Non mi stancherò mai di ripetere, anche su questo blog, che le parole sono importanti. E parto proprio da qui. Parto dalle parole stampate sull’etichetta frontale della bottiglia prodotta, insieme, dai Dolomitici, il gruppo degli 11 vignaioli natur, chiamiamoli così – Castel Noarna, Cesconi, Dalzocchio Elisabetta, Elisabetta Foradori, Eugenio Rosi, Maso Furli, Molino dei Lessi, Pedrotti Gino, Poli Francesco, Vignaiolo Fanti, Vilar -, che da un paio d’anni stanno movimentando, almeno loro, la scena della viticoltura trentina. Dunque, il vino si chiama Ciso, e poi vedremo perché. Sotto il nome compare l’indicazione dell’uva da cui è vinificato: Lambrusco a Foglia Frastagliata. Bello. Bello. Bello. Finalmente qualcuno ha ripreso in mano queste quattro parole: Lambrusco-a-Foglia-Frastagliata. Che da vent’anni a questa parte erano state messe in naftalina. Dimenticate. Reiette. Assassinate da una deplorevole operazione di marketing che, alla prova dei fatti, non ha portato da alcuna parte. Un percorso iniziato un paio di decenni fa quando qualcuno, con la testa piena di lustrini parkeristci, fece in modo di cambiare nome a tavolino a quest’uva, per tentarne un improbabile rilancio. Si pensò, allora, che il nome Lambrusco fosse, per così dire, troppo sputtanato, perfino troppo volgare, troppo contadino, troppo inzuppato di terra e paese, per potervi affidare le magnifiche sorti commerciali di un vero e robusto autoctono. E quindi, con un operazione di astrazione intellettualistica si andò a ripescare un generico e pliniano (da Plinio il Vecchio) nome latino: Enantio (“Labrusca: hoc est vite silvestris, quod vocatur oenanthium”, chissà quante volte la avete già sentita questa storiella). Peccato che poi le cose siano andate a finire come sono andate a finire: male. Il Lambrusco a Foglia Frastagliata – Enantio, a cui fra l’altro fu riconosciuta anche una Doc collocata a cavallo fra Trentino e Veneto (Terradeiforti, a cui spetta anche la tutela del Foja Tonda), fu sottoposto ad una cura dimagrante devastante. Fu investito da una spietata operazione di estirpazione, per far posto al famigerato Pinot Grigio. Operazione la cui regia politica è attribuibile ai disegni neoagrocapitalistici di cui si era, ed è, imbevuta la cooperazione trentina. Sino ad arrivare alla situazione di oggi. Che è descritta magistralmente dall’ultima indagine statistica sulla viticoltura trentina edita dalla Camera di Commercio e da Consorzio Vini. L’Enantio, oggi, occupa lo 0,5% delle aree vitate del Trentino. Nel 1980 rappresentava il 12,5%, ed era concentrato in massima parte nel Trentino meridionale. La Lambrusca è stata per molti secoli la storia e il nerbo della viticoltura lagarina, sino appunto a venti – trent’anni fa. Quando cominciò una parabola discendente disastrosa, frutto di scelte politiche e agronomiche cooperative, di cui è stata protagonista suo malgrado quest’uva, a cui, per soprammercato, toccò anche la bizzarrissima e ignominiosa sorte di vedersi cambiare nome giusto un attimo prima del funerale. In aggiunta, tanto per raccontare quanto quelle scelte siano state sbagliate, ricordo anche che oggi il Consorzio a cui era (è) stata affidata la tutela dell’Enantio – e del fratello Foja Tonda a cui però fortunatamente nessuno ha mai pensato di cambiare nome – ha abbandonato il Trentino e la Terra dei Forti, e si è trasferito a Bardolino. A fare che cosa per ora non si capisce. La logica incomprensibile, almeno a me, di tutto questo, un giorno, qualcuno ce la spiegherà.
