Henry Lee è un ragazzino cinese che ogni giorno si reca a scuola con una spilla sul petto su cui vi è impressa la scritta “Io sono cinese”. Tanto basterebbe a farci comprendere che questo romanzo, il primo di Jamie Ford, porta all’attenzione una pagina di storia sconosciuta ai più, quella sulle discriminazioni razziali, nell’ America degli anni ’40, nei confronti degli orientali.
Jamie Ford
Conosciamo Henry ormai invecchiato, che passando davanti all’hotel Panama - posto in cui per lavori di rinnovazione si sta provvedendo a svuotarne la cantina – nota un ombrellino di bambù e ciò basta per farlo tornare indietro con la memoria di quarant’anni. Quel luogo, il Panama, è una sorta di enorme scrigno che pullula di segreti e di storie di vite spezzate, ed Henry questo lo sa bene, lo sa perché è lì che riposano gli oggetti e gli averi di centinaia di giapponesi che durante la guerra furono deportati in campi di reclusione. Tra questi oggetti è sicuro che vi sia qualcosa appartenuto un tempo ad una persona che lui ha amato e così preso dai ricordi narra la sua storia al proprio figlio. Scopriamo, nei ricordi di quest’uomo, che un giorno, quand’era ancora un ragazzino, a scuola, tra le ingiurie dei bianchi, incontrò due occhi simili ai suoi, quelli di Keiko, una ragazzina giapponese. La sua vita non sarebbe più stata la stessa dopo l’incontro con questi occhi. Keiko è come lui, sente di essere americana, perché è nata lì, ma i suoi tratti orientali la bandiscono dalla società. Così tra i due, che subiscono la stessa ingiustizia, nasce una profonda amicizia, questo fino a quando ben due ostacoli si frappongono tra di loro finendo per dividerli. In primis il padre di Herny, non vede di buon occhio questo legame e cerca in ogni modo di