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Stasera alle 21,05 su Iris L’innocente di Luchino Visconti

Creato il 23 giugno 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 1976
  • Durata: 125'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Luchino Visconti

L’innocente è un film del 1976 diretto da Luchino Visconti. Tratto dal romanzo omonimo di Gabriele d’Annunzio, è l’ultimo film diretto dal regista. Fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes 1976, due mesi dopo la morte di Visconti. Con Giancarlo Giannini, Laura Antonelli, Jennifer O’Neill, Rina Morelli, Massimo Girotti.

Nella Roma umbertina del 1891, l’aristocratico Tullio Hermil non ha remore nell’esibire pubblicamente la relazione extra-coniugale con la contessa Teresa Raffo. La docile moglie Giuliana appare rassegnata ad una convivenza limitata a “stima e rispetto” reciproci.

Ma allorché, al ritorno da un viaggio di natura sentimentale, a Firenze, apprende di un’amicizia sorta tra la moglie ed il letterato di origini popolari Filippo D’Arborio, Tullio manifesta un rinnovato interesse per Giuliana. E, durante un comune soggiorno alla “Badiola”, residenza estiva di famiglia, cerca di riconquistarla. Ma, ben presto viene a sapere che la moglie è incinta di un figlio, frutto della relazione con D’Arborio. Lo scrittore, muore di lì a poco, a causa di una grave malattia infettiva contratta in Africa. E la gelosia di Tullio si rivolge al nascituro.

Dopo aver invano cercato di convincere Giuliana ad abortire, assiste indifferente ed estraneo alla nascita e ai primi giorni di vita di quell’odiata presenza. Poi, durante la messa di Natale, approfittando della solitudine, espone il bambino al gelo, causandone la morte. Solo la moglie può comprendere la causa di quell’inspiegabile morte. Nel tentativo di proteggere il figlio, ella era giunta a simulare con lui, avversione per quella presenza estranea che li divideva. E ciò aveva rafforzato l’insano proposito omicida di Tullio.

In assenza di prove, la giustizia terrena non può nulla contro Tullio. Lasciato dalla moglie, mentre la contessa Raffo, cui ha raccontato questi fatti, giace su un divano, stordita dallo champagne, l’uomo si toglie la vita con un colpo di pistola.

Visconti realizzò il film in carrozzella, molto sofferente, e morì nella primavera del 1976, colto da una forma grave di trombosi pochi giorni dopo aver visionato insieme ai suoi più stretti collaboratori il film nella prima forma del montaggio, della quale rimase insoddisfatto. Il film fu presentato al pubblico in quella veste, a parte alcune modifiche apportate dalla cosceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico sulla base di indicazioni del regista durante una discussione di lavoro.

Pur nel sostanziale rispetto dei tratti principali della personalità del protagonista – il superomismo, l’ateismo fiero, lo spirito raziocinante, anticonformista – Visconti introdusse nella sceneggiatura significative differenze rispetto al romanzo di D’Annunzio, “…sino ad un ribaltamento del testo di partenza e del suo assunto.”

Tale ribaltamento è già preannunciato nel maggiore distacco della narrazione: non è Tullio, il protagonista, a raccontare in prima persona, come, invece, avviene nel romanzo.
Diversi sono i personaggi femminili nel film. Per la figura della succube e rinunciataria Giuliana, D’Annunzio si era ispirato anche a La mite, che, nel racconto di Dostoevskij, si gettava, sconfitta, dalla finestra – un gesto ripetuto nella vita reale anche dalla moglie dello stesso poeta, nel periodo in cui questi intratteneva una relazione con la contessa Gravina Cruyllas di Rimacca. Nel film, la moglie di Tullio Hermil reagisce al tradimento del marito e non rinuncia a costruirsi una propria esistenza affettiva autonoma, legandosi al poeta D’Arborio. Rivendica, poi, il controllo sul proprio corpo, rifiutandosi di abortire, ed infine lascia il marito. Parallelamente, la contessa Raffo, la cui presenza nel romanzo era talmente invisibile da meritarsi l’appellativo di “l’Assente”, è proposta nel film come donna autonoma ed indipendente, acquistando nel finale il ruolo di giudice del comportamento di Tullio e inducendolo, col suo sprezzante rifiuto, all’estremo passo. In relazione alla questione dell’emancipazione femminile, alcuni temi del dibattito sull’aborto, all’epoca del film particolarmente acceso, trovano un’eco nel confronto tra Tullio e Giuliana, anche se a parti invertite: è Tullio a volere l’aborto, ed è lui a giudicare “immorale e delittuoso” il precetto di anteporre la vita del nascituro a quella della madre.
Nel romanzo, Tullio sopravvive al suo crimine. Nel film “…è lui stesso a giustiziarsi attraverso il suicidio: un gesto che… appare come una vera e propria messa a morte operata dall’autore”. L’incapacità di un aristocratico, com’era anche Visconti, nel venire a patti con la modernità, nell’adeguarsi ad essa, ne causa la fine; come avviene per i protagonisti di tutti i film immediatamente precedenti del regista; da Gustav von Aschenbach (Morte a Venezia) sino a Ludwig di Baviera e il “Professore” di Gruppo di famiglia in un interno.



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