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Il Guardiano, di Harold Pinter, Regia Lorenzo Loris (2011)

Creato il 02 marzo 2012 da Psichetechne
Il Guardiano, di Harold Pinter, Regia Lorenzo Loris (2011)
(Con questo post inauguro una nuova rubrica di recensioni di cui si occuperà questo blog. La nuova tag è "Teatro". Potrete leggere quindi recensioni di spettacoli teatrali che ho visto personalmente in scena).

Teatro Out Off, Milano, Via Mac Mahon, 16."IL GUARDIANO" di Harold PinterTraduzione: Alessandra SerraRegia: Lorenzo LorisCon: Gigi Alberti, Mario Sala Gallini, Alessandro Tedeschi

Lo spettacolo inzia, come in altri testi di Harold Pinter, presentando un'ambientazione tutta chiusa in una "stanza". Il luogo è pieno di oggetti e "residui" di esistenze altre, aliene: un letto di ferro, vasi, barattoli di vernice, sedie, un secchio appeso al soffitto, una falciatrice, un caminetto, la statuetta di un Buddha, In questo strano ambiente assisriamo all'arrivo di un giovanotto, Aston, e di un vecchio barbone, Davies, incontrato dal giovane in un pub dove il vecchio lavorava, e dal quale Davies è stato cacciato malamente. Aston offre ospitalità a Davies. In questa stanza così sinistra, che suggerisce un modo nel quale non abita più l'armonia, Aston propone al vecchio clochard un nuovo lavoro, quel del "guardiano" della casa. Davies non riesce a nascondere tutto il suo rancore nei confronti di chi lo ha cacciato, efino a quando non entra in scena Mick, fratello di Davies. Mick sorprende Davies in casa e gli grida "A che gioco giochiamo!", pensando sia un ladro. Lentamente la storia prende la forma di rivalità, conflitti e tensioni tra i due fratelli, cui Davies sarà attonito testimone. 
Il claustrofobico allestimento di Lorenzo Loris ci immerge subito in un'atmosfera angosciante e sinistra nella quale il dramma dell'incomunicabilità, o meglio, della "non volontà di comunicare" (come suggerito da Pinter stesso in un'intervista riguardante questa sua opera), è imperante e inossidabile. L'elemento tuttavia più interessante di questo "Il Guardiano", messo in scena e prodotto dal Teatro Out Off di Milano, è senza dubbio la traduzione di Alessandra Serra, che ambienta la vicenda in una geografia "padana", cioè milanese, sganciandola dall'originale londinese. Gli outskirts, le periferie di Londra diventano qui Sant'Angelo Lodigiano, Viale Monza. Le zone centrali si fanno Cadorna, Corso Sempione, e così via. Se il luogo è vicino, conosciuto, il tempo è invece inesistente, ucronico: campeggia in fondo al palcoscenico un grande video sul quale scorrono immagini, in un  bianco e nero sgranato, di un esterno cittadino fatto di strade anonime, che potrebbero essere state riprese negli anni '60 o '50. E' presente quindi tutto un lavoro di regia molto interessante, che ha comportato il trasferimento della compagnia a Londra per assistere al dramma in teatri londinesi, nonchè lo studio della pianta di Londra per consentire un riadattamento efficace della piéce  secondo una linea registica che desidera attualizzare le tematiche pinteriane innestandole sul tema dell'emarginazione sociale nel qui e ora del tempo contemporaneo, nel nostro paese. Davies potrebbe infatti essere un clochard proveniente dalla stazione centrale di Milano, e la storia del giovane Aston e del fratello Mick, potrebbe tranquillamente riflettere le vicende di una famiglia disfunzionale residente a Quarto Oggiaro, o in quartieri problematici al limite della banlieu. Ma è appunto l'atmosfera cupa e claustrofobica, tutta virata al grigio, che soffonde tutto lo spettacolo, a rendere bene la poetica di Pinter, una poetica che risente di Beckett, di Sarte, ma che si apre su argomenti "metropolitani", cioè su una riflessione sulla quotidianità cittadina, sulle pieghe di non senso che albergano all'interno di questa quotidianità che ci vive accanto, anche se non ce ne accorgiamo. "Il Guardiano" è infatti, a mio avviso, una rappresentazione del narcisismo-individualismo moderno e dei suoi effetti devastanti sul legame umano, anzi direi sulla capacità che possiede l'assetto narcisistico nel corrodere fin dalle sue fondamenta il "senso" dell'umana reciprocità e solidarietà. La storia è lenta, angosciante fino alla svolta narrativa rappresentata dal monologo di Aston (un Mario Sala Gallini molto concentrato e assorto nel rappresentare in stile Stanislavskij, una comunicazione catatonica, psicotica, quindi anti-comunicativa per eccellenza). Su tale svolta si innesta la presenza arrogante, davvero "narcisistica" del fratello Mick (Alessandro Tedeschi), contraltare adattivo e socialmente, imprenditorialmente funzionante, della psicosi di Aston. Tra questi due poli narcisistici, a farne le spese è ovviamente Davies, un ottimo Gigi Alberti ("Mediterraneo", 1991, "L'ora di religione", 2002, "Quo vadis baby?", 2005) molto confusionario e "barbonesco" al punto giusto, che non riesce mai a trovare un luogo per sè, poichè la "stanza" è la rappresentazione di un "non-luogo-per-l'altro", cioè il luogo dell'esclusione, dell'emarginazione, del non riconoscimento. Come in tutte le opere di Pinter anche questo "Il Guardiano" si chiude aprendosi a varie interpretazioni o ermeneutiche, lasciando lo spettatore con la sensazione che pensava di vedere una storia dalle chiare coordinate, ma che poi si rompe via via che il plot avanza, perdendo ogni senso e  significazioni più o meno rassicuranti. Lorenzo Loris accentua questo elemento di apertura, spegnendo le luci sull'immagine di Aston che guarda dalla finestra il "capanno" che sta costruendo in giardino, incurante delle domande insistenti di Davies. Domande che non troveranno alcuna risposta. "Il Guardiano" è uno spettacolo teatrale che naturalmente consiglio



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