Il ladro di anime
Sebastian Fitzek, 2008
Elliot
300 pagine, 17, 50 euro
In una Berlino stretta dalla morsa del freddo, la notte della vigilia di Natale una fitta nevicata si abbatte su una clinica per malati psichiatrici, isolandola dal circondario.
Al suo interno, cinque membri del personale e tre pazienti, tra cui un uomo, Caspar, che a causa di un’amnesia non ricorda nulla del proprio passato. L’isolamento del mondo esterno si rivela letale quando nella clinica si introduce il Ladro di anime, sorta di serial killer che lascia le proprie vittime in uno stato catatonico, gusci vuoti e incapaci di rispondere agli stimoli esterni. Su ognuna di esse viene anche trovato un biglietto che riporta un indovinello.
Mentre il Ladro di anime inizia la sua caccia all’interno della clinica, Caspar viene tormentato da flashback sempre più frequenti, che rivelano angoscianti particolari del passato.
A far da cornice alla vicenda fin qui riassunta, la storia parallela di un gruppo di studenti che vengono invitati a prender parte a un esperimento, mesi dopo la vigila di Natale di cui sopra: dovranno leggere, quasi senza pause, una lunga cartella clinica, che costituisce di fatto il testo che ha in mano anche il lettore
Molti degli studenti rinunciano, spaventati dalle regole inflessibili dell’esperimento; due di loro accettano, e si immergono nella lettura.
Non sono un gran frequentatore del thriller in ambito letterario.
Del libro di Fitzek avevo però letto recensioni entusiastiche, e mi sono quindi deciso a dargli una chance.
Scimmiottando in maniera piuttosto palese Dieci piccoli indiani, con cui condivide la nevicata che isola i dieci protagonisti e la presenza di un killer che li uccide uno a uno, Fitzek costruisce un romanzo in cui la tensione non riesce a nascondere numerosi difetti.
Ha buon ritmo, questo non lo nego: racchiudere tutta la vicenda in poche ore è un furbo stratagemma per motivare alla lettura rapida e il più possibile senza pause, e lo stesso vale per le chiusure di capitolo che fanno da cliffhanger a quello successivo. Il fatto poi che i due studenti stiano affrontando la cartella clinica di pari passo con il lettore dovrebbe innescare un meccanismo di identificazione, un gioco metaletterario per rendere ancor più serrata la narrazione.
Basta questo, per costruire un buon thriller? Non lo so.
So però che i personaggi sono un po’ stereotipati, il topos del protagonista smemorato che ricostruisce poco alla volta il suo passato viene riproposto senza grandi alzate d’ingegno, e alcuni dialoghi sono molto, molto poco scorrevoli e naturali.
Sulla copertina si legge la dicitura psychothriller, il che induce ad aspettarsi un’opera attenta alla dimensione psicologico/patologica dei personaggi. Così non è; i protagonisti, forse con la sola esclusione di Caspar, hanno profili mentali poco approfonditi e bidimensionali, quando non semplicistici in maniera un po’ ridicola (di uno di essi di dice che perso la parola per aver ingerito pasticche, o chissà quale altra droga. Punto. Poco psycho e molto banale, secondo me).
E anche dal punto di vista della forma, non me la sento di promuovere Fitzek. Non conosco il tedesco e non ho modo di controllare l’originale, quindi non so quanto la traduzione abbia influito sullo stile.
Però alcune metafore poco ispirate, i cambi di punto di vista bruschi e una certa difficoltà a descrivere l’ambiente dell’ospedale credo siano da attribuire all’autore, che sembra aver puntato più su una corsa a rotta di collo verso il finale che sulla forma.
Fitzek mi sembra faticare parecchio anche quando deve far muovere insieme più personaggi, soprattutto nelle scene d’azione. Volendo semplificare il discorso, la sua scrittura mi è sembrata molto poco cinematica, ed è pecca grave per un libro che dovrebbe fare almeno delle scene sincopate uno dei suoi punti di forza.
A risollevare un po’ le sorti dell’insieme, è proprio il finale, forse la trovata migliore del libro.
Il plot twist è inaspettato e ben architettato, e come si dice, I didn’t see it coming. E visto quanto è cool essere crossmediali di questi tempi, a pagina 287 trovate anche un post it, con un indirizzo mail per proseguire l’esperienza sul web (cosa che non ho fatto, quindi non posso giudicare se questo tentativo di campagna virale sia riuscito ed efficace).
Non è comunque abbastanza, temo, per farmi unire al coro degli entusiasti.
Pro:
Il finale; peccato sia un colpo d’ala tardivo.
Contro:
- Personaggi piatti.
- Stile di scrittura non molto ispirato, e a volte un po’ confuso.