene. Facciamo il giro lanciando e slamando, godendo del panorama in compagnia di un gregge e dei suoi custodi. Pietro intanto, indemoniato, ci precede arrivando all’imbarazzante numero di 37 salmerini. La taglia per tutti è sempre quella, tranne uno che passa di poco i 30 centimetri. Oltre non si può andare, si sta facendo tardi e abbiamo ancora un bel dislivello da coprire prima di poter piantare le tende sulle rive del lago che abbiamo scelto. Alziamo la testa e lì, dove il collo si blocca, intravediamo la nostra meta. È ora di riprendere la salita.Capitolo 3 - ”Il tramonto infuocato sul Lago Oscuro” (di Franco Vanni)
La colonna sonora dell’arrivo al lago alto sono le grida di strazio di Fabio. Se la prende con me urlando: <Sei un bastardo! Quando mi hai invitato non mi avevi detto che era così. Vaffanculo!>. Lo incito a proseguire per gli ultimi cento metri. So che a parlare non è lui, ma le sue gambe. L’anno scorso, scendendo dai laghetti alpini con le ginocchia imballate di acido lattico, ho capito che oltre a una certa soglia la fatica può provocare una sorta di space dementia, simile a quella che colpisce Steve Buscemi nel film Armageddon.
Tocca andare in cerca di una sorgente. E le sorgenti, da che mondo e mondo, stanno in alto.
La prospettiva di camminare ANCORA e in salita in cerca della fonte scatena una gara di solidarietà all’incontrario, il cui obiettivo filantropico è NON andare a prendere l’acqua. Francis, con atteggiamento colpevole ma onesto, dice: <In questi casi vince chi lo dice per primo: io non vado>. Di risposta si scatena un coro di “ulti”, “penulti”, “io no”, simile a quelli che precedono ogni partita di calcetto, con l’obiettivo di non dovere stare in porta. Abbiamo la peggio io e Vitta, che infatti a calcetto fa sempre il portiere. La sorgente è distante, oltre un promontorio, in cima a una pietraia. A differenza delle rocce su cui abbiamo scarpinato fino a quel momento, salde come gradini, ora i sassi si muovono sotto i nostri piedi. Non è gradevole. La sorgente è alta e non la vediamo. L’acqua scorre lungo la parete di roccia e a ogni salto si rompe in una pioggia di gocce, che ci bagna mentre riempiamo le bottiglie. Vitta è un toro e non si lamenta. Io non lo sono e bestemmio. Di ritorno al campo incontriamo Jacopo che ci dà una mano a portare la borsa dell’acqua. Alle tende troviamo Fabio, spiaggiato su un sasso, Francis che svuota lo zaino e Pietro che armeggia per costruire un ingegnoso “asciuga calze” fatto con una grossa pietra piatta, scaldata dal fuoco di un fornelletto Camping Gaz. Hanno già pescato un po’ e, a quanto pare, hanno già preso un po’ di pesci.
Mettiamo sul fuoco la pentola con dentro 21 porzioni di risotto (sette buste da tre porzioni ciascuna) e ci sediamo su una roccia piatta deluxe. Il sole è basso, fuori dalla nostra vista, dietro le montagne. Francis – che ringrazio per avermi prestato la canna da mosca, dimostrandosi come sempre un vero Fratello di Serie B – esclama pacato: <Forse fa più freddo dell’anno scorso>, e si infila in una felpa. <Forse sì>, conferma Vitta, calandosi in testa il cappuccio. <Anche a me sembra>, faccio eco a mia volta, sistemando la pila frontale. <Fa un freddo della Maiala>, conclude Pietro,
mostrandoci le calze che aveva messo ad asciugare sull’ingegnoso “asciuga calze”. Sono bruciate.Ridiamo insieme dell’inconveniente, mentre in cielo scompare anche l’ultima sfumatura di chiaro. Non comprendiamo che le calze bruciate sono in realtà presagio di ciò che sarà. Il calzettone mutilato è un’avvisaglia divina di quella che nella storia repubblicana sarà ricordata per sempre come la notte più buia della democrazia.
