In Giappone il viaggio è stato visto per secoli come qualcosa di pericoloso, spesso imposto da ragioni politiche (basti pensare, tra i tanti esempi letterari, all'esilio a Suma del principe Genji); dall'inizio del feudalesimo gli spostamenti avvenivano per commercio o per scopi militari, comunque sempre all'interno dei confini nazionali, per la pericolosità dei viaggi via mare e soprattutto per la chiusura autoimposta del Giappone nei confronti del resto del mondo, sospesa soltanto alla fine dell'Ottocento. Il concetto di vacanza, anche all'estero, come piacere e svago, è cosa recente.
Il viaggio, però, può anche essere inteso come percorso verso casa, ritorno alle proprie radici. E proprio di questo genere è il viaggio di Rinco.
Nell'intento di rimettere insieme i pezzi della propria vita, Rinco apre un piccolo ristorante nel quale ospita un solo gruppo di clienti al giorno, dedicando una cura particolare alla preparazione di ogni pietanza.
Il titolo originale del film (e del libro da cui è tratto), Shokudo Katatsumuri 食堂かたつむり (lett. Ristorante "Lumaca"), è rivelatore di alcuni aspetti del film: la lumaca è un animale che porta sempre la propria casa con sé, ovunque vada, e questo è forse ciò a cui Rinco inconsciamente aspira.
Dopo un tradimento di fiducia che le è costato la voce - simbolo dell'identità individuale - il ritorno al furusato, all'antico villaggio natale, bucolico e pieno di verde, è il primo passo verso la riscoperta di se stessa, delle proprie origini, degli affetti dimenticati o mai veramente goduti.
Per Rinco la convivenza con la madre, eccentrica e narcisista, e col viziato maialino da compagnia Hermes è tutt'altro che semplice, ma grazie al ritrovato contatto con la natura è in grado di buttarsi a capofitto nella sua passione per la cucina, mettendo dedizione e amore nella creazione di ogni piatto.
Gli aromi e i sapori sembrano uscire dallo schermo, stuzzicare il palato dello spettatore, invogliarlo grazie alla fragranza speziata del curry o al profumo fruttato del melograno. Mangiando ogni senso deve essere appagato: la sacralità del cibo, che non si limita a riempire lo stomaco ma fa bene anche al cuore, è esaltata dalle inquadrature lente e ombrose che sfiorano gli ingredienti uno a uno.
La regia fresca di Mai Tominaga, che si avvale di animazioni allegre e canzoni orecchiabili per snellire i flashback, ricorda in parte i colori esplosivi e lo stile bizzarro di Memories of Matsuko; ne risulta un'opera che mescola ironia e sentimenti, risate e lacrime, senza mai affondare nel patetico e raccontando una storia emotiva e commovente con toni leggeri e scanzonati.
La protagonista Kou Shibasaki, anche senza parlare, lascia trapelare le sensazioni del suo personaggio tramite sguardi eloquenti, bronci, piccoli sorrisi a fior di labbra, utilizzando al meglio un'espressività efficace ma non strabordante.
Capita, nella vita, di perdere di vista la strada maestra e di smarrirsi tra mille sentieri intricati; a volte bisogna tornare indietro per un tratto, ammettere i propri errori, smettere di scappare e affrontare un passato che fa paura per poter guardare serenamente al futuro. Questo è il viaggio che più di tutti fa crescere, e Rinco l'ha imparato.
Voto: 8