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Così scriveva Renato Serra, il lettore di provincia, come amava sempre definirsi, prima che la guerra lo strappasse ai suoi libri e ai suoi vagabondaggi per le strade di Cesena. Qualche giorno fa mi è capitato di rileggere il suo Esame di coscienza di un letterato, scritto alla vigilia del richiamo alle armi e della morte sul Pogdora, poco dopo. E non so bene come definirle, queste pagine, se lunga lettera a un amico, sfogo esistenziale, riflessione sul ruolo dell'intellettuale alle prese con il suo tempo, o racconto sulla necessità e sul dolore.
Forse è tutto questo e forse è molto altro ancora. Certamente non solo un documento sulle lacerazioni prodotte dall'entrata in guerra, con la polemica di quei mesi tra interventisti e neutralisti, poi comunque soffocata dalla grande mattanza.
Sulla guerra non si fa illusioni, Renato Serra:
E' una così vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati, e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura.
E si può essere più o meno d'accordo, ma poi Renato Serra è lì, non più tra i suoi libri, ma in trincea. E' lì a interrogarsi sulla possibilità di prendere parte, di lanciare un ponte tra la letteratura e la vita - e tra la vita e la letteratura - se possibile di condividere qualcosa, sia pure un'insopportabile razione di dolore.
Disincanto, consapevolezza della vanità delle cose, un barlume di riscatto percepito solo nell'esserci, nell'essere come gli altri. Fosse pure in una marcia militare, nel sentirsi parte di gente stanca, che strascica lo stesso passo pesante e insieme respira grosso.
E' così naturale fare quello che bisogna. Non c'è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito,e c'è tante cose da fare; anzi una sola, fra tutti.
Così scriveva Renato Serra. Così la guerra ha fregato anche uno come lui.
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