Il vero posto di lavoro a vita, pompato dai media e tutelato dall’assoluto caos dei dati, prodotto dal job act è la menzogna. Perché si tratta di una menzogna bella e buona quella di sventolare l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato come un segnale di ripresa dell’occupazione e dell’economia. Semplicemente la nuova legge sul lavoro e il patto di stabilità favoriscono con straordinari sgravi fiscali un tipo di contratto che di indeterminato ha ormai solo l’accezione negativa, visto che si può essere licenziati in qualsiasi momento, per qualunque ragione o senza alcuna ragione e si propone dunque non solo vantaggioso per i bilanci delle aziende ma anche più funzionale, visto che non si deve nemmeno stabilire una durata di massima come nel lavoro a tempo determinato.
Come è stato dimostrato dalle tabelle prodotte dalla Uil, una delle quali riporto
qui a fianco (cliccare sull’immagine per ingrandirla) per almeno tre anni il vantaggio economico per le aziende supera di molto le eventuali cifre da corrispondere al licenziato secondo il meccanismo a tutele crescenti e dunque nell’attuale situazione solo aziende completamente folli non sfrutterebbero al limite del possibile questa furbata del job act. Che si dimostra furbata anche dal lato comunicativo perché permette di insinuare l’idea di una crescita, ancorché di fatto non faccia che prolungare a tempo indeterminato l’incertezza di chi ha un lavoro e garantisce un più radicale e completo sfruttamento.Il dato di origine Inps che viene sventolato, anche nel caso corrisponda a verità, è dunque più che scontato, ma anche del tutto privo di un qualunque significato progressivo o riguardante la crescita: è solo il risultato di dadi truccati. Per di più qualunque cosa può essere affermata, qualunque numero può essere offerto al lotto della politica visto che i soggetti che li emettono sono tre e regolarmente sono in contrasto fra loro: ci sono le indagini campionarie dell’Istat, i dati dell’Inps e quelli del Ministero del lavoro. Le prime sono le più complete e riguardano tutto il mondo dell’occupazione, l’Inps invece riferisce solo sui rapporti di lavoro dipendente con esclusione di tutto il settore pubblico, del lavoro domestico e di quello agricolo; il Ministero dal canto suo invece accorpa i contratti parasubordinati (quelli tipici dei collaboratori) e anche le forme di precariato spinto. E’ chiaro che si crea una grande confusione nella quale tutto e il contrario di tutto può essere detto tanto che lo stesso presidente dell’Inps ha accusato il ministro Poletti di fare un uso politico dei dati.
Così da una parte l’Istituto centrale di statistica diffonde i dati di un nuovo aumento della disoccupazione, dall’altra si alzano i peana del renzusconismo, prontamente megafonati acriticamente dai media, per l’ovvio aumento di contratti a tempo indeterminato che sono stati nel frattempo svuotati della loro potenziale stabilità e la cui crescita non significa di per sé alcun aumento concreto dell’area dell’occupazione. Cosicché non stupitevi nemmeno un attimo se andremo in fallimento nel bel mezzo di una vigorosa ripresa: la realtà alla fine è quella che vince.