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Il lavoro sul lettino dell'analista

Da Brunougolini

Il lavoro sul lettino dell'analista
“Se la protesta clamorosa sul tetto del capannone o in cima alla gru magnetizza per un attimo la nostra attenzione, è invece la testimonianza pacata del malessere che forse dal punto di vista psicosociale racconta anche meglio quello che veramente sta succedendo”. E’ un passaggio tratto da uno scritto di Giuseppe De Rita, presidente del Censis. E’ solo una testimonianza contenuta in un’iniziativa insolita, un dossier sul Primo Maggio promosso da donne e uomini della Spi (la Società Psicoanalitica Italiana) e che apparirà nel sito (www.spiweb.it) di cui è responsabile Jones De Luca. Sono professionisti che trascorrono le loro giornate a contatto con le angosce e i drammi contemporanei. Non a caso il dossier, curato da Silvia Vessella, mette a confronto Psicoanalisi, Sociologia, Media, Stampa, Cinema, Arte, Letteratura. Con un titolo programmatico “Festa per quale lavoro?”. E così nella parte “narrativa” troviamo le esperienze dei mutamenti nel mondo dell’informazione raccolte da Silvia Garambois e da Monica Ricci Sargentini (con testimonianze di Monica Maggioni, Massimo Gramellini, Luciano Fontana Dario Laruffa).
Non sono, del resto, tematiche nuove per la Spi. Già il congresso del 2012 portava come titolo “Realtà psichiche e regole sociali: Denaro, potere e lavoro fra etica e narcisismo”. E aveva visto gli interventi di Susanna Camusso e Alessandro Profumo. Un incontro commentato da Giovanni Foresti che osserva: “Se proseguirà il processo di affrancamento da una concezione prevalentemente endogena del lavoro psichico (l’espressione è di René Kaës), la psicoanalisi potrà non solo contribuire allo studio dei moderni disagi della civiltà (come di fatto fa già), ma anche sviluppare le soluzioni di ricerca/intervento messe a punto negli scorsi anni”.
Gli specialisti della mente possono dunque fare molto. Osserva, sempre nel dossier Andrea Seganti “La rabbia e la delusione che sono esplose negli ultimi tempi erano rimaste coperte sotto le ceneri per i continui rilanci delle promesse che venivano fatte nonostante l'evidenza che non si sarebbe potuto mantenerle. Bisogna quindi considerare che, per quanto sia possibile individuare dei responsabili maggiori dell'attuale stato di cose, nessuno di noi potrà pretendere di essere del tutto esente da responsabilità. Tra queste responsabilità ci sono anche quelle che riguardano il mondo delle scienze psicologiche nel quale le nostre capacità di contribuire al funzionamento dei rapporti interpersonali in chiave cooperativa non sono ancora state inquadrate in modo sufficientemente lucido”. Così ecco Mario Rossi Monti che, a proposito del fenomeno dei suicidi scrive: “Si enumerano le vittime, ma il problema globale del suicidio viene raramente messo a fuoco e si frammenta nell’elenco delle singole vicende”. Oltre il 90% dei suicidi passano come depressi. “Ma cosa vuol dire poi essere “depressi” quando nella vita irrompono realtà devastanti?”.
E aggiunge: “Se, come scriveva Sigmund Freud, sapere amare e lavorare sono i fondamenti della nostra salute mentale, la crisi del mondo del lavoro in questi anni espone tutti a gravi sconvolgimenti…Se è vero, come scriveva Cesare Pavese, che “non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi” (1938), il problema è che cosa si può fare in quelle situazioni in cui le “buone ragioni” sono più di una”.
E però si stanno mettendo in piedi iniziative positive. Ne parla Stefania Nicasi. Così a Cuneo dall’idea di Luca Peotta, un imprenditore sull’orlo del disastro, è nato nel 2009 il movimento “Imprese che resistono”. E’ stato avviato il progetto “Terraferma”: una “rete di psicologi nata per dare ascolto a imprenditori e lavoratori finiti nella stretta della crisi economica”. Sono venticinque psicologi sparsi in tutta Italia che ricevono in media tre chiamate al giorno. A Vigonza (Padova) c’è la sede simbolica di “Speranza al lavoro” fondata dall’Associazione dei familiari degli imprenditori suicidi. Qui un numero verde fornirà ascolto e aiuto psicologico agli imprenditori in difficoltà. Mentre una banca Etica studierà percorsi di credito per l’emergenza. Tutto per impulso delle figlie di due imprenditori suicidi, Laura Tamiozzo e Flavia Schiavon: “Vogliamo ascoltare chi rischia la desertificazione emotiva ed economica. La cultura della ricchezza ha aumentato individualismo ed egoismo. Noi vogliamo essere una scelta di solidarietà e di etica di fronte a questo deserto”.
Questo inedito viaggio analitico nel lavoro passa anche nel mondo variegato degli adolescenti veneti. Qui il sociologo Galvano Pizzol osserva: “Sembra che il lavoro non venga più percepito dai giovani come il catalizzatore delle proprie aspirazioni e degli orientamenti personali. Vivono “in una cultura familiare dove permea uno stato di delusione personale”. Con genitori, soprattutto i padri, “amareggiati per la loro condizione lavorativa e la relativa condizione economica”. La delusione nei padri “può produrre il disincanto nei figli maschi”.
Diverse le situazioni vissute da Daniela Bonomo, impegnata in progetti terapeutici in una Asl romana. Qui “La gratificazione per il riconoscimento del proprio valore, per un lavoro ben fatto, porta a un aumento dell’autostima, fa crescere il senso di Sé, così come il suo contrario genera frustrazione e vissuti di fallimento, depressione e spesso comportamenti rabbiosi che tendono a mantenere la coesione di un Sé che rischia di frammentarsi”.
C’è su questo terreno una estesa letteratura internazionale, approfondita da Maria Grazia Vassallo Torrigiani che, tra l’altro, riprende un’intervista di Alberto Luchetti a Christophe Dejours a proposito di suicidi avvenuti negli stessi luoghi di lavoro in Francia. Non basta, ha spiegato Dejours, analizzare la sofferenza come un’esperienza affettiva individuale, “è necessario indagarla anche come espressione della destrutturazione del vivere insieme”. Tutto questo richiede “riformulazioni sia alla psicoanalisi che alla sociologia.
Il lavoro non è solo faticare e produrre. Il lavoro può generare malattia mentale e persino il suicidio, ma può essere anche un mezzo e una risorsa per accrescere la propria soggettività e migliorare il proprio benessere mentale”.
Così, anche con questo dossier gli psicanalisti italiani sembrano voler uscire dalle loro stanze un po’ segrete. Romolo Petrini, in uno dei saggi, ricorda come nel 1909 Sigmund Freud sbarcava in America a “portare la peste”. Ma anche, pensa Petrini, “a contaminare la psicoanalisi con gli apporti di una cultura in rapida crescita”. E conclude: “La psicoanalisi da sempre venera il passato e coltiva il riserbo ma coltiva insieme, attraverso l’ascolto e il contatto con i pazienti, la capacità di pescare il nuovo e di lasciarsi trasformare. Con SPIweb la psicoanalisi italiana è sbarcata in Internet e ha gettato la sua rete”. Anche con un suo Primo Maggio.

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