Il Kazakistan al voto: giochi di potere in Asia Centrale

Creato il 14 gennaio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Lo scorso 16 novembre il Presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, ha annunciato l’indizione delle prossime elezioni parlamentari per il 15 gennaio 2012. La chiamata alle urne, che era inizialmente stata fissata per l’agosto dell’anno venturo, è stata anticipata, cogliendo di sorpresa i frammentati e deboli partiti di opposizione.
Ancora una volta sarà molto probabilmente il partito del Presidente ad imporsi. Eppure, a differenza delle tornate elettorali precedenti, in quest’occasione il successo “assoluto” ottenuto dal Nur Otan di Nazarbayev non è più un fatto scontato. Si tratterà, difatti, delle prime elezioni kazake in cui si applicherà la legge del 2009 che prevede la possibilità di accedere alle camere anche per quei partiti che non avessero raggiunto la soglia minima del 7% dei voti sin’ora in vigore. Si dovranno inoltre tenere in considerazione le pressioni che verranno probabilmente esercitate dagli Stati Uniti al fine di “favorire” l’esito (per loro) ottimale nel quadro della strategia di Washington per l’Asia Centrale.

 
La decisione presa dal presidente kazako Nursultan Nazarbayev di anticipare al 15 gennaio 2012 le elezioni parlamentari, la cui data era stata fissata inizialmente per l’agosto dello stesso anno, può essere variamente interpretata ed è già stata oggetto di numerose riflessioni da parte di giornalisti ed osservatori. La motivazione ufficiale resa pubblica dal Presidente e riportata in un’intervista rilasciata da quest’ultimo a “Interfax group” il mese scorso collega tale decisione a tre motivazioni fondamentali. Innanzitutto il Presidente kazako ha evidenziato come l’anticipazione delle elezioni si sia resa necessaria a causa dell’incalzante crisi economica mondiale e della previsione per l’anno venturo di un’ulteriore ondata della recessione globale, che renderà necessarie azioni decise ed immediate: l’anticipazione della tornata elettorale permetterà pertanto di concentrarsi nel 2012 sulla lotta alla recessione economica, senza essere distratti da campagne e procedure elettorali. In secondo luogo Nazarbayev ricollega la decisione annunciata lo scorso 16 novembre alla necessità di immettere nel Parlamento figure nuove, in grado di dare attuazione all’intenso programma di industrializzazione elaborato dal governo, che prevede la creazione di ben 350 nuove imprese nell’arco di due anni. Ma, soprattutto, il Presidente kazako afferma di aver voluto anticipare le elezioni presidenziali per il desiderio di veder immediatamente applicata la legge approvata nel 2009 che porterà un secondo partito ad entrare in Parlamento. Ad oggi, difatti, l’unica formazione politica rappresentata nella camera dei deputati (Majilis) e nel senato della repubblica kazaka è il Nur Otan facente capo a Nursultan Nazarbayev, dal momento che nessun’altra formazione politica ottenne la percentuale minima del 7% dei voti in occasione delle passate elezioni parlamentari del 2007. La giustificazione dell’anticipazione della tornata elettorale con il desiderio di veder finalmente applicato anche in Kazakhstan un sistema multipartitico permette a Nursultan Nazarbayev di presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica come un campione della moderazione e di dare il via alla campagna elettorale nelle vesti dell’artefice non più solamente dell’enorme sviluppo economico vissuto dal paese in questi ultimi vent’anni, ma anche del principale promotore e responsabile del suo processo di democraticizzazione.

Alcune considerazioni devono tuttavia essere avanzate, al fine di meglio comprendere quelle che possono essere le altre motivazioni (e gli effetti principali) della decisione del governo kazako di anticipare di 7 mesi le elezioni parlamentari. Considerato difatti che la legge che prevede la possibilità di accedere al parlamento anche per i partiti che avessero ottenuto meno del 7% dei voti era stata approvata già nel 2009, la decisione del Presidente può essere stata dettata da ragioni politiche e, in particolare, dalla volontà di mettere in difficoltà la pur debole e frammentata opposizione al governo del Nur Otan. Difatti l’anticipazione delle elezioni lascia ai partiti di opposizione poco tempo per organizzare un’efficace campagna elettorale e per prepararsi al soddisfacimento dei numerosi prerequisiti che i partiti kazaki devono affrontare per potersi candidare. Tanto più che in Kazakhstan, come in tutti i paesi ex sovietici, è tradizione per la popolazione prendersi un periodo di vacanza di due settimane dalla fine di dicembre: circostanza che di certo rafforzerà il vantaggio dell’elite al potere nella corsa ai voti. Inoltre, fissando la data delle prossime elezioni parlamentari per il 15 gennaio 2012, Nursultan Nazarbayev si assicurerà dal potenziale pericolo rappresentato dal Partito Comunista del Kazakhstan (CPK), uno dei principali partiti di opposizione al governo del Presidente. Il 5 ottobre scorso la corte amministrativa interdistrettuale di Almaty ha difatti sospeso per sei mesi il partito, rifacendosi alla Parte 2 dell’articolo 374 del Codice della Repubblica “Sulle offese amministrative”, perché era stata rilevata la presenza della firma del leader del partito Gaziz Aldamzharov sotto una dichiarazione di un movimento non registrato, “Il Fronte del Popolo”. Il che significa che il Partito Comunista del Kazakhstan (CPK) sarà bandito dalla corsa al voto del prossimo 15 gennaio.

