Oggi pubblicherò la prima parte del post, ovvero l'intervento della dott.ssa Coppola, nei prossimi giorni pubblicherò la mia versione.
EDIT: la seconda parte del post è raggiungibile a questo link
Quante volte abbiamo ascoltato questo slogan su riviste o in tv, e quante volte ce lo siamo sentiti dire, magari dal medico di famiglia o dalla nonna.
Ma nessun alimento è buono o cattivo in senso “assoluto”, il cibo può far bene o male a seconda dell’uso che se ne fa, delle quantità assunte, delle esigenze fisiologiche e metaboliche personali.
Lo sapevate, ad esempio, che nell’Europa del sud circa il 70% della popolazione (compresa quella italiana) soffre di intolleranza al lattosio? Perché allora continuare ad assumere da adulti questo zucchero, esclusivo del latte, se naturalmente il nostro organismo tende a non digerirlo più?
Siamo gli unici mammiferi a continuare ad alimentarci con il latte anche da “grandi”, ma dal punto di vista genetico non siamo preparati.Ricordo il mio caro professore di Genetica Medica, stimatissimo Sergio Cocozza, che mi spiegò l’intolleranza al lattosio come fosse una “favoletta”.
Ebbene, in epoche remote, nei periodi di carestia, si creò una vera a propria competizione tra l’anziano e l’infante nei confronti del latte materno. Insomma, per questioni di sopravvivenza, il nonno, il padre, lo zio o altri adulti vicini alla puerpera tendevano a sottrarre il latte destinato naturalmente al neonato per sedare la propria fame, sfidando così un dogma della Natura: il vecchio non lasciava più spazio al “nuovo”.
Ovviamente Madre Natura non è stata lì ad assistere passiva e, per difendere la sopravvivenza del neonato, ha reso “il vecchio” intollerante al lattosio, modificando l’attività dell’enzima lattasi a partire dal suo DNA.
Problema superato, finché l’introduzione dell’allevamento vaccino ha risolto questa secolare competizione, mettendo a disposizione latte in abbondanza per tutti senza preferenze. Ed ecco che l’intolleranza, pian piano, è andata retrocedendo.Il punto è che non è passato abbastanza tempo perché la capacità di digerire il latte sia stata ripristinata in tutti gli adulti!
Situazione ben diversa nel bambino e nell’adolescente, dove l’enzima Lattasi è quasi sempre sufficientemente attivo da scindere il lattosio nei corrispondenti monosaccaridi, glucosio e galattosio, evitando così disturbi gastro-intestinali da mal digestione.
Inoltre, nei giovani, la composizione del latte risulta utile per una corretta assimilazione del calcio, del magnesio, dello zinco, essenziali per la salute dell’osso, e promuove lo sviluppo dei Bifidobatteri intestinali, utili per il mantenimento di una sana flora batterica nel colon e per il blocco dell’impianto di germi patogeni nel tenue. Infine dona galattosio, uno zucchero necessario per il corretto sviluppo del sistema nervoso, proteine nobili, vitamine ed oligoelementi.
Un recente studio realizzato al Department of Human Nutrition dell’Università di Otago [chiedo perdono, non sono riuscito a trovarlo, NdG] ha mostrato come il consumo di latte in età prepuberale risulti fondamentale per la crescita del bambino attraverso l’aumento del livello sierico dell’IGF-1: questo ormone gioca un ruolo chiave nel metabolismo dell’osso, soprattutto sulla cartilagine epifisaria, zona responsabile dell’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe, che promuove l’incremento statuario in infanzia e in pubertà. La tesi è riconfermata da un’altra pubblicazione condotto da Black et al.
Questo studio, effettuato su bambini tra i tre e i nove anni, dimostra che nei bambini in crescita, evitare il latte vaccino, a lungo termine comporti bassa statura e povera salute delle ossa. Quindi l’IGF-1 del latte vaccino, completamente identico a quello prodotto dal fegato umano, risulta fondamentale per la crescita dei bambini, ma la produzione corporea di questo ormone tende ad abbassarsi con l’età e si riduce a circa la metà a 70 anni.Se invece beviamo latte, questo ormone tende a permanere ad alti livelli nel nostro organismo e ciò potrebbe essere rischioso in quanto l’IGF-1 si è mostrato capace di stimolare la crescita sia di cellule normali che cancerose ed è stato associato ad aumento dell’incidenza del tumore alla mammella e alla prostata. Basti pensare che nelle due aree europee dove si beve più latte, Scandinavia e Paesi Bassi, esiste il più alto tasso di tumore al seno. Il latte è uno dei primi alimenti che sconsigliamo nelle donne con storia di cancro al seno che vengono a chiedere una visita presso il Consultorio di prevenzione e assistenza oncologica, gestito da me e dal dottor Iasevoli presso la “Fondazione Bartolo Longo” a Pompei, ispirandoci alla dieta Diana del dottor Berrino dell’INT Milano.
