2004: Die Grosse Stille di Philip Groning
“Una scommessa (vinta) per il regista, una sfida per l’attenzione dello spettatore”, così il Morandini. E Il Corriere della Sera scrive: “Una di quelle scommesse vinte dal cinema quando diventa qualcosa di speciale, un’ esperienza che ci trasporta in una dimensione spazio temporale diversa”.
Nella sezione Orizzonti di Venezia del 2004 fu presentato per la prima volta Die Grosse Stille del cineasta tedesco Philip Gröning, 46 anni, di cui la metà dedicati al cinema in contrapposizione, sono parole sue, “al torpore televisivo”. Dopo lo straordinario successo esploso all’improvviso in Germania, senza essere preceduto da campagne promozionali che ne alimentassero l’attesa (a Natale ha superato come media di incassi per schermo Harry Potter e il calice di fuoco) e vari riconoscimenti in diversi festival internazionali (dalla critica tedesca al Festival di Berlino fino alla giuria del Sundance), il film è approdato finalmente anche nei cinema italiani.
Molto vicina alla piccola cittadina di Grenoble, c’è la Grande Chartreuse, il più antico monastero dell’ordine dei Certosini. Diciannove anni dopo il suo primo incontro con l’attuale Priore Generale dell’ordine, al regista è stato dato il permesso di girare un film sulla vita dei monaci: ma niente troupe, niente luci artificiali, niente interviste, niente voce narrante… azzerata ogni forma di drammaturgia e senza altra colonna sonora che i rumori d’ambiente e i canti gregoriani intonati dai monaci.
Per chi si sente abbrutito dai mille rumori quotidiani e dai milioni di inutili parole che ci sovrastano, questa immersione nel “grande silenzio” rappresenta una rara esperienza. Anche chi non è credente o non è portato al misticismo non può non godere di questa atmosfera magica, di questa lenta contemplazione dove ogni gesto, ogni oggetto, ogni movimento hanno un significato ben preciso. Chi predilige “le storie” rimarrà all’inizio interdetto, ma superati i primi dieci minuti si troverà interamente coinvolto da quanto vede sullo schermo, da questo esplorare un mondo “diverso”, una dimensione di vita ed una concezione dello spazio-tempo diametralmente opposti al nostro quotidiano, e diverrà silenzioso e partecipe testimone di una realtà “altra” (un mondo abitato da quindici monaci, un mondo dove non passa mai nessuno perché loro non accettano ospiti, non insegnano in nessuna scuola, e non fanno altro che pregare: un dialogo continuo e personale con la propria spiritualità, con il proprio essere. In silenzio).
Il miracolo è che nonostante la lunghezza (due ore e quarantadue minuti), nonostante l’argomento e lo stile severo, Il grande silenzio non annoia. Incuriosisce sempre di più lo spettatore che finisce, per dirla come Gröning, con l’imparare che “solo in completo silenzio si comincia ad ascoltare e solo quando il linguaggio scompare si comincia a vedere”.
p.s.
Gian Luigi Rondi spiega bene la genesi del film: “Philip Gröning si è chiuso per sei mesi nella Grande Chartreuse sulle Alpi francesi per seguire dal vivo l’esistenza dei monaci, i famosi Certosini, che l’abitano rispettando regole ormai millenarie. Obbedendo egli stesso a quelle regole: la cella, il refettorio per i soli pasti del mezzogiorno, le preghiere di notte e all’alba, sempre in un rigorosissimo silenzio interrotto solo, per qualche ora la domenica, quando i monaci, per una ricreazione in comune, lasciano le mura del monastero. Quasi una scommessa, almeno se si pensa a come di solito si realizza un film, però vinta, e con tutto le carte in regola”.