I partiti candidati al voto e le forze di opposizione al Presidente

Otto sono in totale i partiti registratisi per partecipare alle prossime elezioni parlamentari kazake: il partito del Presidente “Nur Otan”, che ha presentato una lista di ben 127 candidati (essendo solo 98 i seggi “eletti” del Parlamento), tra cui spiccano grandi personaggi politici, del mondo dello spettacolo e dello sport; il partito democraticoAdilet” (“giustizia”); il partito democratico del Kazakhstan “Ak Zhol” (“sentiero di luce”); il partito social-democratico del Kazakhstan “Auyl”; il partito comunista del popolo kazako (CPPK); il partito social-democratico di tutta la nazione “Azat”; il partito patriota del Kazakhstan; il partito “Rukhanyat” (“spiritualità”).

Tuttavia di questi otto partiti solamente uno, il partito social-democratico “Azat”, s’oppone radicalmente al Presidente. Altri, pur definendosi di opposizione (come ad esempio il partito Ak Zhol che si considera una “opposizione costruttiva”), sostengono sovente le forze governative. E’ stata negata la registrazione anche a un’altra formazione politica fortemente critica nei confronti del governo di Nazarbayev: il partito Alga. Quest’ultimo è un partito facente riferimento all’uomo d’affari e banchiere kazako Mukhtar Ablyazov, attualmente rifugiato a Londra perché ricercato in patria per frode e riciclaggio di denaro sporco. Proprio nel luglio scorso il banchiere kazako ha ottenuto da Londra il diritto di asilo (anche se la posizione di Londra non appare affatto definitiva, considerato che il governo britannico non ha ancora risposto alla richiesta di estradizione avanzata da Astana e che il mese scorso l’alta corte londinese ha affermato di non poter prestare fiducia alle dichiarazioni rilasciate da Ablyazov). Alga, il partito comunista kazako e il partito “Azat” hanno dichiarato il 21 novembre scorso di voler unire le forze in vista delle prossime elezioni parlamentari, in cui rappresenteranno pertanto la principale forza di opposizione al governo.

Con un pizzico di suspance: il voto e le pressioni della comunità internazionale

Non sarà neanche questa volta difficile prevedere il vincitore delle prossime elezioni parlamentari kazake. Indubbiamente ad ottenere la maggioranza dei seggi del Parlamento di Astana sarà, come sempre negli ultimi vent’anni, il partito del Presidente, il Nur Otan. Eppure in quest’occasione, a differenza delle tornate elettorali precedenti, un pizzico di suspance accompagnerà la lettura dei voti. Innanzitutto nell’attesa di vedere chi, fra i 7 partiti registratisi oltre al Nur Otan, riuscirà ad ottenere la “seconda posizione” e ad entrare così in Parlamento. Molti analisti si dichiarano convinti che ad accedere alla camera e al senato accanto al partito del Presidente sarà uno dei partiti a lui leali: secondo la maggior parte degli osservatori l’Ak Zhol. Ma esiste la possibilità che il partito Azat, attraverso il supporto del partito Alga e di quello comunista, riesca nell’impresa di entrare in Parlamento.

Alcuni analisti hanno ipotizzato che a Nazarbayev possa toccare il prossimo gennaio un destino analogo a quello del Presidente russo Vladimir Putin, che nelle elezioni nazionali della Duma dello scorso 4 dicembre ha visto la sua “Russia Unita” perdere la consueta maggioranza dei 2/3 dei voti (pur rimanendo di gran lunga il primo partito del paese). Se, difatti, numerosi sondaggi hanno registrato il permanere presso la popolazione di una diffusa fiducia (di addirittura l’88,5%) nei confronti del Presidente, solo il 51,4% dei rispondenti al questionario elaborato dall’”Institute of Political Solutions” kazako ha dichiarato di voler votare per il partito Nur Otan.