Ma torniamo al Ciso, il vino, la bottiglia, l’etichetta a cui i magnifici undici delle Dolomiti hanno scelto di affidare simbolicamente la testimonianza identitaria del loro essere gruppo e soggetto collettivo. Un paio di anni fa, anche uno degli ultimi campi ancora coltivati a Lambrusca, a sud di Avio, quando ormai il Trentino si fa Veneto, stava per subire la stessa sorte che era toccata a tutti gli altri vigneti autoctoni della zona: espianto e riconversione a Pinot Grigio. Il vecchio contadino che da sempre aveva coltivato questo vero e proprio monumento della viticoltura trentina – si tratta di vigne secolari franche di piede: uno spettacolo a vedersi -, se ne era andato portandosi dietro il mestiere e la poesia di un’arte e di una fatica antiche, legate da sempre alla foglia frastagliata. Quel contadino che se ne era andato, si chiamava, appunto, Ciso. Il suo campo, qualche migliaio di metri e 726 ceppi, stava per prendere la strada irreversibile della riconversione. Fu allora, di fronte a questo scempio che stava per compiersi, che ad Avio arrivarono i Dolomitici. E dissero: fermi tutti. Alle vigne del Ciso, ora, ci pensiamo noi. A quella promessa seguirono i fatti. Le preziose viti franche di piede furono salvate. I Dolomitici presero in mano, e in affitto, il vigneto di Mama d’Avio. Cominciarono a coltivare il campo e a seguire tutte le fasi di lavorazione del vigneto, sino alla vendemmia; a cui seguì la prima vinificazione. E’ nata così, in questo modo, la prima bottiglia di Ciso – Lambrusco a Foglia Frastagliata – Igt delle Dolomiti. La prima vendemmia risale al 2010: 3000 bottiglie e 150 magnum. Non so ancora come sia questo vino. Non lo ho ancora assaggiato. Lo farò domenica 3 giugno quando, a Castel Noarna, i Dolomitici lo presenteranno in degustazione. E insieme si presenteranno ufficialmente, e per la prima volta, al Trentino. Dunque, ogni ragionamento sul valore della bottiglia lo rimandiamo al 3 giugno sera. Perchè questo è un vino, e questa è una cosa sicura, che non può essere capito fino in fondo, se prima non se ne capisce e non se ne coglie la storia che lo accompagna. Resta intatto, però, il valore, a mio modo di vedere, prezioso di questa operazione tutta dolomitica, nata fra un gruppo di contadini, che sono soprattutto amici, e che da amici, appassionati della loro terra, hanno deciso di interpretare un modello differente e alternativo del territorio trentino. Differente e alternativo – mi verrebbe da dire antagonistico – rispetto a quello promozionato e istituzionalizzato; quello che altri hanno voluto manipolare, adulterare e mercificare per renderlo appetibile ai mercati massivi nordamericani. La storia di questa bottiglia, e la storia di questo gruppo di viticoltori indipendenti, ha l’odore dell’autenticità. Della verità. Di un autenticità e di una verità che si annusa anche nella scelta delle parole. Perchè le parole, lo sappiamo, sono importanti. Per questo, cari Dolomitici, vi dico grazie. Perchè nella scelta di questo nome, Ciso, e nella scelta di usare il nome originario di questa vite – Lambrusco a Foglia Frastagliata – ci avete impartito una lezione. Una lezione di territorio. Ci avete insegnato che il territorio, quando c’è, può essere interpretato con parole semplici. Le parole di una lingua che merita rispetto, perché il territorio è anche un grande contenitore semantico. Il territorio, ci avete insegnato, passa anche per l’adesione alle sue parole, alla sua lingua, alla sua grammatica. Alla sua tradizione. Senza trucchi e senza inganni. E ancora prima di averlo assaggiato, il Ciso io me lo immagino proprio così: un vino senza trucchi e senza inganni. Un Vino Sincero. Sinceramente trentino. E sinceramente dolomitico.
Per partecipare alla presentazione-degustazione del 3 giungo a Castel Noarna (via Castelnuovo, 19 – 38068 Noarna di Nogaredo (TN) – coordinate GPS latitudine 45.912765 longitudine 11.016091 indicazioni su Google Maps – [email protected]) è necessario compilare una scheda di partecipazione e che potete scaricare qui
Approfondimenti:
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- Il Vigneto Storico di Avio – a cura di Francesco Penner
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