Capitolo 4 – “Nel buio della notte tutte le bestemmie sono nere” (di Pietro Invernizzi)
Nella pentola c’è ancora un po’ di risotto ai funghi avanzato, mi avvento avido per saziare una fame atomica. Boccone dopo boccone il riso è meno caldo. Meno tiepido. Decisamente freddo. Segno inequivocabile che la temperatura è in picchiata dal calar del sole. Sorseggiare l’ottimo vino rosso sembra non aiutare, provo con un po’ di whiskey fumando un sigaro Montecristo; ma non guardo il monte e penso tanto a Cri…bbio… che gelo!
Ci abbiamo provato a goderci la stellata, Jacopo vede persino una lucciola… <Jacopo lampeggia anche una luce rossa… quello è un aereo!> Sono solo le 9 di sera ma questi abbagli indicano che se non ti ritiri nel sacco a pelo potresti svegliarti freddo domattina, ovvero non svegliarti. Batto per ultimo in ritirata, si boffonchia “buonanotte” e si sparisce nei bozzoli dentro le tende. Francis sta già dormendo… come lo so? Nella tenda echeggia un latrato agghiacciante. Non russa: guaisce, rantola, ringhia, fa lunghe apnee, abbaia… versi spaventosi ad altissimo volume. Ho moltissimo sonno, non riesco a dormire per ore. Provo a contare i pesci presi durante il giorno, alternativa a contare le pecorelle… Sono arrivato a 37 salmerini nel primo lago, 5 iridee nel secondo, più altri due salmerini e una bella fario over 30… ma non sto ancora dormendo. Per un attimo il respiro di questo ex-amico, trasformato in mostro dai suoni disgustosi, prende un ritmo più regolare. Dormo. Mi sveglia d’improvviso lo schiocco del suo respiro dopo una lunga apnea… è un incubo, ma vedo del chiarore filtrare nella tenda… è l’alba? Forse l’incubo è finito! Orologio alla mano sono le 2.15. Adesso non chiudo più gli occhi… ai suoni infernali del mio vicino si è aggiunto un freddo umido spaventoso. Il sacco a pelo del Decathlon +5° non è consigliato a -10°. Nelle seguenti interminabili ore penso più volte di sopprimere il mio vecchio amico… ma mi serve che il suo corpo restasse caldo per stargli vicino, più vicino di quanto vorrei si sapesse, diciamo appiccicato. Rumori di vento, forse gocce di pioggia. Crepitii di ghiaccio e belati lontani. Finalmente, dopo un tempo incalcolabile, sento una voce amica che parla. E’ Franco, dell’altra tenda, si è svegliato. Il mostro sta ancora latrando… russando. Fanculo! Ho più sonno di quando mi sono coricato, ma barbellando metto gli scarponcini ed apro la tenda. Una cascata di brina ghiacciata mi cade addosso, ma sento profumo di caffé, risate goliardiche e tutt’attorno l’alba a 2700 metri di altitudine, tra cielo e terra, un lago più bello di come potrei sognarlo specchia le montagne intorno. Che spettacolo! Che gioia pura! <Frank, cane rognoso, alzati!>
Capitolo 5 – “Un giorno radioso per il Lago Oscuro” (di Francis Needham)
La notte è stata dura, ma sento di non potermi lamentare per rispetto di chi ha condiviso la tenda con me.
Normalmente russo, quando dormo male russo fortissimo.
Non dev’essere stato facile per chi con me ha patito – oltre al freddo e alla naturale ostilità del luogo – i miei terribili versi di sofferenza.
Ad ogni modo ci “svegliamo” intorno alle 7.
Io bevo il mio caffè e, aspettando il sole ( e il caldo ), vestito in modo improbabile, decido di cominciare a cucchiaino nella sponda profonda che sottostà alle tende.
