Alphonse de Lamartine, è un poeta francese non sempre amato dai suoi critici per “mancanza di precisione nell’ispirazione e per mancanza di rigore nella composizione poetica”. La poesia è l’arte delle alchimie sottili o delle combinazioni matematiche e Lamartine è vago, dicono. L’imprecisione di Lamartine, segno d’impotenza o gusto perverso dell’equivoco, proseguono, incontra alle acque di Aix-en-Provence Julie Charles, che aspetta invano e che dopo qualche mese muore.
L’imprecisione di Lamartine produce “Le Lac”. Vago, ambiguo, lo definiscono. Siamo sul bordo di un lago, forse eterno, dove un uomo e una donna vivono i più bei momenti di un amore precario, e dove l’uomo ritorna solo perché lei non c’è più, temi di ogni tempo e luogo, dove la vibrazione personale diventa naturalmente universale.
Dalla sprecisa penna del poeta romantico, esce quindi in Agosto-Settembre 1817, la composizione seguente; in una mia, inedita, traduzione.
Il Lago
“Così, sempre spinti verso nuove sponde,
Nella notte eterna portati senza ritorno,
Potremmo mai sull’oceano degli anni
Gettare l’ancora un solo giorno?
O lago! l’anno appena ha finito il suo percorso,
E vicino alle onde care che lei doveva rivedere,
Guarda! vengo solo a sedermi su questa pietra
Dove l’hai vista sedersi!
Mugghiavi così sotto queste rocce profonde;
Così ti rompevi sui loro fianchi lacerati;
Così il vento gettava la schiuma delle tue onde
Sui suoi piedi adorati.
Una sera, ti ricordi? vogavamo in silenzio;
Non si udiva in lontananza, sull’onda e sotto i cieli,
Che il rumore dei rematori che colpivano cadenzati
I tuoi flutti armoniosi.
Improvvisamente accenti sconosciuti alla terra
Dalla riva incantata colpirono gli echi,
Il flutto fu attento, e la voce che m’ è cara
Lasciò cadere queste parole:
“O tempo, sospendi il tuo volo!” e voi, ore propizie!
Sospendete il vostro corso:
Lasciateci assaporare le rapide delizie
dei più belli dei nostri giorni!
“Abbastanza infelici v’implorano quaggiù,
trascorrete, trascorrete per loro,
prendete con i loro giorni le cure che li divorano,
Dimenticate i felici.
“Ma domando invano qualche momento ancora,
Il tempo mi scappa e fugge;
Dico a questa notte: “sii più lenta”; e l’aurora
Dissiperà la notte.
“Amiamo dunque, amiamo dunque!” dell’ora fuggitiva,
Affrettiamoci, godiamone!
L’uomo non ha porti, il tempo non ha rive;
Lui fluisce, e noi passiamo!
Tempo geloso, è possibile che questi momenti d’ebbrezza,
Dove l’amore a lunghi flussi ci versa la felicità,
volino lontano da noi con la stessa velocità
dei giorni di disgrazia?
Che cosa! non potremmo fissarne almeno la traccia?
Come! passati per sempre! come! interamente persi!
Questo tempo che li diede, questo tempo che li cancella,
Non ce li renderà più!
Eternità, nulla, passato, abissi scuri,
Che cosa fate dei giorni che inghiottite?
Parlate: ci renderete queste estasi sublimi
Che ci rapite?
O lago! rocce mute! grotte! foresta oscura!
Voi che il tempo risparmia o che può ringiovanire,
Conservate di questa notte, conservate, bella natura,
Almeno il ricordo!
Che sia nel tuo riposo, che sia nei tuoi temporali,
Bel lago, e nell’aspetto dei tuoi ridenti poggi,
E in questi abeti neri, e in queste rocce selvagge
Che pendono sulle tue acque!
Che sia nello zefiro che freme e che passa,
Nei rumori dei tuoi bordi e dai tuoi bordi ripetuto,
Nell’astro dalla fronte d’argento che imbianca la tua superficie
Dei suoi morbidi chiarori!
Che il vento che geme, la canna che sospira,
Che i profumi leggeri della tua aria fragrante,
Che tutto quello che si sente, si vede e si respira,
Tutto dica: “Hanno amato!”
© Traduzione Melissa Pignatelli