Altra riflessione importante: il latte che beviamo oggi non è il latte di un tempo, munto da vacche allevate su colline incontaminate, che si cibavano di vegetali senza aggiunta di antibiotici, steroidi, ormoni della crescita, erbicidi o pesticidi veicolati dal foraggio. Il latte odierno può contenere questo, oltre che una varietà di fattori di crescita che veicolano all’ipofisi del vitello il messaggio di raggiungere all’età di sei mesi un peso di oltre 100 kg! È evidente che tale informazione specifica non corrisponde assolutamente alla crescita normale di un essere umano, ancor più se non ha più bisogno di “crescere”.
Ma poi, è davvero così essenziale il latte per tutti noi?
Indubbiamente è una bevanda ricca in proteine di origine animale, essenziali “mattoncini” dei nostri muscoli e delle nostre ossa ma, come le proteine della carne e dei formaggi, acidificano il plasma tendendo a sottrarre calcio alle ossa, classico alcanizzante in grado di ristabilire il pH plasmatico. Inoltre, la quantità di fosfato presente nel latte di vacca è sei volte superiore a quella del latte di donna, e il conseguente aumento della sua concentrazione plasmatica abbassa la calcemia con richiamo di calcio dalle ossa.Una delle prove che il latte non faccia poi così bene alle ossa proviene da diversi studi: ad esempio nello studio Harvard “Nurses’ Health Study”, che ha seguito clinicamente oltre 72.000 donne in diciotto anni, si dimostra che l’aumentato consumo di latticini non è associato ad un abbassamento del rischio di fratture. Wynn et al. hanno fatto uno studio prospettico e ha concluso che il calcio urinario aumenta 0,04 mmol (1,6 mg) per g di proteine nella dieta.
Il consumo di prodotti lattiero-caseari da parte di 3.000 giovani adulti è stato registrato nello studio CARDIA ed è risultato legato anche allo sviluppo di caratteristiche cliniche tipiche della sindrome metabolica (obesità, pressione arteriosa elevata, scarsa tolleranza al glucosio, insulino-resistenza, e dislipidemia).
Dunque come comportarci?
Cominciamo con il ridurre (attenzione, ho parlato di “ridurre” non di “eliminare”) il consumo di alimenti di origine animale, soprattutto salumi, carni rosse e latticini, che oltre il rischio osteoporosi, apportano grassi saturi dannosi per la salute del sistema cardio-vascolare.E aumentiamo il consumo di proteine di origine vegetale, come quelle dei legumi: ceci, lenticchie, fagioli sono in grado di apportare ottimi quantitativi di calcio senza il rischio di abbassare il pH plasmatico. Questo vantaggio è dovuto alla carenza di alcuni aminoacidi ricchi in zolfo, metionina e cisteina, presenti invece nelle proteine di origine animale e capaci di generare acidi nel nostro sangue.
Si rivela inoltre proficuo mangiare pesce non allevato, ricco di calcio, magnesio e fosfati biodisponibili per l’organismo umano, e la verdura a foglia verde, come la cicoria, la rucola, il radicchio e la bieta. Il calcio di un bicchiere di latte si trova anche in una tazza di foglie di rapa, in 30 g di sardine, in 120 g di mandorle secche, in 3 litri di acqua di rubinetto o in 1 litro di acqua minerale con 300 mg/l di calcio, in una porzione media di ricotta.
Non dimentichiamoci infine che è essenziale per la salute delle nostra ossa la riduzione dell’assunzione di caffè e sale da cucina, che aumentano l’escrezione urinaria di calcio, e il corretto consumo di frutta e verdura: questi alimenti, ricchi di potassio, magnesio e fibra, sono dei naturali “alcalinizzanti”, in grado di preservare il rilascio di calcio dalle ossa anche in condizioni di acidosi.
Dott.ssa Maria Assunta Coppola, Biologo Nutrizionista.
Fonti: medicinalive
Brescia, 13 dicembre 2012Dott. Giuliano Parpaglioni, biologo nutrizionista, Brescia e Desenzano del Garda