L’esito delle votazioni parlamentari del prossimo 15 gennaio potrebbe risentire delle pressioni esercitate sul paese e su tutta la regione centroasiatica dall’estero. Il Kazakhstan sta sempre di più rivestendo difatti un’importanza centrale non solamente per la Russia, tradizionalmente interessata a rafforzare la propria influenza sugli stati della CSI, bensì anche per le potenze occidentali. In particolare gli Stati Uniti attribuiscono alla regione una rilevanza strategica centrale nel contesto del ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan e del processo di transizione che si dovrà avviare nei prossimi mesi/anni per garantire la stabilità dell’intera area. Risale al 19 dicembre scorso la pubblicazione da parte del Congresso degli Stati Uniti di un report intitolato “Central Asia and the transition in Afghanistan”, nel quale il Kazakhstan viene indicato come fondamentale supporto sia economico che umanitario al processo di progressivo ritiro delle truppe americane. Il report si inserisce nella cosiddetta “New Silk Road (NSR) strategy”, elaborata dal governo statunitense al fine di assicurarsi nel periodo di transizione il controllo della regione attraverso un rafforzamento dei rapporti commerciali su una direttrice nord-sud (tra l’Afghanistan e le cinque repubbliche centro-asiatiche con un ruolo preponderante del Kazakhstan).

Le elezioni che si terranno in Kazakhstan il prossimo 15 gennaio non saranno pertanto solamente una questione di politica interna: molto probabilmente alcuni tra i principali attori della comunità internazionale, e in primis gli Stati Uniti, cercheranno di influenzarne l’esito per assicurarsi la soluzione ottimale ai fini del contenimento dell’influenza russa (e, in misura crescente, cinese). È in riferimento a tali considerazioni che vanno probabilmente interpretati i violenti scontri scoppiati un mese fa a Zhanaozen, nel Kazakhstan occidentale, che hanno causato la morte di almeno 15 persone e il ferimento di un altro centinaio sia tra i rivoltosi che tra le forze di polizia. Alcuni analisti hanno difatti ipotizzato la possibilità di includere tali avvenimenti nella categoria delle cosiddette “rivoluzioni colorate”: tentativi, vale a dire, da parte di Washington di supportare forme di protesta popolare al fine di rovesciare regimi ostili o promuovere classi politiche “accomodanti”. Tale interpretazione potrebbe trovare conferma nei recenti sviluppi dei rapporti internazionali del Kazakhstan: la firma con Russia e Bielorussia nel novembre scorso degli accordi che porteranno alla nascita della cosiddetta “Unione Eurasiatica” segnano indubbiamente un ulteriore avvicinamento a Mosca dalla quale Astana ha sempre cercato, in questi 20 anni, di mantenere una certa indipendenza, affermando una politica nazionale propria. Di più: potrebbero portare infine alla creazione di un blocco a guida russa nell’intera regione, che rischierebbe di escludere nel lungo periodo la presenza atlantica; circostanza di certo non gradita al governo di Washington data la fondamentale importanza strategica dell’Asia Centrale soprattutto in questo frangente. Al contempo il recente ritiro dei Peace Corps statunitensi dal paese, per quanto ufficialmente giustificato sia da parte americana che kazaka con il venir meno della loro necessità in uno stato che gode ormai di livelli di sviluppo economico notevoli, può senza eccessive forzature essere letto come un segnale di parziale raffreddamento dei rapporti tra i due stati. Interpretazione questa confermata da alcune testimonianze, nonché dagli attacchi rivolti ai Peace Corps negli ultimi mesi da parte di alcuni media locali kazaki -ad esempio da parte dell’Aktobe Times, il quale ha ipotizzato che si trattasse di un mezzo di infiltrazione degli Stati Uniti nel territorio nazionale.

Una possibile conclusione

Bisognerà attendere il 16 gennaio per verificare l’effetto che l’azione della comunità internazionale sommata alle dinamiche interne al paese descritte nei paragrafi precedenti avranno sulla tornata elettorale (la prima, come si è detto, che ammetterà al Parlamento anche partiti che non dovessero raggiungere il 7% dei voti). Sulla base dei dati e delle considerazioni esposte nel presente articolo possiamo tuttavia già ipotizzare che le pressioni molto probabilmente esercitate da Washington sul voto si tradurranno in un rafforzamento delle, sino ad ora estremamente deboli e frammentate, forze di opposizione, che potrebbero erodere parzialmente il vastissimo consenso attualmente goduto da Nazarbayev. Non ancora, però, sino al punto di realizzare, come ipotizzato da alcuni, una versione kazaka della “primavera araba”: eventualità che pare difficilmente concretizzabile anche in considerazione della crescente influenza e appoggio della Russia al governo del paese.

 
*Francesca Barnaba è dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Universtà di Trieste (Gorizia)


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