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Il grande uno rosso - Recensione

Creato il 26 febbraio 2016 da Lightman

Lee Marvin, Mark Hamill e Robert Carradine sono tra i protagonisti de Il grande uno rosso, epopea bellica intrisa di elementi autobiografici sceneggiata e diretta da Samuel Fuller.

Il grande uno rosso - Recensione

Novembre 1918, Prima Guerra Mondiale. Un soldato semplice americano uccide un tedesco, nonostante questi gli venisse incontro disarmato proclamando la fine del conflitto. Tornato al quartier generale, lo yankee scopre che in effetti la guerra era terminata da quattro ore. Sulla sua giacca è cucito un numero uno di colore rosso, che diventerà poi il simbolo della prima divisione di fanteria statunitense. Nel novembre del 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, quel soldato, ora salito al rango di sergente, è al comando di una squadra di giovani uomini prossimi alla loro prima battaglia in Nord Africa, dove le truppe francesi sono pronte ad unirsi a loro per combattere i nazisti: tra i ragazzi vi sono Griff (cecchino infallibile ma restio ad uccidere), l'aspirante scrittore Zab, l'italo-americano Vinci, e il medico Johnson. La amicizia e il cameratismo tra i commilitoni e il loro superiore si salderà sempre di più sino alla conclusione della guerra, nella quale saranno impegnati in missioni via via più pericolose.

We were soldiers

Il grande uno rosso - Recensione

E' forse scontato dire che la guerra venga raccontata meglio da chi l'ha realmente vissuta sul campo, fatto sta che l'esperienza bellica del grande regista Samuel Fuller è sicuramente il valore aggiunto de Il grande uno rosso, tra i più importanti titoli del genere di sempre. Non è un caso che la narrazione sia accompagnata nella sua totalità (inclusa la versione extended uscita nel 2004, a ventiquattro anni dall'originale) dal voice over del personaggio di Zab (interpretato da Robert Carradine), vero e proprio alter-ego del cineasta che ripercorre pensieri e timori di un soldato semplice di fronte alla brutalità della guerra. Al contempo è di grande impatto emotivo il confronto ideologico tra le due figure principali, il Sergente (volutamente senza nome) e il soldato Griff, uno che incarna il "guerriero" rodato da mille battaglie e pronto a tutto pur di ottenere la vittoria, l'altro anima pura che cerca di mantenere i suoi ideali anche se questo lo mette a rischio di essere accusato di codardia. A dar corpo e volto a queste anime legate ma al contempo divise ci pensano un vecchio leone di Hollywood come Lee Marvin, in un ruolo da vecchia e burbera canaglia non certo nuovo per lui, e un convincente Mark Hamill appena reduce dal secondo capitolo di Star Wars. La sceneggiatura, curata proprio Fuller, vive spesso di dialoghi asciutti ed essenziali, nei quali fa spesso capolino un'amara ironia, che rispecchiano con un certo acume le personalità dei soldati, ammantando di crudo e sprezzante realismo l'intero contesto. Dopo l'affascinante inizio in bianco e nero, nel quale l'unico lampo cromatico è dato dall'uno rosso sulla giacca del futuro sergente, il colore si fa vivido e forte nonostante la scelta di evitare spargimenti emoglobinici di sorta e lasciando alla brutalità morale della guerra il compito di insinuare la profondità etica della vicenda. Vicenda che, a dispetto di una parziale monotonia dovuta ai continui salti temporali e ai numerosi conflitti a fuoco che vedono impegnato il plotone, è ricca di grandi pagine di Cinema, su tutte il drammatico e furente "scontro finale" a Falkenau, Cecoslovacchia, in un campo di concentramento dove l'umanità ottiene nuovo slancio sia nei suoi lati più positivi che negativi.

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