Il lago non dà segni di attività dunque – cercando di replicare l’impresa dell’anno scorso del caro Pietro – provo a sfruttare il cambio di luce e di lanciare un classicissimo ondulante lungo la riva, sondando le varie profondità con recuperi lenti.
Ed è subito Fario.
Una bellissima 40 cm, guadino, foto di rito, complimenti e via.
Spunta il sole, passo dal campo, tolgo felpa, kway e attrezzatura da spinning e passo di nuovo a mosca (che il giorno prima mi ha regalato tante soddisfazioni).
Ci sono momenti in cui pescare a Mosca in un laghetto alpino è vincere facile: appena la mosca si posa sull’acqua salmerini e iridee si scagliano sull’esca senza alcun indugio.
Non conto neanche il numero di catture, tutti pesci bellissimi, tutti prontamente liberati.
Ma ad un certo punto succede che esce la cattura da ricordare, ed esce in pieno stile Serie B.
Siamo in una sponda così disposti: Serie A che pesca fianco a fianco, a 50 metri da loro io che pesco in solitaria a mosca, altri 50 metri e Vitta che pesca a Spinning.
Vitta urla: <Ohhhhhh ! Qui c’è un pesce enorme…>
Il gesto a braccia aperte che accompagna l’esclamazione è inequivocabile: Vitta non ha ancora capito come stimare i pesci.
La serie A, lontana, ridacchia, io mi avvicino a lui e chiedo: <Dove?>
Vitta: <Non lo so, è andato di là> – indicando un punto poco di fronte a me.
Lancio “di là”, si posa la mosca sull’acqua e dagli abissi emerge un bellissimo pesce che senza pensarci un secondo divora la mosca.
Sollevo la canna e… c’è! Pesco con lo 0,16, il pesce combatte ma io sono sereno fino a quando mi accorgo dalla livrea che è un salmerino ed invoco l’aiuto di Pietro (che ha il guadino).
Pietro corre come un pazzo e subito mi sfotte <ma che vuoi ?> – ancora col fiatone <sarà una fariozza da 40, spiaggiala>.
Ma poi si accorge che è un salmerino e cambia subito atteggiamento e con un pronto movimento lo guadina.
Lo guardiamo, misuriamo, fotografiamo e lo liberiamo.
43 cm – è record Anonima.
In assoluto non un monster fish, per il suo ambiente sicuramente una preda più che importante, calcolando che è cresciuto qui, forse ci è nato e se è stato immesso era solo un avannotto.
Dopo questa cattura pesco ancora un po’ a mosca, ma già soddisfatto di aver fatto “Slam” (iridea – fario – salmerino, come la serie A – N.d.r.) e fish of the day ( big salmerino e big Fario ) decido di tornare al campo base, di cedere la mosca al mio compagno di serie B Franco e di godermi il sole e recuperare energie in attesa della discesa …
Quest’anno c’era tutta l’Anonima. Più un grandissimo Fabio, compagno di spalla, la sua, e di insonnia, la mia, in tenda. Non c’è necessità giustamente che scriva io il report come l’anno scorso. Devo fare solo la chiusa. Bene, facile, ma… ho impiegato 2 ore per arrivare in ufficio, la mia moto non partiva. Credo di averle provate tutte prima di desistere. E non tanto perchè dovevo venire a piedi, visto che ho preso l’autobus, quanto più perchè avrei dovuto riportare su il casco a casa. Al terzo piano. Senza ascensore.
Quindi qui e così comincia la mia parte di report. Vi scrivo seduto su una comoda e morbida poltrona, in chiaro ritardo sull’orario d’ufficio.
L’anno scorso per alcuni i laghetti sono stati un punto di riferimento. Allenarsi a dovere per faticare di meno la volta successiva. E tutti, assolutamente tutti, si sono presentati in forma smagliante. Ho sentito commenti davvero importanti in questi due giorni: non mi fanno male le gambe, non sto neanche sudando, mi sono messo a dieta solo per i laghetti, ho perso trentordici chili con una dieta di banane e alici… e anche se sapevo che erano tutte balle, ognuno di loro ha davvero dimostrato di essere in forma e mentalmente positivi a tutta l’impresa.
