Sam Savage Einaudi Stile Libero 17,50 Euro
L’altra settimana mi sono recato nella biblioteca comunale vicino casa per restituire due libri che avevo preso in prestito qualche tempo fa. Mentre l’impiegato, gentilissimo, si apprestava a compiere al computer le operazioni di ripresa in carico di quei due volumi, mi sono immerso tra gli scaffali della libreria per cercare un altro paio di romanzi che potessero interessarmi.
Posso essere sincero?
Trovare in questo modo dei libri, cioè senza avere scelto in precedenza almeno l’autore o l’argomento, è un modo di agire del tutto assurdo e spesso si rivela una perdita di tempo. Essendo tutti i libri disposti in costa negli scaffali e quindi non potendo essere attratto dall’immagine di copertina (è lei che mi colpisce in primis) la sola cosa che posso fare è scorrere con l’occhio il nome degli autori sul dorso delle pile di volumi e leggerne le diverse intestazioni. Una volta individuato un nome conosciuto, lascio che ad attrarmi sia il titolo dell’opera. Confesso che quel giorno di intriganti ne ho individuati ben pochi. Dunque, dopo un quarto d’ora, mi sono annoiato e stavo quasi per andarmene via, rinunciando così al vantaggio di potere avere gratis a casa due romanzi da leggere.
Non appena decido di dare un taglio a quell’operazione di ricerca rivelatasi monotona e inconcludente, succede che l’occhio mi cade su due volumi, non distanti tra loro, che mi attirano. Il primo ha codice Hunt, numero N-823 e titolo “Il cane nero”; l’altro ha codice SAVA, numero N-813 e titolo “Il lamento del bradipo”.
La scelta del primo libro è stata ovvia: il titolo è identico a quello di un mio scritto che ho presentato qualche tempo fa proprio in questo blog e che qualcuno (mi auguro) ha già letto. Il cane nero è il romanzo di esordio di Rebecca Hunt, una signora inglese laureata in belle arti. Spero che sia interessante come il mio omonimo raccontino… ahem
e che v’invito a leggere, se non lo avete già fatto.Il secondo libro ha davvero un bel titolo: “Il lamento del bradipo” ed è, come ho scoperto nella terza di copertina, di Sam Savage, un misterioso e anzianotto scrittore americano, nato nel ’40 (dunque due anni prima di me, il ché mi lascia ancora qualche speranza di vedere stampato su carta qualcosa di mio…) e che ha pubblicato, sempre da Einaudi,“Firmino”, un romanzo che nel 2007 ha avuto un enorme successo sia all’estero sia in Italia e che piacque tantissimo anche a me.
A leggere “Il lamento del bradipo” ci ho impiegato pochi giorni e mi ha abbastanza soddisfatto. Sono andato a vedere su Internet le recensioni e i commenti di chi lo ha letto per controllare se il mio giudizio era condiviso da altri. Concordo col dire che questo romanzo è inferiore a “Firmino”, ma io che vivo sulla mia pelle gioie e dolori, vittorie e sconfitte, alti e bassi, tipici degli scrittori che cercano, senza riuscirci, di farsi apprezzare (e pubblicare) da una casa editrice importante, ho sorriso (a volte amaramente) leggendo e partecipando con umana comprensione a quanto Andrew Whittaker, il protagonista della storia, scrive nelle lettere accorate, divertenti, sarcastiche, lagnose, provocatorie, che invia alla ex moglie, ad amici veri o presunti, al direttore di “Arte e Letteratura” una rivista di successo, concorrente di “Bolle”, fanzine letteraria di cui lui stesso è unico redattore ed editore, ai poeti e scrittori che gli inviano opere penose che lui è costretto a rifiutare, agli inquilini che ogni volta inventano una scusa nuova per non pagare l’affitto dei fatiscenti appartamenti di cui è proprietario.
Il romanzo è l’epistolario, a volte feroce fino all’inverosimile, di un uomo che man mano si riduce a vivere come un bradipo, cioè con la lentezza esasperante di un animale asociale per natura, brutto da vedere e perennemente stanco. Consiglio questo libro solo a chi ha sense of humour, non soffre di solitudine e sa, almeno per sentito dire, quanto sia crudele il mondo letterario e quanto grandi siano le invidie che nascono fra autori che, non essendo stati baciati dalla fama, vivono malamente la loro condizione di emarginati dalle élite culturali imperanti.
Alcune lettere sono esilaranti, altre perdutamente tristi, tutte, comunque, espressioni di un carattere pretenzioso ma indeciso a tutto, furbesco ma, allo stesso tempo, sprovveduto. Andrew Whittaker è un perdigiorno nevrotico e puntiglioso nel controbattere le voci malefiche che girano sulla sua persona e sui comportamenti da lui tenuti nelle riunioni letterarie gestite dall’odiata rivista concorrente.
Tra queste lettere ve ne segnalo un paio, brevi, indirizzate a degli autori che sperano di essere pubblicati sulla rivista “Bolle” da lui creata, diretta e stampata.
Gentile Signora Lessep,
Le siamo grati per averci dato nuovamente la possibilità di leggere “Scarpette di vischio”. Dopo attenta riflessione, siamo spiacenti di comunicarLe che il Suo lavoro continua a non rientrare nella nostra linea editoriale. Ci dispiace che la frase “al momento non rientra nella nostra linea editoriale” l’abbia indotta a sottoporcelo di nuovo. Nel mondo dell’editoria “al momento” in realtà significa “per sempre”.
Andrew Whittaker, Caporedattore di Bolle
Caro Dalberg,
ho rifiutato l’ultimo racconto che mi hai spedito per i suoi scarsi meriti, e il fatto che tu sia canadese non ha niente a che vedere col mio giudizio, ma se ti fa sentire meglio continua pure a crederlo.
Andrew
Termino qui.
Per quanto riguarda il romanzo “Il cane nero”, l’altro libro che ho preso in prestito dalla biblioteca comunale, non posso dire nulla, non avendolo ancora letto. Ve ne parlerò soltanto se ne varrà la pena.
Nicola