
Malgrado la propensione degli spagnoli, secondo cui "il riposo è salute", cui si riferiva Paul Lafargue, nel 1881, nella Spagna del 1936-1938 diventa assai difficile affrontare la questione dell'avversione dell'uomo per il lavoro, se non attraverso la stigmatizzazione degli operai recalcitranti o l'incensamento degli altri. Il concetto di "buon lavoratore" - che, per antitesi, criminalizza coloro che nella società borghese vivono nell'illegalità o nel vagabondaggio - riprende forza, abbellito con l'etichetta del "buon antifascista", al fine di diffamare, al contrario, quello che - in fabbrica - fa una scelta diversa dal lavorare, muovendosi fra il dentro ed il fuori, assentandosi, ignorando l'aumento dei ritmi o sabotandone il funzionamento, in un modo o nell'altro. E, in più, si arriva a qualificare come "buon rivoluzionario" quello che accetta di produrre sempre più senza discutere.

La fabbrica, come si profila dietro il simbolismo dei gruppi anarchici naturisti, annuncia i presunti tempi nuovi in rottura con le "visioni obsolete" della rivoluzione. A vedere la propaganda che si dispiega per mezzo della stampa, e attraverso i manifesti affissi per le strade, pieni di lavoratori all'opera, per poter convincere i proletari che lì devono restare, e che culmina con gli articoli ed i libri di Juan Fàbregas, si deduce che i "buoni lavoratori" non dovevano essere legione. Joan Fabregas era un economista borghese della Esquerra (sinistra catalana), ed è significativo che si sia unito alla CNT nel luglio 1936. In linea con le teorie di Santillan


Le principali organizzazioni della sinistra spagnola passano un sacco di tempo, e spendono un monte di soldi, per produrre questa propaganda - anche quando la carta è diventata rara e costosa. Gli artisti che ne sono gli autori, lavorano su comando degli anarchici, dei comunisti, dei socialisti e della Generalitat. Si instaura "una sorta di unità estetica del Fronte Popolare", ispirata allo stile sovietico del realismo socialista. Gli uomini e le donne rappresentate, hanno sempre le maniche arrotolate su delle braccia muscolose, per lavorare, combattere e morire per la causa. La differenza tra il soldato ed il produttore, tra l'uomo e la donna, scompaiono. Il fine di questa propaganda è quello di colpevolizzare (leggi: minacciare) coloro che sono refrattari al lavoro e all'esercito.

"L'ubriaco è un parassita. Eliminiamolo". Marchiando così, con l'infamia, il pigro e l’alcolista, oramai assimilati ai faziosi; chi se la svigna può avere solo delle "cattive ragioni".
Quest'arte deve essere vista come il riflesso della visione dei militanti, e non della cultura della classe operaia nel suo insieme. La sua essenza è lo sviluppo e la razionalizzazione dei mezzi di produzione della nazione. Tutto il resto cede il posto a tale obiettivo centrale.

Va notato come i termini "rivoluzione" e "rivoluzionario" siano quasi del tutto assenti dai manifesti, contrariamente a quello che avveniva sulla stampa anarchica militante, salvo per quest'ultimo manifesto che afferma "La rivoluzione non si contiene, si canalizza"; cosa che fa pensare alla fabbrica ...


"Non è affatto necessario distruggere l'organizzazione tecnica esistente della società capitalista, noi dobbiamo servircene. La rivoluzione deve porre fine alla proprietà privata delle fabbriche ma, se le fabbriche devono esistere, e a nostro avviso devono esistere, allora è necessario sapere come funzionano. Il fatto che esse divengano proprietà collettiva, non cambia affatto l'essenza della produzione, o il metodo di produzione. E' la distribuzione dei prodotti che cambierà e diverrà più equa."
- Diego Abad de Santillán -
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