Io ho 10 chili in più.
La maggior parte dei miei vestiti dell’anno scorso che necessitano di essere infilati in qualunque degli arti doppi, entrano a fatica in un solo dei suddetti.
Al ritorno dai laghetti ho seguito Pietro che correva (non inteso come una veloce camminata o un passo spedito…. letteralmente correre, spesso come un dannato) in discesa, dicendogli che in effetti era più comodo, ma solo perchè per me era più facile rotolare che camminare, tanto lui stava davanti e non vedeva quello che facevo io dietro.
L’anno scorso il mio zaino era più pesante ma se avessi potuto mi sarei portato solo una maglietta di riserva, un billy e una nastrina in uno zaino blu e rosso dell’invicta.
L’anno scorso correvo in salita, quest’anno mi ha interessato sapere il prezzo dell’affitto dell’elicottero. Per il ritorno.
Ho fatto il mio peggiore terrore psicologico, più per la forma che per il contenuto, al nuovo arrivato Fabio e ne ho pagato le conseguenze, o comunque lui si è lamentato di meno.
Come direbbe zerocalcare, di recente (grazie a dio) tornato a riproporci la realizzazione grafica dei pensieri di persone normali, la mia fatica avrà le sembianze di Chewbacca. Nessuna parola, solo uno straziante e basso grugnito.
Mentre sto scrivendo, a due giorni dal rotolam… ritorno dai laghetti, la mie gambe fanno ancora un male cane. Impiego più del dovuto a scendere le scale e l’andatura ha molto poco del virile. Al telefono mi consola apprendere che anche gli altri cinque sono messi allo stesso modo!
Ciò nonostante siamo scesi dalla montagna con quello che credo si possa definire un tempo record. Quanto sia questo tempo non lo so ma ne sono certo. E non solo Pietro e il mio alterego rotolante. Aspettando al bar vicino alle auto bevendo una birra e domandandoci chissà quando sarebbero arrivati gli altri, la sorpresa è stata enorme quando, dopo poco e primo fra tutti, è comparso Francis. E il cane? (vedi racconto dell’anno scorso. N.d.R.) Quest’anno niente… merito della dieta… poco dopo anche gli altri 3. Quasi freschi. Comunque tutti a piedi. Onore sui e per i laghetti.
Come l’anno scorso ho passato due giorni incredibili, e so di poter dire di non aver sprecato neanche un momento. Posso dire di saper pescare meglio, di assaporarlo meglio. Ho perso solo 7/8 esche, so farmi i nodi da solo e faccio persino finta di sapere quali pesci ho preso. E ne ho presi anche in discreta quantità. E’ stato bello pescare con loro, senza che loro dovessero pescare con me per spiegarmi cosa fare. Loro sono sempre 4 persone di dubbia intelligenza più una persona che mi ricorda molto come devo aver visto io tutta questa “cosa”, ma forse proprio per questo anche quest’anno quest’esperienza è sempre più divertente.
So per certo che la sera, a cena col Savio, tra una pasta e un arrosto, il più importante argomento di discussione è stato: “si vabbeh… ma l’anno prossimo dove andiamo? Non c’è qualcosa di più difficile?”
Ma stiamo scherzando?
Voglio tornare ancora ai laghi alpini, ma devo assolutamente farmi dare la ricetta di quella dieta di banane e alici…
ROCK’N'ROD
p.s. I nomi delle località sono “camuffati”. Chi avrà saputo riconoscere le località ed i laghi dalle foto sarà contento di ritrovarle nel nostro racconto, chi ignora il nostro itinerario non se ne rammarichi, abbiamo dato la nostra parola di non divulgarlo a chi ci ha suggerito la meta, piuttosto si senta stimolato a cercare le sue vette!